“La trasmutazione alchemica dell’insignificante”. Mostra d’arte contemporanea di Calogero Barba al Centro d’Arte e Cultura “Piero Montana”

Da sempre la scrittura ha esercitato sugli uomini un fascino misterioso.

Questo straordinario strumento di comunicazione di certo doveva avere in sé dei poteri, che il suo inventore non aveva preventivato.

Se dovessimo fare una storia della scrittura, ci accorgeremmo che presto, fin dagli esordi, essa fu impiegata a fini diversi da quelli di un utile strumento di comunicazione intersoggettiva.

Oggi noi non sappiamo spiegare perché da strumento di comunicazione tra gli uomini, comunicazione questa che possiamo definire orizzontale, divenne anche strumento di comunicazione verticale, al quale si riserbò un’importanza maggiore rispetto al primo.

La nostra ragione forse può spiegarci che essendo la scrittura un’invenzione dell’uomo, essa più di altre sue invenzioni in virtù del suo potere poté apparire miracolosa. Infatti solo in quanto miracolo una tale invenzione non poteva più essere considerata opera umana. Solo un dio doveva esserne l’artefice. Ecco allora che tra gli dei si trovò un dio della scrittura. Questi per gli Egiziani fu Thot. Ma se la scrittura era di origine divina, il suo linguaggio non poteva che essere espressione della lingua di Dio o degli Dei. Da qui la sacralità della Scrittura in quanto linguaggio stesso con cui la divinità veniva a comunicare con gli uomini e con ciò a loro rivelarsi. Il pensiero positivista, scientista e materialista che ha finito per desacralizzare il mondo in cui viviamo, ha rimosso questa concezione di una scrittura fondamentalmente intesa dagli antichi come opera di Dio.

Per noi oggi la scrittura è solo un pratico, utile strumento di comunicazione tra esseri umani, comunemente usato per lo più nel disbrigo degli affari mondani. In questo senso essa ha finito per diventare solo uno strumento orizzontale di comunicazione, perdendo quella sua dimensione verticale, che ne faceva invece anche strumento di comunicazione che dall’ Alto veniva a comunicare con gli uomini in basso.

Da ciò si comprende perché gli Ebrei considerassero la Bibbia, la Sacra Scrittura, opera di Dio.

Gli Islamici tuttavia, come ci fa sapere Borges nel suo libro Discussioni, radicalizzarono questa concezione della scrittura, sostenendo addirittura che l’originale del loro libro sacro, il Corano- la madre del Libro- era nella sua sostanza un attributo di Dio.

Ed è ancora Borges, che ci informa, che nel nostro tempo ci sono persino dei teologi luterani i quali sostengono che la Scrittura non va inclusa tra le cose create, definendola un’incarnazione dello Spirito.

Per quanto lontani possiamo essere da tali concezioni della Scrittura è un fatto inconfutabile che anche noi moderni siamo ossessionati dal suo mistero. I tanti studi semiologici sui suoi segni, i tanti studi semantici sull’ordinamento dei suoi semi non fanno che mettere a nudo questa nostra ossessione per la Scrittura e il suo ineffabile linguaggio.

Certo essa è uno strumento di pratica utilità e tuttavia è al di là dell’utile che oggi più si indaga su di essa.

La nostra è l’epoca in cui domina il pensiero positivista e scientista, che si fonda sui soli dati oggettivi e materiali, un pensiero, per citare Heidegger, che è solo quello prevalentemente calcolante, un pensiero che tiene conto solo del dato scientificamente verificabile, perché è il solo che può prestarsi a fini prettamente strumentali. Un tale pensiero ha finito per dominare nel nostro mondo moderno, comportando una totale rimozione di tutto quanto non viene a prestarsi alla sua opera di utile manipolazione. Ma una tale rimozione non sfugge per legge di natura alle sue implicite conseguenze: il riemergere ossessivo della realtà rimossa nell’epifania dei suoi segni segreti, inesplicabili, misteriosi.

Se per il pensiero calcolante il dato a cui dare valore era quello che più si prestava alla sua strumentalizzazione, ossia quello del dato oggettivo da sfruttare in vista dell’ utile, la rimozione invece dell’elemento oggettivamente non manipolabile a fini utilitaristici, viene ad essere la causa al presente della sua insorgenza.

Ecco allora per quanto riguarda la scrittura che nell’ambito non profano del nostro mondo, quello dell’arte, che è l’unica vera religione del nostro tempo, cresce l’interesse per quel risvolto dei suoi segni che certo non possono essere di alcuna utilità, quei segni significanti che privi di significato non possono essere impiegati a fini utilitaristici, sottraendosi con ciò alla logica dello sfruttamento.

