"Ancora sull’immaginario erotico" di Piero Montana

 

Nella favola di Amore e Psiche, raccontata da Apuleo nel-L’asino d’oro, Eros, pur giacendo insieme a Psiche, la sua amata, le proibisce di guardalo, prospettandole, qual’ ora essa trasgredisca a un tale divieto, un’infinità di disgrazie e sofferenze.

Il motivo di quest’ordine non viene detto, ma si può intuire che il dio (per pudore?) non ama essere contemplato.
L’ermeneutica di tale favola ha indotto scrittori e psicologi a scrivere interi libri.
Pensiamo qui a Erich Neumann (1), che, seguendo la lezione di Jung, da questa favola fa emergere nel suo scandaglio psicologico tutto il dramma dell’archetipo femminile violentato da una società patriarcale.
Ma a noi in questa storia narrata da Apuleo, interessa solo il fatto che Psiche verrà a trasgredire il tabù dell’invisibilità di Eros, l’invisibilità di un dio che con gli occhi bendati è sempre vissuto al buio e che solo al buio, nella notte, concede le sue prestazioni.
Pertanto da un simile racconto non ci si può non domandare, se il gettare luce su Eros, come di notte fa Psiche con una lampada, è davvero un violare la sua natura.
Altri miti parlano diversamente di Eros ed è a quello platonico che noi in particolare ci riferiamo.
Per Platone infatti Eros è tensione, desiderio che si accende alla vista della bellezza, che tuttavia, percepita dai sensi, non viene a soddisfarlo, giacché l’oggetto del desiderio è altro dal dato immanente, materiale, che non ne costituisce la vera realtà, ma una pallida copia dell’εἶδος, ossia della sua forma ideale.
 Un desiderio dunque che nella contemplazione di questa idealità non può fare a meno di una visione celestiale e pertanto di una luce, sia pure, essa solo intellegibile e/o trascendente.
Eros per Platone é veramente un dio perché solo egli può ispirarci una tale visione, finendo con ciò per diventare a sua volta anch’egli oggetto stupefacente della medesima.
Come può infatti un tale dio proibire la visione al Desiderio, la visione, la contemplazione a rigore di termini di se stesso?
Eppure non è solo nella favola di Amore e Psiche che una tale interdizione viene risolutamente affermata.
Anche Orfeo nella leggenda perde la sua amata Euridice, nel tentativo di riportarla col canto fuori dall’Ade, per essersi soltanto per un istante voltato a guadarla.
Di che incolpare lo sguardo che si sofferma sull’Amore o sull’ oggetto di questi?
Siamo qui costretti ad ammettere che in tali miti, in tali leggende c’è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione.
E forse la ragione è questa: viviamo ormai in un mondo del tutto desacralizzato, un mondo in cui continuiamo a guardare alle “cose” dell’Amore, forma assai sublimata della sessualità, da una prospettiva assai distante dalla loro realtà, ignorando del tutto che il sesso e l’amore, da esso derivato, facevano parte di un mondo a parte, di un mondo in cui il tempo della loro realizzazione era religiosamente relegato nell’ambito della sacralità.
Infatti non solo la sessualità necessaria alla generazione, ma anche ogni manifestazione da essa derivata, non potevano non essere considerate sacre. E come tutte le cose sacre ossia divine non potevano che essere confinate nel solo ambito di una dimensione preservata dallo sguardo ossia dall’intrusione di ogni profana curiosità.
Eros non interdice pertanto lo sguardo dell’amata, perché in Sé vuol serbare un suo qualche segreto, ma perché, come tutti gli dei, non vuole essere visto, contemplato nella sua nudità ossia nella sua essenza divina, che intende preservare da ogni contaminazione, sia pure essa derivante da un semplice ma curioso sguardo di un essere mortale.  
Per questo al bisogno dell’uomo di contemplare Eros viene a supplire l’arte,
la sola che poteva scavalcare le barriere spazio-temporali dentro le quali la sessualità umana in tutte le sue forme veniva relegata.
Infatti l’arte nel fissare un soggetto erotico in un supporto materiale, più o meno nobile, veniva a destinarlo alla visione e pertanto alla luce dell’Aion, luce perpetua dell’Eternità, grazie alla quale Eros viene ad attuare la sua Epifania.
La rivelazione di Eros non è che la teofania del dio che si manifesta nelle sue molteplici forme che appaiano a profeti, veggenti ed artisti ispirati. Quest’ultimi si limiterebbero pertanto a raffigurarle nelle loro opere.
Tali forme variano a seconda che la teofania investe scene o semplicemente figure di organi sessuali, pregni di quell’energia conturbante, che attestano la potenza del dio.

