“Annie Ernaux: una narrazione del nostro tempo” di Maria Nivea Zagarella

A due anni (2022) dalla assegnazione del premio Nobel per la Letteratura alla scrittrice francese Annie Ernaux, si vuole tornare sulla sua opera perché specchio significante di una intera generazione, la nostra, nata e operante fra il 1940 circa e questi inizi del 2000. Tre libri aiutano in tale ricostruzione: Gli anni (2008), Memoria di ragazza (2016), Il ragazzo (ed 2022). Elementi caratterizzanti della sua ricerca letteraria e esistenziale sono l’autobiografia e la “memoria”, ma anche il proposito di vendicare -come afferma nel discorso per il conferimento del Nobel- la sua razza e il suo sesso. Il riferimento investe le origini familiari, dato che i genitori e i suoi parenti erano contadini senza terra, operai e piccoli commercianti disprezzati per le loro maniere, il loro accento, la loro mancanza di cultura, e la condizione della “donna”, non ancora libera secondo la Ernaux, neanche ai più alti livelli di realizzazione, dallo stigma di “minorità” rispetto al maschio, se nel 2022 legge il suo Nobel come un segnale di giustizia e di speranza per tutte le scrittrici, quasi che pure in campo letterario vengano tutt’oggi centellinate alle donne “credibilità” e “legittimazione”. Precisa infatti nel discorso che in Francia e in tutto il mondo ci sono intellettuali maschi per i quali i libri scritti dalle donne non esistono, non li citano mai. Pertanto vede nel premio conferitole una vittoria collettiva che condivide con tutti coloro e tutte coloro che auspicano più libertà, più uguaglianza e più dignità per tutti gli esseri umani, qualunque sia il loro sesso e il loro genere, la loro pelle e cultura. Quanto al suo personale itinerario letterario ricorda che il desiderio e l’orgoglio di scrivere, da lei formulati sin dal 1960 e poi smorzatisi per i sopravvenuti impegni familiari (Ernaux è il cognome dell’ex marito) e per l’insegnamento, ricevettero un forte impulso dalla morte del padre, dalla presenza nelle sue classi di studenti di ceti popolari come il suo, dai movimenti mondiali di contestazione di fine anni ’60 e anni ’70, femminismo compreso. Perciò ha voluto inscrivere la sua voce di donna e di inizialmente colpevole transfuga (per vergogna) dalla sua classe in quel luogo sempre di emancipazione che è la letteratura, intesa ovviamente come impegno di lotta, o almeno lucida presa di coscienza!

Ne Gli anni la “memoria” si impegna a ricostruire un tempo comune, quella dimensione vissuta della Storia -appunto la nostra, di cui prima si diceva- ritrovando la scrittrice, come annota a fine libro, in una memoria individuale (la sua) la memoria della memoria collettiva. Pertanto procede in successione cronologica lineare ora attraverso il commento distaccato in terza persona di foto e brevi filmati personali (“Lei”), ora attraverso la riproduzione dell’anonimo “vociare” dei commensali ai pranzi festivi di famiglia, con continui riferimenti a canzoni film libri spettacoli televisivi elenco puntuale di fatti di cronaca e eventi storico-politici tutti riconducibili ai nuclei temporali volta a volta selezionati e anch’essi narrati in terza persona, o usando il “noi” o l’impersonale “si”. E scorrono sotto i nostri occhi una epocale evoluzione di costumi, mentalità, sensibilità (approdo a: contraccezione, libertà sessuale, divorzio, aborto, libera coabitazione, voto a 18 anni, riduzione ore lavorative, welfare, educazione permissiva e al successo individuale, consumismo…) e mutamenti storici che ci hanno tutti attraversati: dalla cortina di ferro e decolonizzazione (Vietnam, Algeria) a Mao, il ’68, caduta del muro di Berlino, fine dell’Urss, trattato di Maastricht, l’11 settembre 2001. L’opera resta tuttavia autobiografica, una ideale matriosca, che restituisce, le une dentro le altre, le stagioni successive della vita dell’autrice fattesi tutte “scrittura”, cioè altri libri qui solo allusi o prefigurati, come Memoria di ragazza e Il Ragazzo. Le chiavi di lettura di questo suo modo di procedere le fornisce la stessa Ernaux, quando come occhiello al racconto breve Il Ragazzo annota: Se non le scrivo, le cose non sono arrivate fino al loro termine, sono state soltanto vissute, o quando nello stesso racconto o ne Gli anni scrive che l’amore con quel ragazzo di 30 anni più giovane le fa ripercorrere tutte le età della sua vita (le sembra di raggiungere fuggevolmente tutte le forme dell’essere che è stata) o ancora, quando riferendosi al paziente “laboratorio” di