Il simbolismo nell’arte sacra
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- Category: Arte e spettacolo
- Creato: 07 Marzo 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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di Francesco Agnoli
L’edificio-chiesa è simbolo:
– del corpo di Cristo crocifisso: il transetto sono le braccia distese, la navata il corpo, l’abside la testa. La forma semi-circolare dell’abside ricorda la curvatura del capo umano. In alcune chiese l’asse dell’abside è inclinato rispetto a quello della navata centrale, proprio come la testa di Cristo crocifisso.
– della Chiesa spirituale: Cristo, dice S.Paolo, è il “capo del corpo che è la Chiesa”: la Chiesa viene paragonata ad un corpo fatto di tante membra e il suo capo è Cristo stesso. La chiesa-edificio è un insieme di pietre che formano il tutto: “pietre vive” che poggiano sulla “pietra angolare” che è Cristo per formare una comunità che è comunione dei Santi (Chiesa militante, purgante, trionfante). S.Pietro: “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo…”(1Pt.2, 4-6).
– dell’uomo: esso è infatti “tempio vivente di Dio”. Ogni uomo, soprattutto quando riceve l’Eucarestia, è tempio di Dio. Gesù afferma: “Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo farò risorgere”(Gv.2, 19). Il tempio in questione è il suo corpo, tempio della sua anima che è Dio stesso: “egli parlava del tempio del suo corpo”.
– della Gerusalemme celeste, e cioè la città di Dio, il Paradiso: è già la porta ad annunciarlo nella grande lavorazione che la contraddistingue. La porta romanica, con il suo protiro, la porta gotica, con le sue strombature e la ricchezza delle decorazioni, vogliono significare la distinzione fra i due spazi, l’interno e l’esterno, la chiesa ed il mondo profano (:pro=davanti,fuori; fanum=tempio).
La porta viene definita “ianua coeli”, porta del cielo: “Tu che entri, guarda verso il Cielo”, così è scritto sulla porta di ingresso della chiesa di Mozat; oppure un’iscrizione tolta dalla Genesi: “Quanto terribile è questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”(Gen.28, 17). La chiesa è l’ovile del Paradiso: “Io – dice Gesù – sono la porta da cui entrano le pecore…Io sono la Porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv.10, 7-9).
Il gotico ama le tre porte, simbolo della Trinità, consacrate contemporaneamente da tre sacerdoti diversi; le tre porte possono ripetersi su ogni lato, divenendo dodici, quanti gli apostoli, capostipiti delle dodici tribù della Nuova Israele.
Il modello che Suger, l’autore della prima chiesa gotica, vuole seguire, è la descrizione dell’Apocalisse: “Vidi anche la città santa, la Nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente…‘Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio con loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi…’. L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme che scendeva dal cielo…Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte…A Oriente tre porte, a Settentrione tre porte, a Mezzogiorno tre porte e ad Occidente tre porte…Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a vetro puro…Non vidi alcun tempio in essa perchè il signore Dio, l’onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, nè della luce della luna, perchè la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”(Ap.21).
Cosa fa Suger a Saint-Denis? Vuole inondare tutto di luce, di “oro puro”, di “vetro puro”, di diaspro e pietre preziose, come nella Gerusalemme celeste, soprattutto nell’abside, il luogo dei più abbaglianti incontri con Dio. Fa abbattere le pareti del coro per unificarle nella luce; sostituisce le grosse strutture in pietra con colonnne esili, pietra traforata e con quelle grandi vetrate tipiche del gotico, che, talora, vengono ad occupare tutto l’abside, come nella Saint-Chapelle di Parigi.
Adorna il sepolcro di san Dionigi, le pareti, l’altare, di oro, argento ma soprattutto di cristalli, pietre smerigliate, materiale trasparente e traslucido con cui la luce penetrata dalle grandi finestre possa giocare, riflettersi, propagarsi fra luccichii e bagliori. Scive Suger: “Perciò, quando per l’amore che nutro per il decoro della casa di Dio, la multicolore leggiadria delle gemme mi distrae dalle preoccupazioni terrene e, trasferendo anche la diversità delle sante virtù dalle cose materiali a quelle immateriali, l’onesta meditazione mi persuade a concedermi una pausa…mi sembra di vedere me stesso in una regione sconosciuta del mondo, che non è completamente nè del fango terrestre, nè si trova del tutto collocata nella purezza del cielo, e mi sembra di essere in grado di trasferirmi, con l’aiuto di Dio, da questo mondo inferiore a quello superiore, in modo anagogico”.
