Per chiudere con il «Nabucco» - di Carmelo Fucarino
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- Category: Arte e spettacolo
- Creato: 02 Novembre 2022
- Scritto da Redazione Culturelite
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Proprio con il Nabucco si era aperta Il 22 gennaio 2010 la stagione lirica del Teatro Massimo, dodici anni fa, con altre gestioni e protagonisti, in un clima eccezionale, tanto che ci sembra siano passati secoli. Si era appena riattivata nel 1997 per fermo impegno dei protagonisti della Fondazione l’attività del teatro, chiuso per restauro dal 1974.
Perciò a quella edizione rimandiamo (http://www.lionspalermodeivespri.it/wordpress/2010/01/25/inaugurazione-stagione-lirica-palermitana/) per la storia dell’opera e i suoi risvolti artistici e narrativi, da una parte il preminente impegno politico e dall’altra l’intricata storia di amore, nella contesa della triade dei romanzi di amore, proposta da Solera a un Verdi devastato dai lutti.
Con questa nuova edizione si conclude il primo anno della nuova gestione del sovrintendente Marco Betta e di una diversa organizzazione operativa, cioè l’allestimento del Teatro Massimo con la coproduzione del prestigioso Teatro Regio di Torino.
I tempi sono cambiati da quella prima al Teatro alla Scala di Milano, terza opera lirica di Verdi, il 9 marzo 1842, alla presenza di Gaetano Donizetti. Da allora fu approfondito il rapporto con il Risorgimento politico e fu proposto spesso il Va, pensiero, ripreso da Temistocle Solera dal salmo 137, Super flumina Babylonis (Sui fiumi di Babilonia), come inno nazionale in sostituzione dell’Inno di Mameli, Fratelli d’Italia, adottato per consuetudine come inno nazionale provvisorio il 12 ottobre 1946, e reso inno nazionale ufficiale con legge nº 181 del 4 dicembre 2017.
Questa interpretazione del Coro del teatro, diretto dal maestro Salvatore Punturo si è meritata, come di rito la richiesta e l’esecuzione del bis, di quel coro in genere oggi di fama popolare ed internazionale, complesso e completo nella tematica e nella musica, il Va, pensiero di rito. E il maestro ha saputo cogliere lo spirito corale dell’opera intera, quasi una rivisitazione dell’immensa coralità eschilea, in modo perfetto ad esprimere quel profondo senso corale di un popolo che trema e dispera per la sua libertà, quella Italia da liberare e unificare che fu sottofondo e meta dell’opera verdiana, quel Vittorio Emanuele Re di Italia.
Il cast intero è di grande fama internazionale a cominciare dal 45enne (16 Aprile 1977) direttore Francesco Lanzillotta, che nel fisico e nella gestualità della direzione quasi assente sembra quasi un ragazzino, ma ha alle spalle diciassette anni di carriera, spesa con grande successo nei maggiori teatri italiani e stranieri, a cominciare come Direttore Principale Ospite del Teatro dell’Opera di Varna in Bulgaria. Negli ultimi anni ha diretto nei più importanti teatri italiani, Torino, Venezia, Napoli, Palermo, Macerata, Roma, Firenze, Bologna, Pesaro, Verona, Milano, Parma, Trieste, Treviso, Ferrara, Cagliari, Benevento, Lecce, L’Aquila e altri. Molto attivo in Europa ha debuttato alla Deutsche Oper di Berlino, inaugurato la stagione 2019 alla Semperoper di Dresda, ha diretto a Zurigo, Valencia, Parigi, Bruxelles, Monaco, Lione. In questo 2022 debutta a Vienna con I puritani alla Wiener Staatsoper ed è invitato nuovamente a Francoforte dopo aver diretto La traviata nel 2018, per dirigere una nuova produzione di Ulisse di Dallapiccola. Molto attivo in Russia, ha diretto a San Pietroburgo l’Orchestra Filarmonica della città e il coro dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma in un programma sinfonico, a Mosca The Novaya Rossiya State Symphony Orchestra e al Bolshoi Le nozze di Figaro che ha ripetuto a Pechino, a Budapest L’italiana in Algeri e in Corea del Sud e a Toronto diversi programmi sinfonici. A Montpellier ha debuttato con Gianni Schicchi di Giacomo Puccini e La notte di un nevrastenico di Nino Rota. Al Festival di Erl, nel dicembre 2022 vi dirigerà Don Pasquale di Donizetti e un programma sinfonico. Così dopo il debutto nel 2021 tornerà alla Monnaine di Bruxelles per un grande progetto donizettiano, impegnato come direttore e compositore. Non è facile affrontare l’opera degli “ottoni”, perciò criticata allora in Francia anche con un celebre epigramma, ma che ha aperto la stagione della Scala nel 1946, 1966, 1986.