scrittura de Gli anni dice: la scommessa era scrivere a partire da una storia personale che fosse intrecciata alla Storia, e alla Storia della Francia in particolare, è stata questa la posta in gioco. Obiettivo raggiunto, perché essendo la Francia, pur con le sue peculiarità storiche, Europa e Occidente, la Ernaux, nel tentativo di cogliere il tempo e di comprendere e comprendersi in esso come “soggetto” e come “donna” è riuscita a parlarci di noi, ma ha inciso nel suo libro del 2008 pure il suo scoramento, il senso premonitore di un grande fallimento generazionale e esistenziale. Infatti, mentre “accompagna” la sua evoluzione da irrequieta e colpevolizzatasi ragazza provinciale a “donna”, borghesemente prima sposata, madre, insegnante, poi divorziata, libera e autodeterminantesi, restituisce anche gli stadi di una società divenuta progressivamente incapace di “memoria” e “narrazione”, di riflessione cioè e immaginazione/progettazione di futuro. Nella fase dall’immediato dopoguerra e dalla Ricostruzione al ’58 i racconti corali ai pranzi festivi, le foto, notizie e ricordi sparsi dipanano distruzioni e privazioni della guerra e dell’occupazione tedesca, ma anche dell’anteguerra quale lungo retaggio di un mondo contadino e operaio povero rozzo superstizioso, e registrano i primi segni di cambiamento e progresso nella lavatrice, televisione, Vespe, automobile, party fra giovani del ceto medio, dischi di jazz, spiritual, rock, che investono una città di provincia (Yvetot, la sua Yvetot) dove prima non si buttava nulla, la scuola era immutabile nel sapere, ”nell’ordine e nel rispetto”, condivisi i valori collettivi nazionali di sforzo, lavoro, volontà, e la bicicletta “misurava la velocità della vita”, rigidamente regolata dalla religione cattolica e noia estiva, e rigida era pure la separazione maschi e femmine e quella sociale fra compagne della stessa scuola. Il sesso era -precisa la Ernaux- il grande indiziato, la società ne vedeva allusioni dappertutto…le ragazze divise tra le “come si deve” e le “poco di buono”. L’adolescente della foto del luglio ’55, scattata nei giardini del collegio di Saint-Michel, che non parla con i ragazzi, ma non fa che pensarci e compensa i divieti di uscire con la lettura di romanzi d’appendice, astraendosi e immaginando storie e incontri che sfociano in orgasmi serali sotto le lenzuola, è già tutta protesa verso il superamento del bozzolo informe del suo corpo e verso una immensa voglia di sperimentare il vivere, come documentano le tante frasi di grandi autori che viene annotando nei suoi quadernetti (esistere è bersi senza sete… l’unica felicità reale è quella di cui ti accorgi mentre la vivi…). Nei pranzi a metà degli anni ’50 gli adulti hanno la forte convinzione di vivere meglio nell’oggi, e la giovinetta che nel 1958 conseguirà la prima maturità, orgogliosa della sua eccellenza scolastica, nonostante il sentimento umiliante dell’inferiorità sociale rispetto alle compagne borghesi perché figlia di popolani proprietari di un bar-drogheria, giovinetta passata attraverso un tirocinio interiore tutto soggettivo e solitario fra foto di Brigitte Bardot, poesie di Prevert, canzoni moderne in inglese e in francese (Elvis Presley, Bill Haley, Armstrong, i Platters, Brassens, Brel, Mouloudji..), libri letti di nascosto (i romanzi di Sagan, i Tre saggi sulla teoria sessuale) e conoscenza già del metodo Ogino-Knauss, “quella” giovinetta -dicevo- affronterà con molta euforia la sua prima uscita di casa, lontano dallo sguardo dei genitori. Euforia anche per il primo stipendio e i primi party fino ad allora vietatile. Farà l’educatrice per 6 settimane in una colonia estiva, ma l’impatto sarà problematico, per non dire traumatico, sia sul piano fisico che su quello affettivo-psicologico, e ci vorranno anni per la scrittrice per “decantare”  tale esperienza (la grande memoria della vergogna più minuziosa, più irrimediabile di tutte le altre…) e trasformarla in “scrittura”, appunto Memoria di ragazza, in uno specimen cioè storico d’umanità, pur nella singolarità tutta personale di “quella” estate (ciò che è stato vissuto da quella ragazza e da nessun’altra). Ne Gli anni la Ernaux vi accenna solo in poche coraggiose frasi e paginette (Bisognava sovrapporre alle parole che avremmo voluto dimenticare…”prendimi il cazzo, succhiamelo”… quelle di una canzone d’amore… abbellire, costruire la finzione di una <<prima volta>> in una maniera sentimentale, ammantare di malinconia una deflorazione mancata).

