Quale è il significato del termine Sicilia? - Relazione di Giovanni Teresi al Convegno "La Sicilia e la sua civiltà"
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- Category: Scritture
- Creato: 19 Luglio 2018
- Scritto da Giovanni Teresi
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Più che di un’origine italica, si deve trattare di una radice indoeuropea. L’ipotesi filologica formulata da Carlo Pascal è la più accreditata tra quelle date da altri storici. Nel 1905 Pascal affermò con buone ragioni che i nomi di Sicilia e di Sicania debbano essere riferiti alla radice indogermanica sik, che denota crescita, ingrossamento, e quindi indica agevolmente il concetto di feracità e di fertilità, come si riscontra nei toponimi non soltanto di Sicilia, ma anche di Sicino, isola dell’Egeo; di Sicione, città greca presso Corinto, patria dello scultore Policleo; di Sice, località presso Siracusa; senza contare che la radice sik si riscontra nella denominazione dei vegetali: ad esempio la pianta di fico in greco si chiama siké, e il cocomero ed anche la zucca si chiamano sikùs.
La spiegazione proposta dal filologo Carlo Pascal è quindi accettabilissima; anche perché il termine “Sicilia” e gli aggettivi da esso derivati, come siciliano, non furono adoperati soltanto nell’isola per indicare la fertilità del terreno, perché presso Tivoli c’era una località chiamata Sicilianum, a Roma sullo stesso Palatino esisteva un luogo denominato Sicilia, e presso Atene una collina di forma triangolare si chiamava Sicilia. Sicilia significa quindi “isola della fecondità, terra della prosperità”.
L’attendibilità di tale definizione diventa senza dubbio maggiore, se la poniamo in relazione con le definizioni che della fertilità della Sicilia hanno dato due illustri greci, lo storico Polibio di Megalopoli e il geografo Strabone di Amasia, che chiamarono la Sicilia ταμεῖον τῆϛ’ Pώμηϛ, cioè “la dispensa di Roma”; e se la raffrontiamo con la celebre espressione di Catone il Censore, riportata e fatta sua da Cicerone nelle Verrine, che la Sicilia era la dispensa e il granaio dello stato romano, e la nutrice del popolo di Roma “ cellam penariam reipubblicae nostrae, nutricem plebis Romanae”. E pertanto riesce gradita anche la graziosa leggenda, accolta dal geografo contemporaneo Ferdinando Milone, secondo la quale i Greci distrutta Troia, occuparono la Sicilia, che allora si chiamava Trinacria, e le cambiarono il nome per la sua fecondità, chiamandola Σικελία (Sikelía), facendo derivare il nuovo nome da σνκῆ éκαίλaia, quod latine est dicere ficum et olivam. Però l’isola, prima ancora che Sicilia, si chiamò Trinacria. Giustamente ha osservato lo storico siciliano Gaetano Columba che i greci videro la Sicilia nella Thrinakie di Omero, cioè “la terra dei tre capi”, e ne conclusero che tale era stato il primo nome dell’isola.
Un altro illustre studioso della Sicilia antica, Luigi Pareti, ha dichiarato che, sebbene nella primitiva Odissea il termine Thrinakie indicasse il Chersoneso Taurico, nella zona settentrionale del Mar Nero, nel successivo rimaneggiamento dell’Odissea operato dagli aédi, non c’è dubbio che il termine Trinakria indichi un’isola triangolare “dai tre promontori”; e quindi “in realtà nell’Odissea si intende alludere alle coste della Sicilia orientale, prossime allo Stretto (presso Tauromoenium), perché, dopo il naufragio, Ulisse viene trascinato nei gorghi dello Stretto, e solo ad un rottame della sua nave deve la fortuna di essere trasportato dalla procella fino all’isola di Ogigia”. (1)
Ed è interessante notare che i poemi omerici furono assai diffusi nella Sicilia antica, fin dalle origini della colonizzazione greca (VIII secolo a. C.). l’isola ascoltò rapsodi ed aédi come Cineto di Chio, che diffondevano la conoscenza dell’opera di Omero; ed il più grande poeta siciliota Stesicoro di Imea. Il concetto della triangolarità dell’isola fu espresso nelle opere degli antichi autori greci come Thrinakìe, ma anche col termine τριγλώxιϛ, tricuspide, che già nella prima metà del V secolo a.C. viene adoperato dal celebre poeta Pindaro per indicare la Sicilia. L’ indicazione diviene ancora più chiara negli storici greci e sicelioti: Tucidide, Antioco di Siracusa del V secolo a.C.; ed il termine “tricuspide” viene confermato dall’altro storico siceliota Timeo di Taormina (IV-III secolo a. C.) che lo spiega chiaramente per il fatto di avere tre promontori.
La definizione ebbe fortuna, e si generalizzò. Vediamo infatti che nel III secolo a.C. il poeta Licofrone di Calcide, nel suo poema Alessandra, chiamò l’isola τρίδειροϛ νῆσοϛ; e lo storico Diodoro Siculo di Agira che paragonò l’sola al Delta egiziano per la sua forma.