Che dire del baritono Roman Burdenko? Basterebbero i premi ricevuti in concorsi alla sua San Pietroburgo (2007), ove si è diplomato nel 2008 al Conservatorio statale Rimsky, e ove ha ricevuto in quell’anno due premi, altri a Colmenar Viejo in Spagna e ancora a San Pietroburgo nel 2009, a Parigi e Barcellona ne 2011, a Pechino ad Amsterdam nel 2013, tanto per citare i più prestigiosi. Nato nel 1984 ha studiato al Conservatorio statale Glinka Novosibirsk prima di trasferirsi al Conservatorio statale Rimsky-Korsakov di San Pietroburgo da cui si è diplomato nel 2008. Nel 2009 si è formato nel programma Young Opera Singers presso l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. È stato quindi solista con il Teatro Mikhailovsky e il Teatro Accademico Statale dell'Opera e del Balletto di Novosibirsk ed è entrato a far parte della Mariinsky Opera Company nel 2017.
La sua presenza risulta encomio e lode al sovrintendente Marco Betta, ma anche al pubblico palermitano che non ha lesinato lunghi ed entusiastici applausi anche al “baritono russo”, in confronto all’arte “politica” e alla sventurata caccia alle streghe in generale, alla «deputinizzazione» del Teatro alla Scala e con il caso eclatante dell’abiura etnica della soprano russo Anna Netrebko, alla quale Putin nel 2008 aveva conferito al Teatro Mariinskij il titolo di "Artista del popolo della Russia” e del direttore d’orchestra Valery Gergiev. Nonostante il postumo pentimento del sovrintendente Dominique Meyer, intervento politico estremamente vergognoso ed indegno di un teatro e di una città che si ritiene città d’arte e di cultura il diniego alla prima del 7 dicembre all'opera Boris Godunov (1874) di Modest Musorgskij, compositore russo dell'800 (Karevo, 21 marzo 1839 - San Pietroburgo, 30 marzo 1881).
Ugualmente stupenda l’Abigaille del soprano polacco Ewa Płonka, che dal dottorato in pianoforte è passata all’Artist Diploma in Opera Studies nel 2016. Non minori titoli di onore la Fenena del mezzosoprano Silvia Beltrami, specificamente di vocazione verdiana con le quali opere ha mietuto successi in tutti i teatri italiani, dal Teatro Regio di Parma alla Fenice di Venezia, all’Opera di Roma ed al Regio di Torino, all’Arena di Verona, al Comunale di Bologna, all’Opera di Firenze, all’Opera di Roma, al Petruzzelli di Bari, al Regio di Parma, al Lirico di Cagliari, a Modena e Reggio Emilia, ma soprattutto nei più importanti Festival Internazionali, dal Bolshoi di Mosca, all’ NCPA di Pechino, al ROH di Muscat, all’Opera di Graz, allo Staatsoper di Hannover, al Teatro Real di Madrid, al Seoul Art Center, a Bilbao e Oviedo.
Zaccaria è rivissuto dal basso Luca Tittoto, voce nuova del repertorio barocco, mozartiano e belcantistico, da Vivaldi ad Handel, dal Barbiere di Rossini a Bologna, alla Lucia di Lammermoor al nostro Teatro Massimo, dalla Carmen a Torino e alla sua presenza ad Amsterdam, al Covent Garden, all’Opera di Oslo, a Madrid. Nel 2018, aficionados, è tornato a Palermo con la Norma e l’Italiana in Algeri.
L’Ismaele del tenore Vincenzo Costanzo, uno dei più giovani tenori del panorama operistico internazionale (classe 1991), ha lasciato qualche perplessità nel pubblico, nonostante l’Oscar della Lirica (New Generation Tenor award) a Doha (Qatar) nel 2014 e la presenza fra artisti di grande valore internazionale come Myung-whun Chung al Teatro La Fenice di Venezia e a Tokyo, con James Conlon al Teatro Real di Madrid, con Emma Dante al Teatro Massimo di Palermo, ove è stato anche Rodolfo in La bohème, con Daniel Oren e Franco Zeffirelli all’Arena di Verona e Liliana Cavani al Gran Teatre del Liceu di Barcellona.
Meritati gli applausi, senza le critiche dei tradizionalisti, che si sono trovati davanti alla scenografia monumentale, ma semplice di Dario Gessati, il tempio e poi il muro del pianto, e a personaggi vestiti da Tommaso Lagattola con supposti abiti adattati a quelli di antichi ebrei. Tutto è giocato sul caleidoscopio cromatico: smagliante l’uniformità del bianco dei coristi ad inizio, la varietà rilucente e l’assortimento di tanti e svariati colori forti nelle diverse azioni dei personaggi.