Della studentessa dell’anno successivo al liceo Janne d’Arc di Rouen, fissata in una foto con le altre 26 compagne, impegnata a conseguire la II maturità, si registra che è bulimica, ha perso le mestruazioni e che nella sua memoria di innamorata delusa c’è fisso l’incorporamento in se stessa di un corpo mancante, un corpo di uomo, quello del giovane capo-educatore della colonia. Gli studi universitari poi a Rouen, fra appassionate esperienze intellettuali (esistenzialismo, surrealismo, lettura di Dostoevskij, Kafka, Flaubert, il nouveau roman…) e intense discussioni tra coetanei su comunismo, contraccezione, fantasmi di suicidio da un lato, e libere esperienze sessuali dall’altro (La vita sessuale restava clandestina e rudimentale, tormentata -scrive- da quel tipo di incidenti che le ricche risolvevano in Svizzera, le altre nella cucina di una mammana), confermano nella ragazza provinciale il progetto di diventare scrittrice e la preparano alla professione di insegnante e a una composta “normalità borghese” suggellata dal matrimonio. Normalità, che mentre si allarga saggisticamente a quadro dell’esistenza di tante giovani coppie della classe media negli anni del boom economico, della corsa/ ostentazione del benessere, delle fantasticherie sull’acquisto di appartamenti di pregio in complessi residenziali, nella vita privata della “Lei” con bambino della foto dell’inverno ’67 mostra invece un restringersi scialbo di orizzonti e il peso-routine degli aspetti pratici della vita quotidiana: lista della spesa, bucato, la cura dei figli, preparazione delle lezioni, cosa fai da mangiare stasera…, al punto che la sposa-madre della foto annota nel suo diario: Non ho più nessuna idea. Non cerco più di spiegare la mia vita… sono una piccola borghese fatta e finita. Ma in tutto quel grigiore uniforme esplode il maggio ’68 gravido di tutte le questioni sociali, politiche, ideologiche che fermentavano da tempo nella società. Noi -scrive la Ernaux- che fino ad allora ci eravamo schierati solo blandamente dalla parte dei lavoratori, che compravamo cose senza desiderarle davvero, ci riconoscevamo negli studenti di poco più giovani che lanciavano sanpietrini sui poliziotti… Vendicavano l’addomesticamento della nostra adolescenza, il silenzio rispettoso nelle aule magne, la vergogna nel fare entrare i ragazzi di nascosto nelle stanze dello  studentato. Era in fondo a noi stessi, nei desideri umiliati, nello scoramento della sottomissione che si trovavano le ragioni per aderire alle notti infiammate di Parigi. E osserva entusiasta che veniva messa sotto esame la realtà intera: la famiglia, l’educazione, la prigione, il lavoro, le vacanze, la follia, la pubblicità e che nulla del pianeta risultava estraneo per i contestatori: eravamo partecipi di ogni lotta, dal Cile di Allende a Cuba, dal Vietnam alla Cecoslovacchia… Eravamo immersi in una generalizzata lettura politica del mondo. La parola chiave era <<liberazione>>. Liberazione anche della “donna”, con l’attiva militanza della scrittrice per il libero accesso all’aborto medico, contro i divieti di una legge del 1920, e contro ogni ingiustizia sociale. E fra gli estremi cronologici di un breve filmato di vita familiare (‘72/’73)  e  una foto a colori scattata in Spagna nel luglio 1980, che allusivamente segnalano il divorzio incipiente dei coniugi Ernaux, l’affresco politico-sociale (sostanzialmente esemplificativo in grandi linee dello sviluppo cosiddetto “occidentale”) registra prima  sotto Giscard d’Estaing (1974/1981) e dopo, da Mitterrand (1981/1995) in poi, oltre quelle elencate all’inizio, tutte le altre svolte importanti della “modernità” (abolizione pena di morte, regolarizzazione immigrati clandestini, pensione a 60 anni, omosessualità autorizzata, ferie allungate di una settimana, nazionalizzazioni, aumenti salariali…). Tuttavia la stura data da Giscard alla cosiddetta ”società liberale avanzata” con la sua caratteristica confusione fra massimo di diritti e massimo di “cose”, sostanzialmente prolungatasi sotto Mitterrand (gli oggetti quale un sovrappiù di libertà individuale e di piacere) e il doppio mandato di Chirac (1995/2007), e la coabitazione fra presidenti e primi ministri di opposti orientamenti ma sotto il comune ombrello di parole imperative nuove quali