“Cavalcare la tigre con Evola: pensiero, creazione, eros come attraversamento” in AA.VV., Studi Evoliani 2021 (Ritter, 2022)” – di Vitaldo Conte

Cavalcare la tigre come Arte Ultima

Le vicende e i transiti molto personali – fra Futurismo e Dada – costituiscono un aspetto rilevante della complessa e versatile personalità di Julius Evola. L’autore, in questi passaggi di avanguardia, inizia a formulare un procedimento-percorso di pensiero, attraversando immagini-parole di creazione. Si confronta con il nichilismo e i limiti della ragione, che lo spingono verso la negazione radicale del mondo e dei valori esistenti: fino al punto-zero del Dadaismo. Il movimento Dada risulta un’estremità dell’avanguardia, in quanto è proteso a “recidere” l’arte con innocente crudeltà (come, per altri versi, fa il Futurismo). Vuole distruggere miti del passato e presente, per rapportarsi con la loro crisi, i loro sistemi e la società: «Esprimere è uccidere». Intende essere un limite dell’arte stessa e una spontanea espressione in forma universale, realizzante la propria negazione: «Possedere, non essere posseduto».

L’esperienza pittorica e poetica di Evola nel movimento dada, pur breve nella temporalità, risulta intensa, anche negli aspetti intellettuali, presenti e illuminanti nella stessa pratica. Come lo è il suo lasciare il pensiero-immagine della pittura e poesia per dedicarsi alla filosofia, con il suo intervenire nella creazione e con la sua indifferenza per il creare o non. Questo suo transito suscita riflessioni, in quanto precede e anticipa il suo successivo percorso di pensiero. Evola, anche nei suoi attraversamenti artistici e letterari, rimane un pensatore che “trascende” la propria espressione in immagini-parole.

L’autore arriva agli anni Sessanta con le loro tensioni (politiche, artistiche) e le ipoteche ideologiche. Indica, però, l’esaurimento dei linguaggi delle avanguardie storiche con l’assoluta improbabilità di una loro rinnovabile presenza: «In realtà, i movimenti a cui mi interessai ebbero un valore non tanto in quanto arte, ma appunto come segno e manifestazione di uno stato d’animo del genere, quindi per la loro dimensione meta-artistica e perfino antiartistica»[1].

Su Il cammino del cinabro (1963), sua autobiografia intellettuale, Evola scrive: «Esaurita l’esperienza, andai oltre. Buona parte dei miei quadri è andata dispersa». Termina il testo dedicato al suo transito artistico, affermando: «Non scrissi poesie né dipinsi più dopo la fine del 1921». Evola non rinnega la parentesi artistica, successivamente alla sua conclusione, ma considera impersonalmente il suo autore “scomparso”. Ci ritorna, sporadicamente a distanza di tempo, con articoli e considerazioni, ma anche, negli anni 1960-70, attraverso “copie” di ciò che aveva già dipinto. Il ricopiare un proprio quadro, realizzato in passato, risulta un sintomatico e ulteriore atto di “estraniamento” d’identità.

Termino la premessa del mio libro Arte Ultima (2016), che comprende un capitolo su Julius Evola e il Dada in Italia, scrivendo al riguardo: “Le ricerche sinestetiche dell’Arte Ultima cancellano le linee di demarcazione tra evento, espressione e realtà, per fluire ‘oltre ogni genere’ prestabilito e unico. Queste creazioni concepiscono, con i loro linguaggi che “dialogano”, la propria opera d’arte totale, che può divenire anche ambientazione di esistenza, ritualità espressiva che ricerca il suo oltre”[2].

Trovo una possibile testimonianza di Arte Ultima, da parte di Evola, proprio su Cavalcare la tigre, quando scrive: «Del resto da una considerazione oggettiva dei processi in corso, si ha il senso netto che l’arte non abbia più un avvenire, che essa si trovi respinta in una posizione sempre più marginale rispetto all’esistenza, il suo valore riducendosi proprio a quello di un genere voluttuario». Quello stato dell’arte che Evola denuncia nel proprio tempo, oggi, dopo decenni di sua ghettizzazione, ricerca le sue opere di pensiero-arte, magari da lui disperse. Le ricerca proprio come oggetti voluttuari di mercato, enfatizzandone il lavoro attraverso paragoni magari con maestri dell’astrazione mistica. Ciò può favorire anche l’affiorare di opere dubbie, in quanto Evola ha una produzione artistica limitata. Il suo Cavalcare la tigre è ancora oggi, forse ancora di più, una possibile indicazione di Arte Ultima.

 

 

[1] J. Evola, Prefazione a La parole obscure du paysage intérieur, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1963.    

[2] V. Conte, Arte Ultima, Avanguardia 21 Edizioni, Roma 2016.

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