La teoria di Cicerone sullo stato e la sua attualità – utili riflessioni sulla libera res pubblica

 

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                                                                                      Il “cursus ad gloriam” di Cicerone 

 

La  teoria di Cicerone sullo Stato attira stranamente sia i pensatori conservatori sia quelli progressisti. Nell’universo intellettuale del filosofo Cicerone i conservatori apprezzano il ritorno alle tradizioni, mentre i progressisti sottolineano il rifiuto assoluto dell’autocrazia.

La teoria dello Stato è senza dubbio aperta a una certa interpretatio multiplex, data che in essa sono presenti in pari misura l’idea repubblicana, l’annuncio della libertas, il rifiuto della tirannia, la mikte politeia, l’inviolabilità della proprietà privata, l’uguaglianza politica, giuridica e sociale, l’idea un po’ vaga della nobiltà di natura, lo scetticismo epistemologico e quello religioso e illuminato.

Il motivo della sua severità evidentemente sta nel fatto che Cicerone non credeva all’uguaglianza aritmetica, non lottò contro la schiavitù, quale figlio della sua epoca disprezzò il lavoro fisico e, riguardo le questioni economiche, condivise le idee del precapitalismo agrario.

Cicerone analizzò per primo nel loro insieme gli elementi economici, politici e morali della Stato costituzionale − la stessa parola “costituzione” deriva dall’espressione ciceroniana rem publicam constituere. Simile modo di vedere era estraneo sia a Platone sia ad Aristotele.

Cicerone, che rinuncia interamente a una visione “atomizzante” dello Stato (libera res publica), è il pensatore dalla cultura universale che per primo scopre lo Stato e ne interpreta la costituzione, cioè il sistema costituzionale, in modo ampio e dettagliato, tramite un’analisi sintetica degli elementi storici, giuridici, etici e, non da ultimo, psicologici.

Fu il primo a distinguere lo Stato dall’atto del governare e a prestare seria attenzione agli elementi di economia politica nell’attività governativa, come alle questioni del credito, della tassazione, della remissione dei debiti, della riforma agraria, della distribuzione del grano e della colonizzazione agraria.

Il ruolo economico dello Stato ha costituito oggetto di esame solo ben millecinquecento anni dopo ad opera di Jean Bodin, seguito da John Locke.

Fra i giudizi negativi sulla teoria di Stato di Cicerone ha avuto un ruolo dominante l’opinione di Drumann e sopratutto di Theodor Mommsen. Mommsen (“Il gran Teodoro”) vedendo in Giulio Cesare l’uomo di Stato ideale, poneva di conseguenza Cicerone su di un gradino più basso, considerandolo un politico di secondo ordine. La riabilitazione di Cicerone come  filosofo dello Stato ebbe luogo grazie al noto storico polacco Thaddeusz Zieliński con il suo lavoro “Cicero im Wandel der Jahrhunderte” e con Sir Frederick Pollock (1845-1937) nel suo libro Introduction to the History of the Science of Politics.

Tale riabilitazione è giustificabile non solo con il fatto che il suo pensiero ebbe una forte influenza su coloro che elaborarono le costituzioni moderne sia nel Continente Europeo sia nelle colonie britanniche (British colonies) del Nordamerica, e quindi degli Stati Uniti d’America, ma anche perché senza dubbio fu Cicerone il primo pensatore dell’antichità classica capace di definire in modo sintetico la relazione tra Stato e società. Mommsen idealizzava nella storia romana Giulio Cesare come uomo di Stato (princeps optimus civitatis). E sempre  secondo Mommsen Cesare era il tipo ideale dell’uomo di Stato anche per l’Ottocento. Non si può attribuire solo al caso che la popolarità di Cicerone raggiunga l’apice nel Settecento, l’epoca in cui, per fare un solo esempio, l’opera in due volumi di Conyers Middleton The History of the Life of Marcus Tullius Cicero diventa un vero best-seller. Egli è conosciuto e apprezzato da Voltaire, Montesquieu,  Diderot, Rousseau − che lo definisce il principe dell’eloquenza − e anche da filosofi, uomini di Stato, oratori, scrittori e storici inglesi, quali Samuel Johnson (1709-1784), David Hume (1711-1776), Adam Smith (1723-1790), Edmund Burke (1729-1797), Charles James Fox (1749-1806), Richard Brinsley Sheridan (1751-1816) e William Pitt (1759-1806).