impresa, performance, competizione, profitto, successo, hanno in concreto stabilizzato  solo il dominio/trionfo delle “cose”, della merce, e il proliferare negli hinterland urbani di enormi centri commerciali, con il declassamento dei cittadini a frenetici consumatori alla rincorsa sempre delle ultime “novità”. Un vivere- conclude- la Ernaux nella sovrabbondanza, di ogni cosa, delle informazioni, degli <<esperti>>, un infinito presente “ovattato” di tv merce pubblicità mondo-digitale, cui fanno da termometro le chiacchiere disimpegnate dei pranzi di famiglia a ridosso del 2000, e che nel vuoto di valori e punti di riferimento ideali (collasso irreversibile di cattolicesimo e comunismo, e rigurgiti mondiali di arretrate intolleranze etniche e religiose) e nella illimitata appunto, magmatica, sovrabbondanza di informazioni, immagini, “cose” sempre nuove liquida subito ogni  evento e oggetto come “già passato” e occupa, saturandolo di già, il futuro. Emerge in questo libro, attraverso le battute ironiche e facete dei commensali (i due figli della “lei”, le loro compagne, i loro amici, l’ultimo suo amante), una sorta di resa finale a quello che appare tuttavia all’autrice uno stolido (non sa dire quanto la loro spensieratezza sociale sia reale o simulata) euforico “fatalismo” collettivo, una colpevole amnesia collettiva su: banlieue sempre potenzialmente esplosive, insanabilità del conflitto israelo-palestinese, surriscaldamento del pianeta, scioglimento dei ghiacciai, morte delle api… Alla “scrittura” non resta che tentare di salvare qualcosa (vedi gli spezzoni di immagini e frasi che aprono e chiudono il libro) di codesta attuale, informe e fluida, frammentarietà di “esperienze” e “parole”,  che il tempo per sua natura si farà carico di cancellare comunque! E anche il rito del pranzo festivo che la “Lei” si ostina a ripetere, sull’onda dei suoi ricordi d’infanzia, riunendo attorno a un tavolo (nella vicinanza dei corpi) i membri ormai dispersi della famiglia, fa da conforto a uno sguardo che si rivolge soltanto al passato, in un alone appunto di luce anteriore.    

Il futuro invece è ancora uno schermo, su cui proiettare l’attesa di cose sconosciute e belle, per i protagonisti di Memoria di ragazza e Il Ragazzo, dove l’Ernaux torna cronologicamente indietro, e liberandosi nell’anamnesi dell’ingombro di due fantasmi interiori, si reimmette, esistenzialisticamente, nel gioco dei possibili. Memoria di ragazza è la storia di una emancipazione, della sofferta liberazione da un fantasma maschile pervasivo, l’educatore H, della già ricordata estate ’58. Nel libro la Ernaux ricostruisce senza veli ipocriti e pudichi la “sua” singolare e difficoltosa “educazione sentimentale” fra i 18 e i 22 anni, muovendosi su due piani temporali, il passato della memoria (anni ‘58/’62) e il presente della scrittura (anni 2014/2015) e appoggiandosi anche qui a foto personali, a lettere a una amica di gioventù, a una agenda del ’58, a film canzoni libri di quegli anni e a notizie attinte da siti internet. Usa inoltre il “lei” per i diversi sé di Annie nel tempo, indagata a distanza come una estranea: la ragazza della colonia del ’58, la ragazza dello studentato femminile di Ernemont del 58/59, la tirocinante maestra dei 5 mesi sprecati alla Scuola normale, la ragazza alla pari di Londra. Ricorra all’ “io” invece per la scrittrice del 2014/15, “io” che infittisce soprattutto dalle pagine londinesi (con il “noi”, comprensivo dell’amica “complice“ R.) quale segno tangibile del progressivo superamento/scioglimento del “nodo” esistenziale condizionante dell’estate ‘58 per l’ex diciottenne Annie Duchesne avviata ormai nell’ottobre 1960 sulla strada della conquista di sé: la scrittrice di domani. La scrittura fredda, razionale, restia a ogni vibrazione emotiva si concede sporadiche similitudini e metafore per marcare stadi psicologico-esistenziali dell’iter della “ragazza”: di euforia vitale (la puledra scappata dal recinto) all’arrivo alla colonia, di traumatico sofferto disprezzo e abbandono (cagna, ragazza di pezza) dopo il rifiuto di H, di disorientamento vitale (iI vestito vuoto appeso quale creatura senza testa e i pomelli che lo reggono quali enormi occhi bianchi di cieco) a Ernemont, di fame bulimica (le api sui dolci) fra Scuola Normale di magistero e scorribande di Londra in quel