"La memoria fra Arte e Spiritualità" di Giovanna Cavarretta

   Sin dagli albori della nostra era, fu la memoria a rivestire l’importante funzione per la conservazione delle informazioni acquisite grazie all’esperienza e alla conoscenza e per questo ebbe un ruolo ben definito nell’antica Grecia. “Mimnèsco” (io ricordo) è il verbo che stava ad indicare la capacità di custodire accadimenti del passato. Un verbo che si richiama infatti a Mnemosyne, dea e personificazione della memoria. Secondo il dettato della mitologia, allora tramandata oralmente, fu concubina di Zeus e madre delle nove Muse protettrici delle arti, della poesia e dell’astronomia. Queste divinità rappresentavano l’ideale supremo del concetto di Arte, intesa da Walter Friedrich Otto come verità del “Tutto”, ossia come “l’eterna magnificenza del divino”. In “Theophania” l’autore ne delinea le peculiarità: “Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli Dei, l’appellativo di olimpiche”.  Era questo l’appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere ma, originariamente, detto onore fu riservato soltanto al Signore dell’Olimpo e alle Muse. E fu Apollo, dio delle Arti, uno dei sei maschi (gli Dei dell’Olimpo erano dodici, quindi parità di genere) a guidarle nell’ardua missione. La sua figura venne legata alla sapienza sia essa filosofica che religiosa. Si riteneva che erano Esse ad evocare nei poeti la memoria di eventi passati o ad offrire visioni che ne costituissero fonte d’ispirazione. Grazie a tale intervento i poeti potevano potenziare l’efficacia della parola, i musicisti i divini accordi e i danzatori i leggiadri movimenti. Oltre a queste mansioni le Dee assurgevano al grande compito di tramandare e preservare nel tempo la bellezza e l’armonia delle arti.  Fin qui il mito. Infatti la Memoria, al di là delle originali e affascinanti genealogie “olimpiche” utili a spiegare ciò che la mente umana non poteva, era l’unica in grado di ispirare un artista a “poiein” cioè a creare (da dove “poiesis” - poesia) e la sola capace di conservare leggi e tradizioni quando ancora non esisteva la scrittura. E quando ciò avvenne, il luogo per eccellenza a ciò deputato per la custodia dello scibile umano, fu nell’antichità, la Biblioteca di Alessandria. Fu lì che si conservò tutto il sapere acquisito dall’uomo in tutti i campi della speculazione. Ineguagliabile luogo del sapere, venne distrutta una prima volta per calcolo politico dai romani e una seconda per fanatismo religioso dagli arabi. Qualcosa, comunque, si salvò e fu recuperato nel Medioevo dai monaci amanuensi la cui attività certosina ed encomiabile verrà poi sostituita con i caratteri mobili della stampa. In sintesi, possiamo così riassumere il tracciato della conservazione della memoria in questa cronologica “consecutio temporum”: tradizione orale, tavolette d’argilla babilonesi con la “scrittura” cuneiforme, linguaggio sacro dei geroglifici egiziani, papiri, pergamene e infine carta (cinese). Un tracciato che accompagnò il progresso delle civiltà ma “ab initio” è comunque alla memoria ancestrale e alle sue fonti essenziali che si deve il graduale sviluppo dei popoli. Quindi, sebbene cambiassero i modi, essa rappresentò una grande risorsa sia per l’evoluzione storico-sociale di una civiltà che per la crescita individuale. Infatti furono le tappe più salienti del personale percorso esistenziale, quelle che si depositarono nei meandri di un sapere acquisito ed esperito e a consegnarci “la chiave della libertà mentale e spirituale”. La carica simbolica che le narrazioni rappresentano in parole e in opere, rispecchiano, infatti, la profonda realtà spirituale dell’essere umano. Essa fu ampiamente dimostrata dagli studi sulla mitologia condotti da Carl Gustv Jung e di questi uno fu fondamentale per comprendere lo stretto legame che intercorreva tra questa e la psicologia. Il vocabolo “memoria” (mneme in greco) è connesso al cervello e ospitato in quella sfera del mentale che si occupa di gestire la parte logico-razionale del vivere quotidiano. Ma la mente però, come “magazzino del cervello”, si trova in netta opposizione con l’accezione di memoria quale “sede del ricordo”. Infatti, la parola “ricordo” (dalla declinazione latina “re-cor, re-cordis…) significa “richiamo al cuore” e il cuore fu ritenuto la dimora per eccellenza dei sentimenti, affetti e passioni. Esso peraltro è simboleggiato dal filo d’Arianna che congiunge terra e cielo, mondo visibile ed invisibile quale fosse anello di raccordo tra la dimensione terrena e la dimensione ultraterrena, tra il contingente e il trascendente. Queste due parti del corpo, cioè mente e cuore, metaforicamente corrispondenti ai due piani della realtà, fisica e sovrasensibile, riconducono l’uomo nella sua unità, alla sua vera natura, cioè al poter ricongiungere la propria essenza all’interno dell’ordine cosmico. Un esempio di codesta omogeneità c’è stato consegnato da Giacomo Leopardi ne “Le ricordanze” in cui il poeta opera una sintesi tra l’Universale e il personale, l’astrale e il collettivo. Queste due suddivisioni, che compongono la personalità umana, recano in sé immagini e rappresentazioni di ciò che si vuole mettere in luce in connubio con alcuni dati memoriali. E non solo. La memoria, a seconda del piano o del livello a quale si rinvia, può essere soggetta a diverse interpretazioni. Vi è, per quel che riguarda queste note, anche una memoria artistica, le cui opere intrise di meraviglia incarnano lo spirito del tempo in cui sono realizzate. Essa diviene in tal modo una sorta di serbatoio di valori e virtù da trasmettere ai posteri e tra questi non possiamo non rilevare gli ideali di bellezza ed armonia che l’Arte ci dona. Si descrive così l’immane potenza etica che essa rappresenta, giacchè ci illumina la strada verso il sentiero dell’amore e della solidarietà fra i popoli. Una spiritualità, quindi, che tramite l’Arte, si riverbera nella vita di ogni individuo. Ma l’influenza del bello, a volte consapevole altre no, non risulta però essere rilevante per il nostro Sé Superiore, dal momento che l’individuo fortemente attratto dall’armonia della Bellezza, è oggetto di una meravigliosa sensazione o emozione. Ed è quell’ Armonia che cristallizzandosi nella memoria di chi la osserva, riesce a far parte di quelle rimembranze che poi formeranno il suo bagaglio personale. In conclusione, da quanto esposto, possiamo osservare che la funzione più importante della memoria, tanto nell’Arte quanto nella Spiritualità, in intima connessione con i suoi “ricordi”, sia quella di restituirci alla nostra essenza e spesso anche di accendere in noi quel fuoco della consapevolezza che spesso in essa si cela.    

da: "Insight", gennaio 2024

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