Profili da Medaglia/11 - "Carlo Francesco D’Agostino" di Tommaso Romano

Chi ritenesse essersi estinta con la seconda guerra mondiale la parte decisamente guelfa per l’integrale affermazione della Civiltà Cristiana nella politica italiana (se si eccettua, nella prima metà del Novecento, il gruppo che si formò intorno ad “Azione Guelfa” di Malvestiti, Malavasi e Ridolfi), probabilmente non ha conosciuto o, almeno, sentito parlare della figura e dell’opera donchisciottesca e generosa di un grande solitario: l’avvocato romano, poi trapiantato a Osnago, vicino Como, il nobile Carlo Francesco D’Agostino (1906-1999), Pretore onorario, giornalista e scrittore.

Figura adamantina di cattolico, non prese mai la tessera fascista e fu cooperatore salesiano, dirigente dell’Azione Cattolica e collaboratore al quotidiano cattolico “L’Italia” di Sante Maggi, dal 1935 al 1938. Impiegò buona parte delle sue non limitate possibilità economiche e ogni sforzo, soprattutto editoriale, per il suo Centro Politico Italiano fondato nel 1943, con il conte Paolo Piella e l’avvocato Giovanni Silvestrelli a cui in seguito si aggiunse la denominazione di Partito Cattolico di Riscossa Nazionale, sotto il motto “Dio-Autorità-Popolo”.

ripercorrere la sua crociata è riandare al suo sogno di uno Stato integralmente cattolico, sostenuto dal Diritto naturale e derivato da quella che D’Agostino stesso, in tanti suoi libri e opuscoli, chiamava La Dottrina Politica dei Papi, titolo di un dizionario di oltre duecento pagine che così fu edito nel 1960. Merito del D’Agostino fu anche, a mio avviso, l’aver quasi da subito smascherato e poi avversato la Democrazia Cristiana, De Gasperi e tutta la sua classe dirigente, bollata sempre come relativista, progressista, antitradizionale, cedevole all’egemonia della Sinistra, incapace di un’azione cristianizzatrice della comunità civile e indicata apertamente come il “nemico”.

Polemista di stampo ottocentesco, fu uomo colto e ferrato sulla dottrina sociale della Chiesa, personalmente monarchico e aperto ammiratore di Vittorio Emanuele III, il Re martire (come lui stesso lo appellò in suo opuscolo scritto sulla figura del Sovrano), pur non professando il suo Centro Politico Italiano un’opzione netta per la Monarchia.

D’Agostino, fino all’ultimo e con clima già profondamente mutato nella Chiesa Cattolica con la morte di Pio XII, si batté senza sosta, non poco ostacolato, a volte anche minimizzato come “eccentrico dell’Ancien Régime”, dalle stesse gerarchie ecclesiastiche. D’Agostino, senza effetti apparentemente positivi, si rivolse, perfino con documenti probanti, all’allora Sant’Uffizio e alla CEI, per denunciare la DC e la deriva di quel partito, sempre più attestato su posizioni compromissorie, materialiste, di difesa e occupazione acritica del potere e della sua gestione.

D’Agostino ebbe per Maestri di dottrina: Clemente Solaro della Margarita, don Giovanni Bosco e il Toniolo e, come proprio padre spirituale, fra le due guerre, un autentico sant’uomo, don Giuseppe Canovai, il fondatore di Familia Christi. Quest’ultimo nel suo “Diario”, il 18 settembre 1920, così, a proposito dell’integralità in politica, annotava: «Che qualche vegliardo divino del Vaticano, qualche illustre Pontefice della Chiesa possa riunire la sua smarrita pecorella d’Italia; ecco il sogno operante del Cattolico Italiano, il sogno per cui dobbiamo combattere e pregare in modo da modificare il nostro Paese, il nostro popolo, riavvicinandolo alla Sede gloriosa di Pietro. Come bello sarebbe il Pontefice circondato da 40 milioni di Italiani ferventi cattolici governati da un saggio e cattolico Governo, benedetto da Dio, scudo e difesa della S. Sede. Quando, quando tanta felicità?».

