“Amadeo Bordiga, il comunista irriducibile che fu il fondatore del partito comunista d’Italia” di Ferdinando Bergamaschi

I giochi erano probabilmente ormai decisi già prima del 21 gennaio 1921. A Livorno quel giorno le 3 frazioni del Partito Socialista Italiano si presentarono ben distinte e rivendicanti ognuna la giusta interpretazione del marxismo: 1) la destra - i riformisti capeggiati da Turati – con un una netta minoranza; 2) il centro – i massimalisti di Menotti Serrati – che godevano di una vasta maggioranza; 3) la sinistra – la frazione comunista di Bordiga – che stava prendendo sempre più peso nel Partito. Per quest’ultima frazione la posta in gioco era da un lato espellere la destra dal partito come punto necessario per evitare una scissione, dall’altro portare quanti più possibili massimalisti nella loro frazione. Ma Menotti Serrati, convinto che l’occasione rivoluzionaria era ormai svanita non volle espellere i riformisti e i risultati del XVII Congresso del Partito Socialista furono quelli previsti: il centro raccolse il 57 % dei 172.487 votanti, la destra il 9%, la sinistra il 34%. Fu un buon successo per la frazione comunista ma fu la terza e più traumatica scissione del P.S.I. Infatti i comunisti, capeggiati da Bordiga, non accettarono di rimanere nel Partito che comprendesse ancora Turati e i riformisti e quello stesso giorno al Teatro San Marco si riunirono e fondarono il Partito Comunista d’Italia, con un Comitato Centrale composto da Amedeo Bordiga, Nicola Bombacci, Umberto Terraccini, Antonio Gramsci, Ruggero Grieco. Quel giorno nacque appunto il Partito Comunista d’Italia, il primo partito comunista mai esistito in Italia. Se in Italia è dunque  esistito un Partito Comunista fino al 1991 è prima di tutti ad Amedeo Bordiga che questo partito deve essere debitore.

Quello di Bordiga era un comunismo puro, materialista, economicista, determinista; egli dava per certo, marxianamente, il collasso naturale del capitalismo per via di un determinismo storico che avrebbe per forza dovuto verificarsi. Egli applicò alla lettera il concetto di un partito di classe portatore inflessibile dell’ideologia marxista-rivoluzionaria che rompe con tutte le correnti gradualiste del marxismo; Bordiga quindi schiacciava il marxismo sul leninismo rivoluzionario e non ammetteva compromessi. Ma Bordiga fu anche colui che, più di tutti, tra i comunisti (insieme a Nicola Bombacci) capì la degenerazione che comportava lo stalinismo e di conseguenza non solo non considerava gli stalinisti dei comunisti, ma li considerava proprio dei degenerati. Capì quindi con vari decenni d’anticipo quello che poi i suoi compagni di partito dovranno constatare dopo aver fatto dello stalinismo, per decenni, una fede religiosa.

Lo storico comunista e antistalinista Roberto Gremmo, già militante del Partito Comunista Italiano, in un pregevole studio (Gli anni amari di Bordiga. Un comunista irriducibile e nemico di Stalin nell’Italia di Mussolini, Storia ribelle, Biella, 2009) ci racconta la vicenda di Bordiga negli anni del fascismo facendo luce sul suo fiero e nettamente minoritario antistalinismo. Infatti Bordiga sarà sempre alla testa della minoranza di sinistra del Partito. Come Gramsci Bordiga era un ideologo e come Gramsci conobbe nel 1926 il confino ad Ustica a cui fu sottoposto dal regime fascista. L’Italia fascista, infatti, se in politica estera fu l’unica nazione occidentale a riconoscere l’Unione Sovietica e a stipulare con essa accordi diplomatici e commerciali, nella politica interna con le leggi fascistissime dava il via alla soppressione del dissenso. Bordiga, come altri, ne fece le spese, e il suo confino durò fino al 1929.