percorso che l’autrice stessa definisce dopo la notte alla colonia… una perigliosa traversata fino al porto della scrittura. Il disagio sociale di essere figlia di droghieri affiora nelle notazioni sugli indumenti adattati, sulle compagne di scuola altolocate e sprezzanti, e nella scelta (poi rifiutata) di diventare maestra per abbreviare gli studi, le spese e rendersi presto indipendente. Ma perno dell’opera resta la “giovinezza”, in cui accadono cose importanti: la forza del desiderio sessuale, la scoperta del corpo dell’Altro, e urge l’interrogativo delle scelte lavorative e dell’autorealizzazione. Annie dopo la prima notte d’amore (o meglio di sesso) che la travolge con H. il capo-educatore della colonia, che subito la lascia per una educatrice bionda, più sensuale, “più tutto”, attraversa tali esperienze fra inconsapevole da un lato, e tuttavia ardimentosa, precorritrice, libertà sessuale (una avanguardista era stata in effetti - precisa la Ernaux- di tale libertà in una deriva incantata vissuta con tranquillità e hybris 10 anni prima del ’68) e trauma affettivo, dall’altro, dell’abbandono e vergogna dell’orgoglio di essere stata un oggetto sessuale nei molti flirt con altri giovani alla colonia. Trauma e vergogna scontati con la bulimia e la scomparsa per 2 anni del ciclo, e la voglia infine di rendersi, in linea con II secondo sesso di Simone de Beauvoir, “soggetto libero” e consapevole. Risalita che paradossalmente avviene attraverso lo sforzo di farsi bionda bella brillante colta intoccabile e ricca di autostima proprio per sedurre l’anno successivo alla colonia H (che invece non incontrerà più) e con il risultato finale, grazie anche all’immersione nell’ambiente cosmopolita londinese e nell’universo lussuoso della famiglia Portner, e al tiro a duo vagabondo per le vie di Londra creato con l’altra ragazza alla pari, l’ex compagna del liceo Janne D’Arc e della Scuola normale R, con la quale vanno anche rubacchiando chicche e oggetti vari per gioco, avventura, sfida alla paura in negozietti e supermercati, lontane entrambe da flirt e amori, col risultato -dicevo- del definitivo distacco da H nella lucida  “definizione” di sé di Annie. Alias la brillante e rispettabile studentessa universitaria di lettere, ridiventata a Londra sessualmente una signorina a modo, accanto all’altra signorina a modo R, e desiderosa soprattutto di consacrarsi alla letteratura e al superamento di ogni concorso per diventare professoressa.

Pure Il Ragazzo sviluppa in un “racconto lungo” una storia d’amore consegnata precedentemente solo a 3/4 paginette de Gli anni: l’amore per un ragazzo, studente universitario di Lettere, di 30 anni più giovane della scrittrice già pluricinquantenne. Del rapporto con lui, che Annie vive senza vergogna e senza orgoglio, la Ernaux precisa  non solo la sfida allora al costume corrente, allo sguardo carico di disapprovazione dei clienti del tavolo accanto al nostro al ristorante… che rafforzava -sottolinea l’autrice- la mia determinazione a non nascondere quella relazione con un uomo che avrebbe potuto essere mio figlio, “sguardo” che vedeva invece ipocritamente “normale” la relazione di un maschio cinquantenne con una ragazza giovane che con ogni evidenza non [è] sua figlia. Rileva soprattutto Annie che l’elemento decisivo di tale relazione in quella fase della sua vita non era il “sesso”, ma l’impressione che lei aveva di replicare scene delle sua vita da studentessa universitaria a Rouen, di tornare a recitare il copione della [sua] giovinezza che solo in quella ripetizione le sembrava reale. La faceva sentire eterna (la dolcezza della mia stessa durata e dell’identità del mio desiderio) e morta allo stesso tempo. Ma se il ragazzo la “strappa” alla sua generazione, lei non appartiene alla generazione di lui!... Era quel giovane un embrione “anomalo” da espellere come l’esserino del suo aborto clandestino del 1963, per non restare chiusa nel passato. Da qui la rottura del legame con il ragazzo nell’autunno del 1999, per entrare sola e libera nel terzo millennio. Tuttavia, proprio l’inoltrarsi nel 2000, come abbiamo già visto, e per le ragioni sopra dette, farà scolorire nella scrittrice il senso del futuro!          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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