La denominazione “Trinakria” si consolidò nel periodo greco-romano, creando anche una serie di termini equivalenti, che vanno dalla triquetra di Lucrezio, del I secolo a. C., al τριxάρενος di Nonno di Panapoli del IV secolo d.C., fino al trisulca di Claudiano del V sec. d. C.
Lucrezio nel suo poema filosofico, enunciando di Empedocle, parla delle triangolari sponde (trìquetris oris) della Sicilia, dicendo che “ quell’isola, attorno alla quale scorrendo il mar Ionio i grandi anfratti sparge dalle onde azzurrine la salsedine, portò Empedocle nelle sue triangolari sponde”: “ … insula quem triquetris terrarum gessit in oris quam fluitas circum magnis anfractibus aequor Jonium glaucis aspargit virus ab undis.” ed Ovidio, parlando della forma triangolare della Sicilia, poeticamente descrive come tre lingue i suoi promontori che si protendono nel mare “tribus haec excurrit in aequora linguis”; mentre Orazio chiama senz’altro la Sicilia “triquetra tellus”; e così la definiscono pure il naturalista Plinio il Vecchio e il poeta Silio Italico nel I sec. d. C.; mentre per Quintiliano la Sicilia è Triquetra; per lo scrittore spagnolo Igino, che fiorì nel periodo augusteo, la Sicilia è l’isola posta in un triangolo; e il suo contemporaneo Pomponio Mela, che visse nel I sec. d. C., e la cui opera De chorographia è la prima descrizione geografica del mondo scritta in latino, paragona la Sicilia al Delta triangolare del Nilo, capovolgendo il paragone già fatto da Diodoro. Nel IV sec. d. C. il poeta epico egiziano Nonno di Panopoli, che scrisse in greco un poema egiziano di Dionisio in India, chiamò la Sicilia tricipide e tricuspide ed infine Claudiano, nel V secolo, nel poema sul ratto di Proserpina, ambientato in Sicilia, chiamò l’isola trisulca, cioè a tre punte.
Questa nozine della forma geografica triangolare dell’isola trova una sua raffigurazione simbolica nel mostro a tre gambe, grecamente detto triskéles o latinamente trìquetra (a tre vertici).
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che si tratta di un antico simbolo religioso orientale, sia che rappresenti il dio Baal, o il sole, nella sua triplice forma di dio della primavera, dell’estate e dell’inverno, sia che rappresentasse la luna con le gambe talora sostituite da falci lunari, o anche il moto in genere. Le sue più antiche manifestazioni documentarie, si trovano in monete di varie città dell’Asia minore, come Apendo in Panfilia, Olba in Cilicia, Berito e Tebe nella Troade, ed in città della Licia, con datazioni variabili dal VI al IV sec. a. C. il simbolo della Trinacria si riscontra altresì nella monetazione di Atene del IV sec. a. C., della Macedonia nella stessa epoca, e di Corinto. Nella monetazione della Magna Grecia, il simbolo a tre gambe si riscontra in cinque città, e precisamente a Paestum, Elea, Terina, Metaponto, e Caulonia. In Sicilia lo troviamo a Siracusa, nella monetazione di Agatocle.
In età romana il simbolo perde completamente il suo originario valore religioso, per assumere soltanto quello geografico di emblema della Sicilia. Questo è evidente nella monetazione di Palermo, in cui la Trinacria appare col suo aspetto definitivo e cioè con le tre gambe unite ad una testa gorgonica adorna di spighe, che ribadisce il concetto della fertilità dell’isola “granaio di Roma”, con la scritta “Panormitan”; e nella monetazione di Entella, di Gela, di Agrigento e di Lipari.
Su un denaro del proconsole Aulo Allieno, del 47 a. C. circa, la Trinacria è unita alla raffigurazione dell’eroe eponimo dell’isola, Trinacro; ma la moneta romana più interessante è quella coniata nel 68 d. C. dal propretore d’Africa L. Clodio Macro, o dai suoi partigiani in Sicilia, perché per la prima volta vediamo raffigurata la Triacria accompagnata dalla scritta SICILIA, cioè il simbolo assieme all’interpretazione. (2)
La Trinacria si riscontra inoltre su altri monumenti e reperti siciliani, quali mattoni timbrati o suggelli di piombo per i tessuti. In Sicilia furono tipiche, per la loro funzione decorativa ed apotropaica, le maschere gorgoni che decoravano i templi di Gela e che venivano poste nel timpano del frontone con antefisse in terracotta.
Infine, che il mito solare di Pérseo, fosse popolarissimo in Sicilia, è attestato dalla celebre metopa del tempio C di Selinunte, databile al IV sec. a. C.
Giovanni Teresi
Bibliografia:
(1)–(2) – Storia di Sicilia – Periodici Locali Newton
Le due deche dell’Historia di Sicilia del R.P.M Tomaso Fazello