Myriam De Luca, "Via Paganini, 7" (ed. Spazio Cultura)

di Guglielmo Peralta

 

Sii sempre il meglio di ciò che sei.

Cerca di scoprire il disegno

che sei chiamato ad essere,

poi mettiti a realizzarlo nella vita.

   

   Questi versi con cui si chiude la poesia di Martin Luther King, riportata da Myriam De Luca nel penultimo capitolo del suo romanzo (pagg.173-174), sono indicativi del cammino che la protagonista Viviana è "chiamata" a intraprendere per realizzare quella vita autentica che il dolore, vissuto in prima persona, tende a soffocare facendosi, al tempo stesso, grido di disperazione e voce esortativa, che "chiama" dal fondo della coscienza. Il progetto di vita nuova, che i versi scolpiscono in un modo categorico e apoftegmatico che ricorda il gnōthi sautón: la massima iscritta nel Tempio di Apollo a Delfi, è il centro attorno a cui ruota la narrazione, perché questo progetto occupa il cuore e la mente di Viviana e la sollecita alla ricerca del sé interiore e del senso del proprio essere nel mondo attraverso la com-prensione del dolore, del male di vivere a lei causato dall'indifferenza e dalla mancanza d'amore dei suoi genitori, della madre, soprattutto. E sarà proprio l'amore, nel suo stato di completezza, a compensare l'assenza del medesimo nobile sentimento; a infiammarla, a maturarla, a salvarla: un sentimento fortemente desiderato, nato e cresciuto come un bambino, come un figlio, e avvertito e praticato  a 360° con passione e abnegazione.  Ma la via, che guida i passi di Viviana verso il riconoscimento e la pienezza del proprio essere, è il dolore intimo, personale, ed è, soprattutto, la sofferenza degli altri ("Non mi ero mai defilata dalla sofferenza altrui"). Sono le persone che ella incontra nel suo cammino di trasformazione e di rinascita che le consentono di aprirsi all'amore, di accogliere questo sentimento rivelatore della sua anima, del suo spirito caritativo. Ed è un dare e un ricevere: un arricchimento intersoggettivo, generato dalla condivisione del dolore e frutto dello scambio reciproco e disinteressato degli affetti. È in quel penultimo capitolo, intitolato Macchia e Villa Ferraris, che accade l'agnizione: la rivelazione, la coscienza del disegno che Viviana è chiamata a realizzare, per essere, per vivere una vita autentica. E nel nome e nel suo diminutivo categorico è segnato il suo destino! Vivere, per lei, diventa una missione, è prodigarsi per gli altri, per i bisognosi d'aiuto, per ridare l'entusiasmo e la voglia di vivere ai suoi "giovani antichi", per lenire la solitudine di Matteo: il suo dirimpettaio, anziano e paralitico al quale dona il cane Macchia,  quando gli muore Anita, la vecchia cagna, sua unica compagnia e conforto. È qui, in queste pagine, che l'amore trionfa e il romanzo ha il salto di qualità, perché la scrittura, che nel suo corso e tra le righe ha trattenuto la vena più fluente e più intensa di significati, ora esplode e ci commuove con la ricchezza dei sentimenti. La tensione, che inizia col rapporto conflittuale tra Viviana e i genitori; che cresce con la "fuga" della ragazza, la quale abbandona la famiglia e Niko, il suo ragazzo, per ritrovare sé stessa; che è scolpita nel dramma del dolore e raggiunge il culmine con lo svelamento della verità, ossia, della causa del disamore e dell'ostilità della madre verso la figlia, si scioglie nel pathos catturando il lettore, il quale aderisce e si sente partecipe di tanta com-passione. Qui, il dolore, con i suoi risvolti negativi, si ricompone e si trasforma nel raggio di luce di quell'amore, che in sé racchiude l'ampio spettro dei sentimenti positivi: solidarietà, rispetto, altruismo, abnegazione, riconoscenza, amicizia, pietà, passione, cura, fiducia, fede in Dio e negli uomini. E a questo climax ascendente, che occupa anche l'ultimo capitolo, Dalla terra al cielo, si aggiungono, a dargli maggiore intensità, la comprensione e il perdono della madre da parte di Viviana, la quale realizza così quel disegno che la impegnerà per tutta la vita dando a quest'ultima senso e valore ("Dedicai tutta la mia vita al mio progetto d'amore").

           È, questo, un romanzo di tras-formazione perché la maturazione di Viviana, la conquista della parte migliore di sé, il raggiungimento di "un equilibrio e un appagamento interiore autonomo" sono il frutto della trasmutazione del dolore nella virtù della carità, ossia, dell'amore, che unisce gli uomini con Dio e tra loro. S'intuisce, fin dal primo capitolo, che la salvezza è una strada praticabile, perché in Viviana c'è, sì, sofferenza e inquietudine, ma anche determinazione a superarle e la sua voglia di vivere non viene mai meno. Ella non lascia "marcire" dentro di sé il dolore, il quale, anche se mina i suoi sogni e mostra l'inganno della vita che le appare tragica e infelice, tuttavia, si fa occasione e sprone per il cambiamento, per la realizzazione di "qualcosa di utile e costruttivo". E così sul dolore crescono la promessa e la speranza di una vita vera, autentica. La fuga di Viviana è il desiderio di un luogo lontano dalla quotidianità, dalla "normalità", dall'effimero, dalle false relazioni e apparenze, ma non è mai isolamento, distacco dalla realtà: ella non rompe col suo passato prossimo, perché è su questo passato che costruisce il presente, una migliore condizione di vita, che è esito della sua ricerca interiore, di questo "cammino", del quale la "fuga" è metafora e "luogo" ideale da cui ricominciare. Altri luoghi, che la sorreggono, che le danno compagnia e conforto nei momenti più bui, sono i paesaggi naturali: il

mare e la spiaggia, soprattutto, e quella "linea d'orizzonte che divide il mare dal cielo" e la sollecita alla meditazione, ad andare lontano dentro di sé e com-prendere che "Dio è dentro di noi senza alcun confine". Nella contemplazione della bellezza Dio si manifesta, e anche le piccole cose, apparentemente insignificanti, si fanno accondiscendenti e familiari e acquistano valore se lo sguardo incantato e purificato vi si posa e le coglie nella loro epifania. Così, la scrittura si arricchisce di nuove voci, che parlano nel magico silenzio, in cui solo può avvenire il contatto. E il lettore, attento, è chiamato all'ascolto. E gli viene incontro il linguaggio, che, con la sua semplicità, scava nel profondo facendolo partecipe di verità, di aspetti della vita, che non gli sono estranei e non possono lasciarlo indifferente. Perché vita del mondo, degli altri, di tutti.

 

 

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