Tommaso Romano, "Umberto II e il referendum del 1946 nella Sicilia che votò monarchia" (Ed. Thule) - di Giovanni Teresi

Per l’insieme dei documenti, dei dati e della capillare ricerca, fornita da una nutrita bibliografia, possiamo definire il testo storico di Tommaso Romano  un microscopio che permette lo studio completo e accurato di vari dettagli sulla verità storica.

Già partendo dal titolo del libro, il Nostro delinea l’inizio e la fine di un periodo storico italiano per molti non chiaro, ma che, alla luce degli accadimenti pre-referendari  del 1946  e delle successive decisioni prese dai governanti d’allora, riesce a descrivere i veritieri eventi riccamente documentati, offrendo, così, agli studiosi e non, una realtà storica non detta nelle varie pubblicazioni storiche di molti autori.

Se dopo il referendum del 2 giugno 1946, i cui risultati furono da subito contestati dal mondo fedele alla Monarchia e da parte di esponenti della polizia ed anche dell’esercito, non scoppiò una guerra civile, fu grazie alla saggezza di Re Umberto II che preferì lasciare la sua terra per evitare ulteriori lutti al popolo. Fu  un gesto di signorilità e magnanimità d’animo impareggiabili, perché come lui stesso disse la Monarchia non poteva reggersi con il cinquanta più uno percento.”(Antonino Sala)

Prima di lasciare il suolo patrio, il Re volle firmare un vero e proprio atto di accusa per il sopruso e l’illegalità che egli stesso e la sua famiglia subirono senza però tornare ad una guerra civile fratricida da cui l’Italia era appena uscita nel 1945.

La cautela di Pio XII e l’appoggio anglo-americano a De Gasperi e al Governo, malgrado la fedeltà di gran parte delle Forze Armate e di metà del paese, gli fecero compiere l’atto di generosità per l’Italia e gli italiani e firmare l’atto grave del Proclama di lasciare la Patria:

Italiani! Nell’assumere la luogotenenza generale del Regno prima, e la corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello stato che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.” (pag. 69 – 70).

La presente opera storica del Nostro  è molto interessante soprattutto nella documentazione dei dati del Referendum del 2 giugno 1946 e come la Corte Suprema di Cassazione ed i governanti abbiano deciso per la Repubblica, non tenendo conto della espressione di voto del popolo siciliano, descritto dagli storici ancora non tanto alfabetizzato, ma che, nella realtà, ha saputo sempre dare un’impronta diligente alle decisioni politiche nazionali con le rivolte, le approvazioni e le accoglienze dallo sbarco del Generale Garibaldi e i suoi garibaldini a Marsala alla sbarco degli alleati in Sicilia.

È necessario leggere, analizzare e mettere a confronto ciò che il Nostro offre come documentazione, non solo per immagini ed articoli dei giornali d’epoca, ma anche per quello che scaturisce dai verbali, molti inediti perché da tempo secretati.

Sempre dal Proclama: “Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali, fatta dalla Corte suprema;di fronte alla sua riserva di pronunciare, entro il 18 giugno, il giudizio sui reclami, e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte,in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire violenza.”

Nella disamina del testo è bene sottolineare alcuni fondamentali eventi che il Prof. Tommaso Romano ha egregiamente analizzato e descritto, in modo particolare come si è giunti alla proclamazione della Repubblica Italiana. Sarà poi cura del lettore trarne gli arricchimenti veritieri dei fatti e delle decisioni prese a danno della Monarchia.

Il sapere di non sapere” è, infatti, la dotta ignoranza che Socrate vuole estendere ai propri interlocutori. Nel dialogo Socrate riconosce appunto di non sapere; e così può con ironia fingere di  accogliere le idee degli interlocutori, procedere con la dialettica ad una confutazione che evidenzi la debolezza delle idee in questione e portare gli interlocutori ad avvertire la propria ignoranza e l’esigenza di fare i conti con se stessi per trovare le proprie risposte.

