Contro l’ideologia "woke". DIFENDIAMO LE FIABE - di Mario Bozzi Sentieri

Le fiabe sono una questione troppo seria per lasciarle in balia dell’ideologia woke (impegnata a censurare o punire in maniera estrema le parole e le idee accusate di ferire le presunte sensibilità di alcune minoranze) e  delle improvvisazioni cabarettistiche di qualche suffragetta del politicamente corretto, magari invitata ad   inaugurare, a Roma, l'anno accademico dell'università Luiss.  Protagonista dell’impresa Paola Cortellesi, attrice-regista di successo, che durante il suo sermone-monologo si è intrattenuta sugli stereotipi sessisti contenuti nelle fiabe, laddove l’unica dote delle protagoniste sembrerebbe essere    quella di essere belle ed il potere salvifico è affidato agli uomini. Mentre “Biancaneve faceva la colf ai sette nani”, le donne – ha discettato la Cortellesi -  sono spesso dipinte come personaggi negativi, alla maniera della Strega di Biancaneve. E poi ancora "Ma siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l'avrebbe salvata lo stesso?".

Battute non proprio da Aula Magna e da Senato Accademico, che danno la misura del livello “formativo” di certi interventi e sono però l’occasione per guardare al mondo delle fiabe con maggiore profondità, forti proprio di una ricca tradizione interpretativa all’altezza di storie che fanno parte della cultura del mondo (da  Esopo ai   fratelli Grimm, dalle favole de Le mille e una notte a   quelle della tradizione cinese).

Questo per dire del valore intrinseco delle fiabe, in grado – ad ogni latitudine – di  educare i giovani lettori  ai valori della vita, a guardare al giusto, ad ispirarsi al bello,  a rifuggire le cattive azioni. Al punto da farsi “rito” ed ispirazione simbolica.

Attilio Mordini, esponente del tradizionalismo cattolico, tra Anni Cinquanta e Sessanta, non a caso sul tema scrisse  Il segreto cristiano delle fiabe (1966) in cui il tessuto narrativo della Fiaba viene disvelato come un insieme di simboli e di miti che rispondono agli eterni bisogni dell'uomo di restituire significato alla vita, al cosmo, alle fasi di passaggio dell'esistenza.

Contrariamente all'esegesi psicanalitica, l'indagine di Attilio Mordini si basa sull'antica sapienza cristiana, particolarmente dei Padri della Chiesa dei primi secoli, per illuminare la sapienza nascosta delle fiabe, da quelle "classiche" radunate dai fratelli Grimm alla fine del 1700, fino a quelle "moderne" come Pinocchio o i capolavori cinematografici di Bergman,  "Il Settimo Sigillo" e "La fontana della Vergine".

 “La fiaba lentamente narrata al focolare  – ha scritto Mordini – è per il bimbo il rito più serio e più grande. Vicino al fuoco, che è la presenza del tipo primo di tutte le civiltà, il fanciullo apre l’anima sua alla naturale investitura della parola umana nel linguaggio evocativo; e tutte le ancestralità vengono in lui rimosse e ordinate alla calda meraviglia dell’essere. L’anima del bambino si prepara così ad accogliere la semplice ma profonda verità del catechismo e del Vangelo”.

In questo clima “fiabesco”,  il senso del bello e del bene assumono  un valore “formativo” ed evocativo per i giovani e non solo. Per il fanciullo la fiaba è più che un semplice passatempo o un piacevole divertimento. È un rito di iniziazione che evocando il mistero per mezzo della parola umana apre la sua anima alla “calda meraviglia dell’essere”, ha scritto sempre  Mordini.

Ma nella misura in cui le fiabe trasmettono verità universali, senza tempo, con modalità semplici e intuitive accessibili anche a un bambino, stravolgerne l’essenza vuole dire depotenziarne il valore e banalizzarne il messaggio. Forse per questo certa ideologia woke, in  cui la Cortellesi evidentemente si riconosce,  tende a scheggiare l’immagine fiabesca, evocando una Biancaneve “racchia” e colf, al servizio dei sette nani.

Non  facciamo allora cadere l’appello della scrittrice Silvana De Mari: piantatela di correggere, ingentilire, edulcorare, rendere insipide, insulse, inclusive, vegane e gay friendly le storie della nostra gente.  “Biancaneve  - ha scritto  De Mari - è la nostra storia. Ora hanno fatto un film dove Biancaneve non ha la pelle bianca e i nani non sono nani. Quei nani contenevano la tragedia delle miniere e dei bambini disperati. Biancaneve è una del nostro passato con un nostro ideale di bellezza. Tutti i popoli hanno diritto alla loro storia con il loro ideale di bellezza. Ciò che sta succedendo non è solamente razzismo contro i bianchi, che non hanno nemmeno il diritto di essere i protagonisti delle loro storie. È un etnocidio, l’uccisione di una civiltà, ridicolizzata, colpevolizzata e derisa in tutti i suoi aspetti, in attesa di far scomparire anche i corpi, forse con un genocidio oppure più probabilmente con una riduzione progressiva nella natalità e contemporanea sostituzione etnica”.

Le fiabe insomma sono una cosa seria e in quanto tale vanno “trattate” con cura. Come peraltro invitava a fare Italo Calvino, uomo di confine tra vecchia sinistra e senso della memoria e delle tradizioni popolari: “Le fiabe sono vere”, vere in quanto sono “prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino”.

L’identità profonda dei popoli passa anche  da qui. Invitandoci a difendere  le fiabe   come esperienza simbolica e sapienziale. Contro tutte  le manipolazioni. Contro chi vorrebbe banalizzare le esistenze, fino al punto da uccidere la fantasia, nel segno del “politicamente corretto”.

 

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.