 
Potenza, che grazie all’arte ha la sua manifestazione non più effimera e transeunte come nell’atto sessuale, semplice e momentaneo scarico della pulsione istintuale, ma che viene ad alimentare il desiderio inestinguibile nel prolungamento di un godimento, sia pure, solo estetico.
E’ questo un godimento, di cui l’uomo necessita soprattutto nel nostro tempo, in cui sempre più è indotto al soddisfacimento di meri bisogni materiali.
L’arte erotica in virtù dell’energia in essa incanalata può servire da supporto magico all’ immaginazione attiva, creatrice, che può contribuire a potenziare la nostra realtà ontologica, se essa riesce a captarla e ad incamerarla.
L’arte erotica è arte magica per eccellenza. Nei primi decenni del secolo scorso i surrealisti ne ebbero piena consapevolezza e il loro capo André Breton volle occuparsene dedicando ad essa un libro assai voluminoso (2). Ma non solo l’arte, anche la letteratura erotica in quegli anni ebbe uno straordinario revival. Chi potrà mai dimenticare “Le undicimila verghe” di Apollinaire o “La storia dell’occhio” di George Bataille? Ma nel tempo in cui i surrealisti operavano l’erotismo non era ancora inflazionato, come ai nostri giorni, dalla pornografia.
La nobiltà dell’erotismo in campo artistico e letterario, non ha mai ceduto alla tentazione pornografica finalizzata alla masturbazione, essendo il suo intento ben altro che da servire da supporto allo scarico pulsionale della libido, prestandosi invece a fare da medium con forze ancestrali dentro e fuori di noi con le quali, se davvero padroneggiate ed incamerate, veniamo a potenziare il nostro essere.
Ecco allora che la mostra di trenta opere erotiche (pitture, sculture, libri oggetto) di significativi artisti, siciliani e stranieri, che noi proponiamo nei locali del nostro Centro d’Arte e Cultura di Bagheria, al di là di un intento provocatorio, scandalistico, che non è il nostro, può dare al pubblico dei visitatori l’opportunità, attraverso la contemplazione di esse, di sperimentare un godimento estetico, che solo Eros, nella  teofania delle figure, delle forme in cui di solito predilige manifestarsi, di certo garantisce,
Juan Esperanza, un artista siculo-messicano, tempo fa ci ha confidato quel che secondo lui, è il vero segreto dell’arte, suggerendoci che ogni arte anche la più aliena all’eros, fondamentalmente è un’arte erotica. Questa non sarebbe una verità soggettiva bensì quella verità che ognuno di noi può empiricamente constatare dal piacere che prova alla vista di opere assai diverse nelle loro espressioni artistiche non contaminate da figurazioni erotiche.
Il piacere ecco il termine allora più appropriato da usarsi per designare il godimento estetico, di cui sopra abbiamo parlato. Quel piacere- dobbiamo qui ricordarlo- che pure è stato l’oggetto, su cui Roland Barthes (3), uno dei maggiori esponenti della nuova critica francese, nei suoi ultimi anni, ha focalizzato l’attenzione della sua indagine in campo artistico e letterario.
 
Note
  1. Erich Neumann, Amore e Psiche Un’interpretazione nella psicologia del profondo, Casa Editrice Astrolabio, 1989
  2. André Breton, L’arte magica, ediz. Adelphi, 1991
  3. Il piacere del testo è il titolo di uno dei saggi più noti di Roland Barthes, in cui l’autore attribuisce al godimento di chi è immerso nella lettura di un buon libro un’importanza superiore a tutte le speculazioni ideologiche e/o metafisiche che da esso possono derivargli.
 
 
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