Sulla porta fa apporre questa iscrizione, in latino: “Chiunque tu sia che vuoi esaltare l’onore di queste porte, non ammirare l’oro nè la spesa, ma la fatica dell’opera, opera nobile che splende, ma che splendendo nobilmente illumini le menti, affinchè attraverso lumi veri giungano alla vera luce, dove è Cristo, porta vera”.
La chiesa gotica finisce così per presentarsi come ad un visitatore del XVII sec. della cattedrale di Leon: “Di altre chiese si dice che sembrano una coppa d’argento; di questa si può dire che non solo sembra, ma è una coppa di vetro da cui si può bere”.
Nella Gerusalemme celeste dell’Apocalisse non c’è il sole, perchè Dio stesso è il suo sole che la illumina e la vivifica: nelle chiese gotiche vengono aperti i rosoni, immagine della perfezione del cerchio, nuovi soli che illuminano le cose e simboleggiano la luce spirituale.
E’ un nuovo simbolismo solare che si aggiunge ai precedenti: fin dai primi tempi le chiese vengono volte ad Oriente, verso il “sole che sorge e viene ad illuminare coloro che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte”. All’aurora, mentre i raggi del sole sorgente invadono l’abside e l’altare, i monaci si alzano a cantare, per salutare il “Sol Salutis”, la luce di Cristo che è venuto da oriente per salvare l’umanità; la sera sono i raggi del “Sol Iustitiae”, che giunge a giudicare alla sera del mondo, ad essere accolti nello spazio sacro e circolare dell’abside.
La luce è dunque la caratteristica della Gerusalemme celeste come delle cattedrali gotiche. Proviamo a vedere alcuni perchè. Anzitutto è la prima parola della creazione: “Dio disse: ‘Sia fatta la luce’ ”; Grossatesta commenta: “La prima parola del Signore creò la natura della luce e disperse le tenebre, e dissolse la tristezza e rese immediatamente ogni specie lieta e gioiosa. La luce è bella di per sè, poichè la sua natura è semplice, e ha in sè tutte le cose insieme; perciò è massimamente unita, e proporzionata a sè in modo assai concorde a causa dell’uguaglianza; invece la concordia delle proporzioni è bellezza…Essa fra le cose corporali è la dimostrazione più evidente per via analogica della somma Trinità. Perciò Dio, che è luce, giustamente ha cominciato l’opera dei sei giorni dalla luce stessa, di cui tanto grande è la dignità”.
In secondo luogo si può dire che, fra le creature corporali, la luce è quella che maggiormente può essere considerata vestigio di Dio, secondo il concetto filosofico per cui ogni effetto o creatura è in parte simile ed in parte differisce dalla causa o creatore: come il manufatto di un artigiano “contiene” qualcosa dell’artigiano stesso, la sua fantasia, la sua abilità, ma ne è inferiore, così anche le creature di Dio sono, più o meno, immagine di Dio.
Egli, dice S.Bonavventura, “relucet et latet” nelle creature, e, fra queste, riluce soprattutto nella luce:
– Dio è Verità che conosce perfettamente se stesso e permette alle realtà spirituali, agli occhi dello spirito, di conoscere la verità spirituale. Come verità ha soprattutto la capacità di manifestare e di manifestarsi: la luce del sole è ciò che nel mondo maggiormente manifesta e si manifesta, facendo conoscere agli occhi della carne le realtà materiali.
– Dio è Vita, colui che la dà e che in essa ci mantiene: la luce del sole è principio fondamentale di vita per tutta la natura, nella generazione, nel mutamento e nella corruzione.
– Dio è Spirito invisibile e la luce è un corpo “spirituale”, il corpo materiale che più assomoglia alle realtà spirituali, alla dimensione metafisica, intangibile, impalpabile eppure evidente, anzi l’evidenza stessa.
– Dio è Bellezza, e la luce, secondo il francescano Grossatesta, è “maxime pulcrificativa et pulcritudinis manifestativa”, e cioè massimamente capace di manifestare le altre bellezze e nello stesso tempo di conferire bellezza anche alle cose che di per sè non la possiedono.
– Dio è Unità, Uguaglianza e Semplicità: la luce, in un certo senso, genera se stessa da se stessa – come Cristo è il “lumen de lumine”, il “lumen genitum”- senza dividersi, mantenendo unità nella sua espansione, avendo la più grande armonia possibile nella perfetta proporzione ed unità delle sue “parti”.
