“Tu ridi” novella di Luigi Pirandello – lettura e commento di Giovanni Teresi

Pubblicata nel 1912 sul «Corriere della sera», la novella Tu ridi fu successivamente inserita nella raccolta Novelle per un anno. Il titolo si rifà | alle parole intrise di rabbia della moglie del ‘povero’ signor Anselmo che è accusato di ridere, ogni notte, nel sonno. Si tratta forse di sogni liberatori o di piacevoli compensazioni di una vita reale piuttosto squallida e fin troppo ordinaria; ciò che traspare con evidenza è che quel riso ha il sapore di una liberazione che alla fine della novella si rivela illusoria. Ogni notte dunque egli è svegliato dalla moglie che, indispettita per le sue risate, scarica su di lui gelosie e frustrazioni. Egli non ricorda mai quello che sogna e spera che quei sogni lo facciano volare lontano dalla realtà|. Il conforto del sogno, però, decade quando Anselmo ne ricorda| i contenuti: un quadro anomalo e grottesco che ha per protagonisti i suoi colleghi di lavoro. Nella delusione amara egli si rassegna sentendosi sfortunato anche nel sogno.

Che birbonata – scappò detto allora al signor Anselmo. – Dico esser lieto, almeno in sogno, signor dottore, e non poterlo sapere! Perché io le giuro che non ne so nulla!! Mia moglie mi scrolla, mi grida: «Tu ridi!» e io resto balordo a guardarla in bocca, perché non so proprio né d’aver riso, né di che ho riso. Ma ecco qua, ecco qua: c’era alla fine! Si, si. Doveva esser così.

Provvidenzialmente la natura, di nascosto, nel sonno lo aiutava. Appena egli chiudeva gli occhi allo spettacolo delle sue miserie, la natura, ecco, gli spogliava lo spirito di tutte le gramaglie, e via se lo conduceva, leggero leggero, come una piuma, pei freschi viali dei sogni più giocondi. Gli negava, è vero, crudelmente, il ricordo di chi sa quali delizie esilaranti; ma certo, a ogni modo, lo compensava, gli ristorava inconsapevolmente l’animo, perché il giorno dopo fosse in grado di sopportare gli affanni e le avversità| della sorte. Il signor Anselmo è egli stesso stupito delle sue reazioni, di un comportamento non propriamente idoneo al suo modo di essere e di comportarsi; ma resta affascinato e quasi confortato da quella che qualifica come occasione: il mondo dei sogni, la sua parte irrazionale gli permette di vivere le gioie che la realtà| del quotidiano stenta a mostrargli; si bea così di inconsapevoli delizie, che hanno il sapore della beffa proprio perché concesse ma non ricordate: una felicità inconsapevole di cui egli non può avere memoria. E meglio sarebbe non averne se si considera la reazione scatenata a seguito del sogno. Purtroppo però anche questa illusione doveva perdere il signor Anselmo. Gli avvenne una volta, per combinazione, di ricordarsi d’uno dei sogni che lo facevano tanto ridere ogni notte. aveva creduto di godere nei sogni! Oh Dio.. Oh Dio..  Nel sogno il protagonista ride per una proiezione della realtà| che si paleserà| presto come illusoria, teatrale e assurda, più di quella che egli è costretto a vivere nella blanda reiterazione dei gesti quotidiani: un accenno al gesto grottesco. Scrive Bronowski:

 «Riso inconsapevole e riso irrisorio sembrano costituire i due poli dialettici di una fase evolutiva della natura umana e rimanda all’umorismo esteriorizzato, al paradosso degli eventi che da un lato coglie il grottesco e dall’altro mostra la illusorietà| della vita» .

Nella novella Tu ridi, Pirandello utilizza il sogno per esporre la sua concezione umoristica della vita. Nemmeno nel sogno è data la felicità, soprattutto quando non se ne ricordano i contenuti, né si possono decrittare secondo mezzi cognitivi e razionali. La conoscenza, il ricordo del sogno e la sua trama, procurano nel protagonista una ennesima infelicità: è così deludente quanto ha sognato che quel riso ora diventa amaro, provocando una profonda insoddisfazione.

Scosso dalla moglie, con una strappata rabbiosa al braccio, springò dal sonno anche quella notte, il povero signor Anselmo. -Tu ridi! Stordito e col naso un pò fischiante per l’ansito del soprassalto inghiottì; poi disse aggrondato: Anche … perdio … anche questa notte?

La gelosia della moglie è assurda: la donna non riesce a sopportare l’idea che ogni notte suo marito rida, di una risata cordiale, grossa, rumorosa … quasi di felicità.

Certo la moglie del signor Anselmo è esagerata nella sua reazione, isterica in alcuni momenti ma non è forse vero che non si possono conoscere i sogni degli altri e di questo si può aver paura?

Cosa desidera il marito? Per cosa ride? Cosa vive nel mondo di Morfeo?