Sempre dalla dichiarazione del Proclama: “Confido che la magistratura potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice della illegalità che il governo ha commesso, io lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori” … “A tutti coloro che ancora conservano la fedeltà alla monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia, io ricordo il mio esempio e rivolgo esortazione di voler evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del Paese …”

 Riprendo l’intellettualismo etico di Socrate, per l’idea che la conoscenza del bene porta necessariamente a fare il bene, e che quindi non si fa il male volontariamente ma solo per ignoranza. La vita etica impone una presa di coscienza di cosa sono i valori: per agire bene, vivere bene ed essere felici nelle varie situazioni  noi non possiamo prescindere da riferimenti morali razionali ma dobbiamo interrogarci sul significato, chiarire il concetto, approdare ad una definizione delle virtù umane per sapere, farci un’idea di che cos’è per l’uomo giustizia, coraggio e santità.  Il Nostro descrive come il risultato complessivo del Referendum Monarchia-Repubblica venne ufficialmente dichiarato con la vittoria della Repubblica per 12.672.767 a fronte dei voti monarchici di 10.688.205 con un alto numero di voti nulli 1.498.138 e voti bianchi. Inoltre, molti aventi pieno diritto non poterono votare; la enorme duplicazione di certificati elettorali sospetta; la dipendenza del Ministro dell’interno Romita da formazioni partigiane armate;  la cifra stimata di 2.206.o43 italiani esclusi al voto; le 34.112 sezioni elettorali che Romita non divulgava; l’elevato numero di schede nulle (1.509.735 voti) distrutte arbitrariamente e non ammesse ai verbali molti dei quali scritti a lapis; pubblicistica ampia e, tuttavia, poco nota, ha spesso insistito su quello che Falcone Lucifero dichiarava come invalido il Referendum.

Come sappiamo, il decreto legge luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, emanato dal governo Bonomi a pochi giorni di distanza dalla liberazione di Roma, stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata eletta a suffragio universale, diretto e segreto, un' assemblea costituente per scegliere la forma dello stato e dare al paese una nuova costituzione. Successivamente il decreto legislativo luogotenenziale del governo De Gasperi (16 marzo 1946, n. 98) integrava e modificava la normativa precedente, affidando ad un referendum popolare la decisione sulla forma istituzionale dello stato mentre il decreto luogotenenziale n. 99 sempre del 16 marzo fissava le norme per la contemporanea effettuazione delle votazioni per il referendum e l'assemblea costituente, quest'ultima da eleggersi con sistema proporzionale (decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74).
La legge elettorale suddivideva l'Italia in 32 collegi elettorali, nei quali eleggere 573 deputati (ma non vennero effettuate le elezioni nella provincia di Bolzano e nella Circoscrizione Trieste-Venezia Giulia-Zara: i costituenti eletti furono dunque 556).

A referendum svolto, solo cinque su ventidue Corti d’Appello inviarono alla Corte Suprema di Cassazione i plichi con le schede annullate. Si ribadisce che la Suprema Corte non dichiarò mai il numero ufficiale dei voti e la non terzietà del governo in carica, chiaramente quasi tutto schierato per la Repubblica anche in campagna elettorale. Inoltre, il Nostro ribadisce, anche alla gran parte della storiografia che sorvola e non approfondisce, che la Corte di Cassazione stabilì una maggioranza degli elettori votanti, avallando il fatto compiuto.

Può essere sgradevole che qualche storico, come Tommaso Romano, faccia presente il grigio di situazioni. Però, il compito della storia vera è guardare  e far guardare in faccia la realtà, anche quando la realtà, in questo caso una realtà passata, non è piacevole, perché racconta qualcosa che è scomodo. Sapere come sono andate le cose ci dà anche gli strumenti per evitare che accadano di nuovo, e la conoscenza storica funziona come “vaccino”.

 Oggi è sempre più evidente come la diffusione del negazionismo sia il risultato del progressivo indebolimento e depauperamento del senso della storia quale sapere critico alla base della comunità civile. Processo cui hanno dato e danno un vigoroso contributo molti esponenti del mondo politico e giornalistico, talvolta gli stessi che teorizzano l’inutilità della storia e dei saperi umanistici perché non darebbero un profitto economico. Forse ora è  arrivato il momento di riaffermare che il valore della conoscenza, scientificamente fondata, del passato risiede nella sua funzione di “vaccino culturale” contro l’odio razziale, politico e religioso, ed è ben più utile di leggi sbagliate. E decisamente senza prezzo per i suoi effetti benefici sulla convivenza civile.

 

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