Inoltre, come notava uno dei primi grandi scienziati della luce, si muove secondo due figure: la retta ed il cerchio, cioè le figure che hanno massima semplicità, “unità ed uguaglianza senza angolo”. Tutti gli altri movimenti della luce, e cioè la rifrazione e la riflessione (linee spezzate) non sono propriamente naturali, in quanto nascono da ostacoli interposti alla luce.
Rimanendo nell’osservazione scientifica si può notare che la luce è una sola, la luce bianca, ma contiene in sè i tre colori primari, i quali danno a loro volta i sette colori dell’iride: essa dunque richiama Dio come Unità e Trinità ad un tempo, e lo Spirito Santo come datore dei sette doni, le sette lampade dell’Apocalisse, i sette sacramenti…; mentre il nero, che contraddistingue le tenebre, non è un colore, ma assenza e privazione di colore e di luce.
– Dio è Bene, ed in quanto tale “diffusivum sui”, diffusivo di sè, donatore e propagatore di vita, come la luce stessa è diffusiva di sè, ed è come la Carità (=Bene) “che tutto abbraccia”.
L’immagine della Gerusalemme celeste, posta su di un “monte grande e alto” (Ap.21,10) ne richiama un’altra: la chiesa, l’altare è immagine del monte santo, “il santo monte Sion, dove hai preso dimora”( Salmo 73). Nella messa noi diciamo, ripetendo il salmo che gli ebrei cantavano inerpicandosi sul monte Sion per andare al tempio: “Emitte lucem tuam et veritatem tuam: ipsa me deduxerunt et adduxerunt in montem sanctum tuum et in tabernacula tua”.
Questa montagna luminosa è come la chiesa di Mont Saint Michel o Montmartre a Parigi, ma anche come l’altare di pietra sopraelevato e illuminato dai candelabri:simboleggia il Sinai, dove Mosè riceve la legge; il Carmelo, dove Elia incontra l’eterno, il monte Sion, dove gli ebrei avevano il tempio, il Tabor della trasfigurazione, il Golgota, su cui Gesù è morto in croce. Per questo, nella vecchia messa, per cui il romanico, il gotico, il barocco…sono costruiti, l’altare è rialzato e di pietra, con le reliquie dei martiri dentro; di pietra come i monti santi; di pietra come l’altare del Genesi eretto da Giacobbe (Gen.28); di pietra come l’altare degli olocausti nel tempio di Gerusalemme; di pietra come Pietro, su cui è costruita la Chiesa e come Cristo, “pietra angolare che i costruttori hanno scartato”.
A Cristo si riferisce Isaia quando dice: “Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà”(Is.28, 16); e S.Paolo: “bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo (petra erat Christus, I Cor.10, 3-4). S.Ambrogio ci dice che l’altare è immagine del Corpo di Cristo in quanto è Cristo stesso, immolatosi sulla croce, ad essere divenuto altare del Sacrificio fatto a Dio Padre.
Parlando di lui la Scrittura ci dice: “Noi abbiamo un altare” (Eb.23, 10).
L’altare diventa così il centro del mondo, come nella Scrittura lo sono Gerusalemme ed il monte Sion: non il centro geografico ma il centro spirituale, come dimostrano il ciborio o il baldacchino postivi sopra: un tempio nel tempio, un tempio costituito da quattro colonne, simbolo della terra, dei quattro elementi, dei quattro punti cardinali (i quattro venti, i quattro angoli del mondo), e da una semisfera, simbolo del cielo, e per questo, spesso, stellata e azzurra. Il significato della cupola è uguale: la base quadrata simboleggia la terra, il cerchio, figura perfetta, è immagine del cielo.
Questo perchè la chiesa, nel suo complesso, è anche immagine del mondo intero, della creazione, della grande cattedrale della natura edificata da Dio. Tutto il mondo è infatti pieno della sua gloria: “Tutta la terra è piena della tua gloria” (Is.6,3), anche se la chiesa ha in più una presenza particolare, quella di Cristo, anche col suo corpo, nel “sancta sanctorum” del tabernacolo. Questa immagine dell’universo è così espressa da S.Gregorio Magno: “Nell’ora del sacrificio, alla voce del sacerdote i Cieli si aprono…a questo Mistero partecipano anche i cori angelici…il cielo e la terra si uniscono, il visibile e l’Invisibile divengono una sola cosa”; e S. Massimo Confessore: “E’ cosa davvero mirabile che, nella sua piccolezza, (questo tempio) sia simile al vasto mondo…Ecco che la sua copertura è tesa come i cieli: senza colonne, incurvata e chiusa; e inoltre è ornata da mosaici d’oro come il firmamento lo è da stelle brillanti. Ed ecco che la sua cupola elevata è paragonabile al cielo dei cieli. E, simile ad un elmo, la sua parte superiore riposa saldamente sulla parte inferiore. I suoi archi, vasti e splendidi, assomigliano inoltre, per la varietà dei colori, all’arco glorioso, quello delle nubi”.
