Amalia De Luca "Poesie 2002 - 2021" (Ed. Thule) - di Corrado Calabrò

Una levità pensosa caratterizza la poesia di Amalia De Luca.
 
Levità che a volte sottende una pregnanza di senso concettuale e evocativa.
 
“Appartenenza consapevole/ al non essere dell’essere” evoca, non so quanto intenzionalmente, la  riflessione di Eraclito “Noi scendiamo  e non scendiamo nello stesso fiume; noi stessi siamo e non siamo.”
 
Così pure, nella stessa poesia, “Assurdo incommensurabile/ dell’infinito nel finito” sembra incorporare l’osservazione di Platone “La bellezza è mescolare in giuste proporzioni il finito e l’infinito.”
 
Sì, la poesia oscilla tra “il desiderio di scoprire dietro il concreto sensibile l’astratto più vero e lo sforzo per fare apparire quella realtà nascosta sotto una forma percepibile da parte dei sensi” (Jacques Le Goff).
 
Amalia De Luca non ignora il tormento e l’estasi di questa ricerca, al tempo stesso dell’oltre e della percepibilità, nella dualità così difficilmente unificabile; non a caso intitola la sua poesia Nuovo Dualismo.
 
Ma sa che la poesia non nasce volontaristicamente, affiora da una “quiete levitante” nel silenzio della  notte. E ad essa si affida con versi fermentanti per un segreto lievito nel silenzio, suo tenero amante.
 
“Parole mai dette/mille volte pronunciate” e non intese “forse….è possibile leggerle/nel fruscio del vento/percepirle/nel profumo della vita/ avvertirle; forse con un abbraccio/comunicarle” (Comunicazione).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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