Anche durante gli anni di confino, Bordiga è il punto di riferimento della minoranza della frazione intransigente di sinistra che cercava di coordinarsi all’estero in clandestinità, non mancando di tenere rapporti epistolari con Trotsky. La frazione di sinistra di Bordiga sarà sempre acerrima nemica della destra stalinista togliattiana, che dal Congresso di Lione del 1926 avrà sostanzialmente  in mano il partito,  e non farà sconti neppure al centro gramsciano (benchè Bordiga e Gramsci fossero amici), ritenuto comunque ambiguo sulla posizione assunta nei confronti dello stalinismo. Ma nel 1930 Bordiga sarà espulso dal partito per avere difeso Trotsky. Iniziano così gli anni di emarginazione per Bordiga.

Egli continuò ad essere il punto di riferimento della frazione di sinistra ma essa era troppo debole rispetto alla destra stalinista togliattiana che controllava e guidava il partito e quindi il suo campo d’azione sarà veramente limitato.

E’ molto interessante, invece, vedere qual è la posizione che assume il capo comunista nei confronti della seconda guerra mondiale. Tale posizione è sorprendente. Gremmo, da una pregevole ricerca archivistica, ci riconsegna i pensieri di Bordiga ricavati dalle sue conversazioni con un amico di famiglia, Alberto Alliotta, che era anche, all’insaputa di Bordiga, una spia fascista. Con Alliotta Bordiga si confida affermando: “Il 10 giugno [data della dichiarazione di guerra di Mussolini contro Inghilterra e Francia] fu dunque per me quello che si dice un gran giorno”; e nella stessa occasione definisce la Russia di Stalin “uno stato capitalistico come un altro”;  nell’inverno del 1941 Bordiga (che peraltro, come molti socialisti, fu un seguace di Mussolini quando il proletario di Predappio era il leader del socialismo massimalista e rivoluzionario) asserisce che l’Italia sarebbe stata “salvata solamente per la politica lungimirante di Mussolini” e alla fine del 1942, dopo aver affermato che l’unico vero rivoluzionario in Italia è Benito Mussolini (come già del resto disse Lenin più di vent’anni prima a Menotti Serrati) Bordiga si esprime così: “Il passato di Mussolini dimostra che il Duce è stato sempre contro la plutocrazia e contro le democrazie, che paralizzano la vita delle nazioni. Mussolini sarà compreso, quando la Nazione intiera dovrà piangerlo e rimpiangerlo: se egli fu duro ed implacabile, lo fu perché gli eventi e il sogno di una Italia forte e potente lo imponevano”; e poi, ancora nell’aprile 1943, egli, dopo aver sottolineato per l’ennesima volta che “comunismo e stalinismo sono due cose perfettamente diverse” afferma che “Stalin, alleandosi con Londra e con Washington, ha tradito la causa del proletariato. Del resto io posso dire di essere in questo d’accordo col Duce, quando egli afferma, come ha fatto nel discorso del novembre ultimo, che, se un uomo c’è che ha voluto diabolicamente la guerra, che l’ha prima preparata e poi suscitata, questo è il presidente americano”, questo perché, prosegue Bordiga: “Roosevelt non è altro se non l’esponente del supercapitalismo che mira alla conquista di un imperialismo totalitario”. Ma l’affermazione più interessante è, secondo noi, quando Bordiga sviluppa il seguente pensiero: “Mi pare ad un certo punto, a misura che gli anni passano e che gli avvenimenti si accavallano, che vada succedendo questo evento singolare: mentre le democrazie si allontanano sempre più dalle nostre mete, il fascismo vi si vada invece approssimando sempre più attraverso vie e metodi diversi – anzi profondamente diversi – da quelli sognati dai nostri profeti! Certamente su questi riuscirà a scardinare le grandi plutocrazie anglofrancesi e avrà fatta, dal nostro punto di vista, opera assai più profondamente rivoluzionaria della Russia”. Questo, sostanzialmente, è quello che pensava anche un altro comunista fondatore del Partito Comunista d’Italia, Nicola Bombacci, che addirittura aderì alla Repubblica Sociale Italiana e andò a morire con Mussolini.

Nel dopoguerra Bordiga si tenne in disparte. Da comunista intransigente però continuò a criticare lo stalinismo fino alla sua morte avvenuta nell’estate del 1970. Egli rimane una figura limpida e nobile di un coerente comunista.

 

 

 

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