Tabernacolo: qui la presenza di Dio è completa, è l’Emmanuele, il “Dio con noi” dell’Apocalisse, e, come “padrone di casa”, è posto in posizione centrale e immediatamente visibile. Ci sono diversi tipi di tabernacolo: anticamente si usava spesso una colomba sospesa in aria sopra l’altare; poi, col barocco, si affermano soprattutto due tipologie: il tabernacolo basso e disadorno (sormontato da uno spazio per l’esposizione), che ricorda il Sepolcro dove Gesù fu deposto dopo la morte in croce (rammenta quindi il carattere sacrificale della messa); il tabernacolo a forma di tempietto, con la cupola, le colonnine: una piccola “Domus Dei” all’interno di quella più grande che è la chiesa.
Prima del gotico, in cui la luce è quella del sole, delle vetrate e dei cristalli, per rendere l’idea della chiesa come Gerusalemme celeste si usava lo sfondo dorato, soprattutto nell’arte bizantina. L’oro è anch’esso luce, luce particolarmente preziosa, ed ha la proprietà di collocare le figure fuori del tempo e dello spazio, e cioè in una dimensione completamente soprannaturale: Dio, il Paradiso, i santi, sono nell’eternità, non sono limitati dallo spazio, dal tempo, dalle cose terrene.
Per questo le chiese protestanti (e anche quelle “cattoliche” odierne) che rifiutano la concezione della messa come sacrificio, come Gerusalemme celeste, come immagine di Cristo e della sua creazione, sono totalmente diverse.
La “messa” protestante necessita di una chiesa protestante: non più volta ad Oriente, non più pianta a croce, non più luce, finestre gotiche, sfondi oro; non più altare rialzato, altare di pietra, sormontato dal tabernacolo: ma tavola di legno, a livello del terreno, dove si compie una cena, un memoriale, un incontro fra uomini, assemblea e presidente, non nella casa di Dio ma in una casa degli uomini, dove sulla porta, che è uguale a quelle normali, non ci può più essere scritto: “Tu che entri guarda verso il cielo”.
Dov’ è il cielo, dove la cupola, il ciborio, il baldacchino, l’azzurro e le stelle delle volte, il rosone…? Dov’è il tabernacolo, la tenda dell’Emmanuele, il “Dio con noi” ? Dove sono le mura di diaspro, d’oro, di topazio, di vetro puro della Gerusalemme celeste dell’Apocalisse; i suoi cittadini, le statue dei santi, la pietra sui cui poggiare, solida, forte, da cui scaturisce il cibo spirituale? Non c’è più il canto gregoriano; gli amici di Lutero abbattono gli organi, bandiscono l’armonia di una musica che vuole avvicinarsi al coro degli angeli della corte divina, piuttosto che al canto profano, legato alle cose terrene. Si potrebbe continuare a lungo in questo triste elenco, ma una cosa sola ci deve importare: le chiese “cattoliche” moderne, quelle inaugurate per il Giubileo, addirittura senza croce, con il bar all’interno della “chiesa”, sono espressione, triste e squallida, di una grande decadenza; sono esattamente uguali alle chiese protestanti…
La nuova “arte”nasce alla fine degli anni sessanta: bisogna fare della messa una cena, un’assemblea, qualcosa di umano, un “mangiare attorno alla stessa tavola”; quindi bisogna trasformare la casa di Dio nella casa dell’uomo, dell’assemblea, farne un “teatro totale”, secondo l’auspicio degli innovatori legati al cardinal Lercaro, grande artefice della riforma liturgica ( G.Lercaro, “La chiesa nella città: discorsi e interventi sull’architettura sacra”, Paoline, 1996). La Gerusalemme celeste diviene allora un “teatro”; l’altare “il simbolo dell’assemblea”; il monte Sion, il Golgota, una collina da spianare; la cupola un cielo da abbattere e trascinare sulla terra, come in genere la dimensione soprannaturale, nell’unica dimensione ormai riconosciuta, quella orizzontale, dall’uomo all’uomo.