A questo programma ideale D’Agostino si votò interamente e non mancò di salutare, inoltre, sempre come positivi e risolutivi, i Patti Lateranensi del 1929, che diceva avevano sanato la frattura profonda, inferta dal Risorgimento laico e dalla stessa Casa Savoia (peraltro, da un millennio, dinastia cristianissima), in una rinnovata legittimità statuale che coinvolgeva la stessa Monarchia e il governo di Mussolini che, comunque, D’Agostino mai sostenne ed amò.

Poi, con il totalitarismo e la guerra, la nuova Costituzione repubblicana aveva respinto i principi considerati non negoziabili. Si può dire che D’Agostino propendesse, piuttosto, per un ritorno allo Statuto Albertino, come auspicato da uno come Piero Operti.

Sul piano concreto, D’Agostino sosteneva il voto uninominale in un Collegio Unico Nazionale, contro la partitocrazia; una dottrina di moralità per lo Stato (ammirava, il D’Agostino, Garcia Moreno). Inoltre, l’avvocato romano, ancora nel 1972, scriveva che «la sopraffazione capitalistica, contro cui i socialcomunisti non avevano saputo proporre altro che la rovinosa lotta di classe, è realmente consacrata nelle Leggi del nostro Stato. Queste non danno alcuna possibilità alle masse dei Lavoratori (operai, impiegati, tecnici, dirigenti) di essere trattati come soci dei capitalisti. Ed è una grave ingiustizia.

La fortuna delle grandi Aziende, decisiva per l’economia nazionale, è il capitale, il lavoro intellettivo e il lavoro manuale. Ora invece, nelle forme sociali previste dal nostro Codice, la padronanza assoluta spetta alle Assemblee dei soli operatori di denaro; cosicché le Società Industriali e Commerciali sono alla mercé del peggiore affarismo». Il Centro Politico Italiano pertanto propugnava una loro radicale riforma, che prevedeva la compartecipazione dei Lavoratori agli utili, alla proprietà e alla responsabilità, secondo gl’inascoltati insegnamenti dei Papi, da Leone XIII in poi e, particolarmente, del Papa lombardo Achille Ratti, Pio XI, che trattò ampiamente tali temi già nel 1931 nella sua Enciclica Quadragesimo Anno. «Troppo disonestamente aggiungeva D’Agostino si è finora cercato di ignorare i moniti di questi grandi Pontefici! Soltanto attuando i principi dai loro insegnamenti vedremo ristabilita la concordia in seno alle Aziende, nel reciproco rispetto tra Capitalisti e Lavoratori, per effetto della vera giustizia instaurata nei loro rapporti». Come si è potuto leggere, D’Agostino non era un retrivo in campo economico; le sue tesi sull’Associazionismo Aziendale erano perfino avanzate.

Tuttavia il successo elettorale, malgrado gli sforzi profusi, specie nel diffondere migliaia di copie, per decenni, del suo giornale “L’Alleanza Italiana” con altre centinaia di fogli e opuscoli, non ebbe quasi alcun riscontro positivo elettorale, anche per l’aperta ostilità del clero quasi al completo e, ovviamente, della DC. Nelle elezioni del 1946, il CPI presentò a Roma quattro candidati, ottenendo circa 5.000 voti. Nel 1953 fu presente nelle Circoscrizioni di Perugia, Roma, Napoli, Catania e Catanzaro, totalizzando 10.491 voti. Nel 1958, il maggiore dei risultati elettorali, a Roma, napoli, Lecce, Palermo e Cagliari, raggiunse circa 16.000 voti. Un bottino leggero, ma colmo di testimonianza assoluta, che può far brillare, per D’Agostino e i suoi Amici, la qualificazione di un’autentica nobiltà della sconfitta, da cui peraltro il capo del CPI non trasse nessun elemento per indietreggiare o desistere. Anzi! Nel 1972 (anno che segna la nascita della Destra Nazionale, del MSI in unità con i monarchici, con alcuni ex democristiani e liberali, come Giovanni Artieri, poi senatore) bisogna ascrivere la partecipazione, a quelle liste presentate per le elezioni, di un drappello di candidati del Centro Politico Italiano come Indipendenti, intesa sostenuta dall’on. Giannetto Borromeo d’Adda, che ben conosceva le qualità morali e politiche del D’Agostino.