La sua dottrina del ius naturae di ispirazione stoica costituisce la base – per usare termini moderni – della limitazione del potere legislativo, che si manifesta nel rapporto con i cittadini e influenza fortemente il diritto naturale dell’età moderna, la cui portata è stata ristretta nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento dal positivismo giuridico (ius positivum). Accanto al consensus iuris è presente la communio utilitatis, che scaturisce dalle motivazioni economiche dei diversi ceti e strati sociali nell’ambito della convivenza statale. Tale communio utilitatis attiene alla necessità di considerare la realtà sociale, caratteristica della teoria ciceroniana dello Stato, diventando nel contempo manifestazione della natura delle cose.

Un’altro elemento essenziale della teoria ciceroniana dello Stato è il iuris consensus, colonna portante della res publica ideale. Per ius viene inteso non solo il diritto positivo (ius positivum), ma il suo concetto viene esteso fino a comprendere il ius naturae o il ius naturale e, in ragione di questo, la giustizia.

Cicero ne sviluppa inoltre il concetto di multigradualita del diritto, già esposto da Platone, in quanto il ius accanto alla lex positiva incorpora anche la lex naturalis e la lex aeterna.

Nella teoria ciceroniana lo Stato si lega strettamente alla società anche per il fatto che, come afferma il console dell’anno 63 a.C., la famiglia è quasi seminarium rei publicae (off. 1.54). In tal modo Cicerone sottolinea che lo Stato è costruito dalle famiglie, le quali diventando gens stanno alla base del suo sviluppo. La famiglia ha un ruolo rilevante anche nei rapporti di proprietà, poiché essa è l’unita base dell’economia.

Inoltre, per Cicerone è di importanza straordinaria, anzi centrale, la concordia ordinum, cioè l’accordo fra senato e ordo equester, che è presupposto del consensus Italiae, dato che senza di esso non può esistere la pace sociale. Il suo ragionamento politico non è caratterizzato da concetti astratti, ma risulta in stretto rapporto con la realtà dell’epoca storica concreta.

Secondo Cicerone lo Stato ideale non è solamente un’unità organica, uno Stato piccolo (polis), basato essenzialmente sull’’autarchia e suddiviso secondo ordini, ma una comunità giuridica di misura cosmica, che comprende ogni uomo.

L’altro elemento dell’uguaglianza ciceroniana è che ogni uomo, indipendentemente dalla propria identità etnica o condizione sociale, gode dello stesso ordinamento giuridico (ordo iuris).

Nondimeno è possibile constatare come anche le dottrine di Dicearco, Panezio e Polibio hanno avuto notevole influenza sulla teoria ciceroniana. Infatti la mikte politeia, l’idea della costituzione mista, possiede radici elleniche ed ellenistiche.

Il grande uomo politico, giurista e filosofo romano parte dal presupposto che ognuno goda nella stessa misura della saggezza divina che regge il cosmo come legge eterna e inalterabile.

Ogni uomo per natura ha la capacità di riconoscere il giusto (iustum)e di operare secondo questa coscienza: si tratta di una concezione indubbiamente ottimistica, del tutto inaccettabile per Platone e in larga misura anche per Aristotele.

Senza dubbio la teoria ciceroniana incorpora parecchi elementi già presenti nelle opere di Platone e di Aristotele.

Infine la differenza più importante fra le teorie platoniche e aristoteliche e le idee di Cicerone sullo Stato e sulla società sta nel fatto che questi presumono l’uguaglianza fondamentale di ogni uomo.

Tuttavia la costituzione romana può essere esempio per la teoria moderna della Stato non solamente in quanto creatrice del mito: la res publica  che poté assumere valore paradigmatico nell’antichità classica cioè quella greco-romana, come nel periodo rinascimentale e nell’età moderna, ma anche grazie al ragionamento eclettico di Cicerone sulla filosofia, l’etica e la politica (“scienza politica”).

Secondo Louis Antoine Léon Saint-Just (1767-1794), l’autore dell’opera Esprit de la révolution et de la constitution de Francepubblicata nel 1791, e uno dei principali ideologi della Rivoluzione francese borghese, il mondo si svuota dai romani in poi, e oggi (cioè nell’età di Saint-Just) è presente il loro ricordo come unica profezia, annuncio, simbolo di libertà.

 

Giovanni Teresi

 

Bibliografia:

  • Boyencé, Etudes sur le songe de Scipion, Limoges, 1963
  • Cancelli, “Ancora su Lo Stato” di Cicerone, in SDHI 47 (1981),
  • Cancelli, “Iuris consensus” nella definizione ciceroniana di res publica,In: Studi G. Donatuti I, Milano, 1973,
  • Crifò, Osservazioni sull’ideologia politica di Cicerone, in: Libertà e uguaglianza in Roma antica, Roma, 1984
  • An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations di Adam
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