Tommaso Romano, "La Casa dell'Ammiraglio" (CulturelitEdizioni)

di Giuseppe La Russa
 
Il Tommaso Romano saggista, critico, poeta si fa romanziere, affida al testo in prosa – attraverso la modalità di un racconto inedito – ciò che probabilmente aveva già creato con Tempo dorato, clona sé stesso nella figura di un protagonista che, però, vuole che sia innanzitutto personaggio letterario, immaginifico, virtuale nella sua pregnanza, etereo nella sua concretezza.
Ma procediamo con ordine: di che tipo di romanzo si tratta? Come Romano è solito fare nelle sue opere, poetiche e non, la pagina scritta risente sempre di una tradizione fitta, sia da un punto di vista contenutistico che del genere in sé. Così se la poesia è immersa pienamente nel clima novecentesco, ma porta con sé echi risalenti fino a Petrarca e Dante, così non è immediato de-finire la tipologia di questo inedito: è un romanzo certamente autobiografico, contiene tratti surreali, probabilmente racchiude anche momenti del romanzo di formazione, nonché di quello psicologico-filosofico. Dunque è un testo, da questo punto di vista, parecchio eterogeneo, multi-faccia, ma proprio in virtù di ciò acquista, pagina dopo pagina, una forza patetica figlia di ogni residuo e lascito letterario.
La trama: un ammiraglio a riposo dalla Marina di stato, da anni collezionista, vive una visione extra-ordinaria che, all’apparenza, poco ha a che fare con il reale. Gli oggetti della casanima – neologismo oltremodo icastico e latore di vari significati -  prendono letteralmente parola e offrono al protagonista schegge di una verità fino a quel momento soltanto sfiorata. Proprio in questo dettaglio – che poi è il particolare su cui il romanzo si costruisce – sta la linea di demarcazione, o forse di congiungimento, tra un romanzo apparentemente surreale, tra una narrazione che quindi  trascende la realtà esperibile, e un racconto di formazione: perché proprio attraverso questa esperienza che mette in forse la normale visione del mondo dell’ammiraglio sta la crescita, la maturazione, la formazione nel protagonista di una consapevolezza nuova e più profonda. Allora ciò che andrebbe detto e messo in luce è che, probabilmente, si tratta di un romanzo “religioso”, di una esperienza mistica, di una apparizione, di un sogno, avrebbe detto Tommaso Ceva, fatto alla presenza della ragione.
E davvero di conoscenza mistica si tratta, di esperienza sublime dell’Assoluto, inteso sia in termini cristiani che non, di estasi della coscienza, di illuminazione dei sensi. Ma, come è spesso evidente nei testi poetici di Romano, la strada verso l’Assoluto è sempre colma di aspetti concreti e tangibili: il Mosaicosmo stesso è piena e compiuta espressione e realizzazione di questo assunto. Così la casa dell’ammiraglio protagonista della vicenda può tramutarsi in casanima solo attraverso la intercessione di quegli oggetti collezionati per anni.
La sua – ci piace pensare – è una collezione/collazione, laddove quest’ultimo termine evoca diverse sfumature: in ambito giuridico ha a che fare con l’eredità (dal lat. Conferre, ‘portare insieme’); nella critica testuale è il confronto tra diversi manoscritti per poter ricostruire la tradizione; anche in ambito ecclesiastico indica un conferimento, quello degli ordini sacri. Si tratta, dunque, di un’operazione che ha alla base la “tradizione”, nel senso etimologico di lascito, di con-ferimento, di un ‘donare insieme’: ed è proprio quello che l’ammiraglio collezionista può constatare. Il lascito, la “tradizione” dei suoi amati oggetti è un percorso di maturazione verso la verità, verso la conoscenza di una bellezza non transeunte, in direzione di una autenticità vitale lontana da quella rintracciabile nella normalità – e a tratti banalità - della vita quotidiana: «l’attimo è tutto e si può ripetere se solo si vuole scoprire la bellezza oltre il visibile». Così si esprime la dama delle Ninfee e questa è una materia nuova che pian piano si instrada nel cuore e nella mente dell’ammiraglio che, via via, si sente sempre più «sovrano fuori dallo spazio-tempo rispetto ai suoi contemporanei, fedele alla tradizione, alla storia, ai valori».
La sacralità di una nuova coscienza permea le stanze, fisiche e spirituali, del protagonista; appropriarsi di un oggetto, blandirlo, sedurlo ed esserne sedotti è il fulcro di una attività filosofica rara e fondante: «Ma cos’è, Ammiraglio, il vero, l’autentico? Noi cose, meri oggetti, siamo più veri dei mortivivi della città che vagano come impazziti e non conoscono più il senso e il valore del canto, dell’aria, dell’amore vero». Ciò che giunge a compimento, da queste parole, è l’idea di una lotta che mai deve arrestarsi contro il relativo ad ogni costo, contro ogni sorta di demistificazione del sacro, alla ricerca di un Senso vero, profondo e per-fetto, compiuto.
Se la perfezione sembra lontana dal mondo umano, gli oggetti della casanima offrono invece l’idea di una vita che trascende il mondo e che si esplica nella loro compiutezza e perfezione. L’uomo dilapida il tempo, come sempre la Dama delle Ninfee afferma, in ciò che non è stabile, che muore, in ciò che non è verità. La verità, come rivelano le parole di Maria Vergine, non è una umana opinione.
La Verità è evidentemente ricerca continua di ciò che è stabile, fermo, del Bello eterno ed immutabile, della Bellezza “statuaria”, di quelle statue e quegli oggetti che svelano al mondo, attraverso le parole di Tommaso Romano, un segreto quanto mai indispensabile: che la più grande esperienza mistica, la più veritiera rivelazione che ognuno di noi può osservare si trova solo e soltanto all’interna della propria casanima.
 
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