A Roma si candidò l’avvocato e mio amico Mario Eichberg; a Palermo, il dottor Guido Laure e, a Como-Sondrio, lo stesso D’Agostino. Nessuno però fu eletto, malgrado la propaganda condotta all’insegna di un “Programma Unificatore” per l’Italia e un nuovo Risorgimento, contro le “ideologie funeste e rivoluzioni infeconde” e a favore di una dottrina politica fondata sulla ragione.

Tutta l’azione e l’ideazione di D’Agostino si basarono su presupposti tendenti a restaurare Dio e la verità come suprema Autorità sull’opinione, la centralità della famiglia e del diritto, l’ordine naturale, esclusivamente per il Bene Comune, sostenendo la responsabilità personale e indicando i limiti del Potere nella società umana e politica. Inoltre D’Agostino fu, in nome della Sovranità nazionale, pronto a schierarsi contro il totalitarismo che intravedeva già nell’Unione Europea.

Occorre ricordare ammoniva ancora D’Agostino che l’«Etica Politica è un settore di Scienza: le sue conclusioni dottrinali vanno poi applicate, e in questo costituisce anche un’Arte».

In sostanza, per D’Agostino, riguardo alla «[…] più prestigiosa cattedra di Scienza Politica, Provvidenzialmente non ne esiste altra che quella dei Vescovi di Roma, il cui Magistero costituisce la dottrina politico/sociale cattolica». Propugnò ancora il Progetto di una nuova Carta Costituzionale per l’Italia. Al C.P.I. aderì alla fine della sua vita, Silvio Milazzo lo storico Presidente della Regione Siciliana che si ribellò alla DC.

Sempre avido di approfondimenti, m’imbattei nell’Alleanza Italiana. Il periodico veniva regolarmente spedito al “Centro Siciliano di Studi Tradizionali” in via Streva a Palermo e nella sede di “Ordine e Progresso”, diretta, sin dagl’inizi degli anni Settanta, da un personaggio dimenticato della Palermo di quel periodo: Mauro Turrisi Grifeo, giornalista e scrittore di sicura intelligenza, con cui era sempre molto interessante poter discutere a lungo, nella redazione in via Emerico Amari.

Nel 1972, come già annotato, alle elezioni politiche partecipò un aderente al centro di via Streva, il dottor Guido Laure, che era stato Presidente di Azione Cattolica e frequentava in Svizzera l’office di jean Ousset. Dirigente responsabile dell’Assessorato Agricoltura, onesto e integralista vecchia maniera, teorico sulla rivista “Diaforà” di Cagliari del Trialismo, Laure fu appoggiato attivamente da alcuni di noi, soprattutto da Orazio Sbacchi e Francesco Ragonese, oltre che da chi scrive. Girammo senza sosta mezza Sicilia ed io feci i primi comizi (uno a Trabia, con Roberto Incardona, esponente evoliano e tradizionalista di destra radicale) e le prime conferenze pubbliche fuori Palermo (a Canicattì, nella sede del Fronte della Gioventù, diretto allora da Alfonso Messina).

Era in tal modo iniziato un lungo dialogo epistolare con Carlo Francesco D’Agostino (che incontrerò due volte: a Forlì, per un convegno con Gianfranco Morra, e a Genova per un incontro con Vassallo), che si protrarrà quasi fino alla morte dell’Avvocato, con un numero molto alto di lettere, ricche di amichevoli ammonimenti, inviti a lasciare la Destra per il CPI e a seguire per intero il classico Magistero, pur vivendo – aggiungo io – in tempi “conciliari” e non proprio totalmente in continuità con il deposito della Chiesa di sempre. Va detto, inoltre, che la fedeltà alla Chiesa di D’Agostino fu invece sempre assoluta; non approvò neppure il gesto di mons. Lefebvre di consacrare, nel luglio 1988, quattro Vescovi.