Impossibile a sapersi …

Il protagonista della novella cerca allora una soluzione al suo problema, al suo riso; stanco di essere svegliato ogni notte dalle urla della moglie va da un medico, convinto che il suo riso sia la base di qualche malattia: lui non ricorda cosa sogna, crede di non sognare per nulla addirittura e dunque non trova ragione alla sua allegria notturna.

-Eh non creda!Così le pare ma lei sogna; é positivo; soltanto non serba il ricordo dei sogni perchè ha il sonno profondo. Normalmente gliel’ho spiegato noi ci ricordiamo soltanto dei sogni che facciamo quando i veli, dirò così, del sonno si siano alquanto diradati. Lei sogna;  sogna cose liete e ride.

Pirandello sviluppa il tema del riso e dell’umorismo utilizzando come sempre quel “sentimento del contrario” che fa qui emergere ancora di più la desolazione della vita del protagonista. Questa contrapposizione riesce a far nascere nel lettore un senso di comprensione e pietà nei confronti dell’attore principale.

In un chiaro legame contenutistico con Kaos, Tu ridi è ricco di citazioni e allusioni, richiami e suggestioni che rimandano non solo alle novelle da cui è tratto, ma in generale alla poetica umoristica pirandelliana: mettendo in scena il gioco delle maschere in cui prende corpo l’inevitabile scissione tra immagine reale e immagine riflessa di sé, il film invita a riflettere sui motivi di alienazione dell’uomo moderno, sulle contraddizioni della vita, nonché sull’indissolubilità tra il comico e il tragico, intesi come due facce della stessa medaglia. Alla dolorosa e sofferta coesistenza di sentimenti antitetici, suscitati dall’aspirazione a ideali irraggiungibili e dal conseguente disinganno, Pirandello fa riferimento in diversi passaggi della sua opera, tra cui, in particolare, nella lettera dell’11 febbraio 1889 alla sorella Lina:

Mia buona Lina, il mio male è una tristezza profonda che ora scende all’ironia del riso, ora sale in un empito penoso a un desiderio amaro di lagrime. E vorrei piangere, piangere a lungo, o a lungo ridere per disfogare questa mia grande malinconia ma né l’una cosa, né l’altra mi è data, e il pianto sempre mi fa nodo alla gola, e il riso mi muore in una smorfia fredda sulle labbra [...]. Oh a quanti sogni, Lina mia, a quanti piacevoli inganni fattimi innanzi è necessario che rinunzi per produrre alla men peggio i miei giorni.

Aspetti del comico tra tracontraddizioni e incomunicabilità.

Questo riso che diventa smorfia esprime la triste allegria di Pirandello, il suo valore amaramente antifrastico e il suo modo di distruggere sogni e illusioni ponendo davanti la dura realtà.

Per Bergson il comico e il riso da esso suscitato sono da intendere come gesti sociali di denuncia in grado di mettere a nudo la meccanicità della vita ; per Freud il rapporto tra comico e umorismo è da analizzare alla luce delle dinamiche psichiche che presiedono alla produzione del comico nel motto di spirito; per Pirandello il comico e il riso sono causati da un elemento che è contrario rispetto a ciò che dovrebbe essere e permettono di cogliere il contrasto tra ciò che si vede e ciò che ci si aspetta di vedere. Mentre, infatti, l’umorismo è il «sentimento del contrario» che per opera della riflessione nasce in chi osserva una realtà che si propone come il contrario di ciò che dovrebbe essere, il comico, invece, è «l’avvertimento del contrario» e consiste in un’impressione superficiale che, senza coinvolgere la riflessione e senza andare in profondità sul perché della diversità, suscita il riso. Barilli (1987) afferma:

Da Pirandello scomponendo l’immagine, indagando i motivi che fanno apparire qualcuno differente dall’idea generale e comunemente accettata che gli altri hanno di lui, si coglie l’aspetto umoristico che, «per il suo intimo, specioso, essenziale processo, inevitabilmente scompone, disordina, discorda» . Se, dunque, il comico è ciò che fa ridere, l’umorismo è ciò che fa pensare e rende il riso amaro, «turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa»

Caratterizzata da riso e pianto, sdegno e compassione, la concezione pirandelliana della vita può, pertanto, essere riassunta nella metafora teatrale, per cui l’esistenza altro non è che un’«eterna commedia di mediocri passioni e di insulse vanità», come quelle portate sullo schermo dal film Tu ridi. La scomposizione umoristica della realtà può essere intesa, pertanto, come tentativo di metterne a nudo le contraddizioni, di porre in discussione valori e prospettive acquisite, di rappresentare la vita come una recita teatrale, di cui la ragione ci sfugge e in cui le parti sono assegnate. Scomporre la realtà e con essa la vita significa interrogarsi sul suo senso e sulle assurdità del quotidiano per crearsi una propria visione del mondo.

 

 

 

 

 

 

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