Pur apprezzando umanamente e dottrinalmente molto il D’Agostino, i suoi sforzi e l’impegno coerente, non aderii mai al CPI. Nella nostra epoca è impossibile agire come guelfi. tuttavia anch’io lasciai la vita di partito nel 2001. Nel 2012, a seguito di una sortita di pura coerenza e di testimonianza, coadiuvando e sostenendo l’impresa dei tradizionalpopolari capitanati dal generoso e coerente Antonino Sala, con una lista di Torre e Corona presentata alle amministrative di Palermo, da cui poi l’attuale movimento “i Tradizionalpopolari”, affiancai tale ideazione politica.

Sostenni concretamente come attestato nella Tabula gratulatoria l’edizione di un bel libro in suo onore, che l’amico Paolo Zolli, che allora reggeva il piccolo Partito, volle giustamente dedicare al D’Agostino con il titolo Questione Cattolica e Questione Democristiana, edito dalla prestigiosa CEDAM di Padova nel 1987. Conteneva testi pregevoli di don Dario Composta (celebre canonista che invitai al convegno romano su de Tejada e Vico e che ebbe il coraggio d’intervenire ufficialmente, insieme con Rauti); dell’amico professor Danilo Castellano (docente ordinario e Preside della Facoltà di Giurisprudenza, benemerito direttore di “instaurare omnia in Christo” di Udine), protagonista del Convegno romano del RCTM sui Fondamenti della Monarchia Cattolica, nonché autore di un altro preziosissimo e completo volume dal titolo De Christiana Republica. Carlo Francesco D’Agostino e il problema politico (italiano), edito dalle Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli (2004); di don Ennio Innocenti (valoroso sacerdote romano, autore di parecchi volumi di apologetica e contro la Gnosi spuria, con cui sono da anni in contatto); dello storico e amico Francesco Leoni (storico e autore di Thule, fondatore dell’Università San Pio V a Roma, direttore di “Relazioni”, rivista vicina al cardinale “gendarme della Chiesa” Alfredo Ottaviani, a cui si deve la firma, con il cardinale Bacci, di un circostanziato testo critico sul “Novus Ordo Missae”, che fu in buona parte vergato da Cristina Campo e da mons. Guerard de Lauriens); dei giuristi e magistrati Pietro Giuseppe Grasso, Francesco Novello, Giovanni Durando e lo studioso Fabio Marino.

Scriveva Zolli – morto assai giovane e studioso di valore – in quel Liber Amicorum: «proprio il consolidarsi di una legislazione profondamente anticristiana impone, a chi ha a cuore il trionfo della fede e il bene della patria, di tirare una conclusione: è giunta l’ora delle decisioni poiché è più che mai vero, anche per quanto riguarda il settore sociale, l’insegnamento di Cristo secondo il quale “qui non est mecum, contra me est, et qui non colligit mecum, dispergit” (Luca 11,23). è più che mai necessario e doveroso, quindi, unirsi e battersi per realizzare i principi cattolici nella vita politica italiana».

La speranza di D’Agostino, la sua “certezza nella rinascita” sembrano, ad occhi di umana razionalità, definitivamente tramontati, sia per la piega che pare non reversibile delle istituzioni laiche, diventate laiciste (specie in Italia), sia per il quasi totale sganciamento dalle questioni insite nella politica nazionale della Chiesa attuale, sideralmente lontana, se non oggettivamente opposta, al sogno restauratore (la Regalità, anche sociale di Cristo), inteso come un dovere dal D’Agostino.

Vanno però positivamente registrati alcuni nuovi interessi, fra cui si segnalano, sul D’Agostino, studi di don Samuele Cecotti, positive valutazioni dell’Arcivescovo Crepaldi, dello storico Sergio Apruzzese e di Giuseppe Brienza.

L’eredità di D’Agostino, come ha giustamente affermato Danilo Castellano, è essenzialmente intellettuale e morale.

Tuttavia da credente, e malgrado tutto, Spes contra Spem.

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