Avviene così che accanto alla scrittura profana ossia alla scrittura orizzontale, strumento di comunicazione intersoggettiva, si riscopre la scrittura verticale nella sua dimensione prettamente sacra, non da tutti però, per ovvi pregiudizi razionalistici, ancora riconosciuta, perché bisogna pur avere il coraggio di dire la verità, checché ne possano pensare mentalità positiviste e razionaliste: la scrittura asemica non è altro che scrittura dello Spirito. E’ la mano dello Spirito che traccia i suoi segni insignificanti. Essa come ha ben visto Borges, che ne parla in uno dei suoi più bei  racconti di Aleph, non è altro che la scrittura di un Dio, che un suo sacerdote verrà a scoprire nelle macchie insignificanti della pelle di un giaguaro, che però non sono altro che segni di un Logos divino ma indecifrabile inscritto nella natura.

Se la scrittura asemica esprime l’inesprimibile è perché essa laicamente, nel nostro mondo secolarizzato, prende il posto che per i nostri antenati aveva la scrittura del Libro sacro, e, che lo si voglia ammettere o no, essa pertanto non è che rivelazione del mistero che Dio o gli Dei ci comunicano. La scrittura asemica è Epifania dell’Ineffabile, testimonianza di un linguaggio altro e più propriamente del linguaggio dell’Altro non assoggettabile alla logica strumentale del nostro pensiero calcolante. E’ l’Altro che in tale scrittura ci parla, ma la cui voce ancora non è veramente udita. Le tante mistificazioni attuali sulla scrittura asemica rivelano l’angoscia innanzi alla voce di un linguaggio, quello dei segni insignificanti, che non è altro che la voce di chi  ci parla dell’Impensabile ossia di un pensiero che si sottrae alla logica del pensato da assoggettare allo sfruttamento per quella utilità che si può e si deve ricavare..

Il linguaggio della scrittura asemica è quel che Heidegger di certo avrebbe chiamato il linguaggio dell’Essere che tuttavia si sottrae alla significazione semantica.

Il linguaggio di soli significanti irriducibili al significato, che é solo segno dell’oblio dell’Essere, oblio della sua verità non traducibile nel mondo profano.

L’oblio dell’Essere è la dimenticanza della Sua verità, di cui l’uomo moderno ha voluto fare a meno, ma che proprio da questo oblio, da questa sua negazione, attraverso la scrittura asemica, attraverso dei segni insignificanti, viene a galla nell’attualità del nostro tempo.

Non è pertanto solo come critico d’arte che sono interessato all’opera di Calogero Barba, ma anche come gallerista, perché sono ben lieto di ospitare nei locali del mio Centro d’Arte e Cultura, la mostra di questo artista che con i suoi lavori viene a parlarci del mistero della scrittura dai soli segni insignificanti.

Se tali segni nella loro più intima e vera essenza vanno considerati come espressione di un linguaggio altro e più propriamente come espressione del linguaggio dell’Altro imperscrutabile ossia del linguaggio dell’Essere e del suo pensiero impensabile, di un pensiero non alienabile in una formalizzazione logica, semantica, tali segni insignificanti per un artista non possono che essere oggetto di una valutazione assai diversa da quella che gli attribuirà l’uomo del tutto profano.

Nei riguardi pertanto di tali segni, l’artista che viene a prenderli in seria considerazione, attuerà una trasvalutazione dei valori. Quel che per l’uomo volgare e profano non avrà alcun valore in quanto insignificante, per l’artista, che in esso scorge la verità dell’Essere avrà invece il massimo dei valori.

Attuando pertanto una trasvalutazione di tali valori ecco che Calogero Barba viene a considerare il segno del tutto insignificante come parte invece di un materiale davvero prezioso, come parte di quel tesoro, che è la scrittura asemica, un insieme di segni insignificanti solo per l’uomo volgare e profano, escluso dal mistero del linguaggio dell’Essere.

E’ dalla scoperta e valutazione di un tale tesoro che in maniera geniale il nostro artista trae le conseguenze.

La scrittura asemica, verità e mistero dell’Essere, va custodita gelosamente così come si custodiscono gli ori e le gemme più preziose.

Per essa vanno approntati dei forzieri in cui riporla per metterla al riparo dai ladri di verità. Essa va protetta da quanti vorrebbero accaparrarsene per sfruttarla a fini di lucro.

Chi sono questi ladri di verità, diciamolo apertamente, se non gli stessi semiologi e tutti gli specialisti odierni del linguaggio che su di essa hanno e continuano ad imbastire teorie e analisi semantiche da pubblicizzare su riviste, che per quanto specialistiche, sono seguite da un pubblico attratto solo dal prestigio che esse godono al momento?

Con la sua opera Barba va contro corrente, per lui la scrittura asemica, va custodita, riposta e, se é il caso, rinchiusa nei forzieri.  In quanto verità dell’Essere, del linguaggio dell’Impensabile, va sottratta alla curiosità di tutti quelli che contribuiscono a farne oggi solo una moda, che non potrà che essere effimera e solo passeggera.

E’ questo il messaggio che con le sue opere il nostro artista viene coraggiosamente a comunicare.

Oggi noi viviamo in un’epoca supertecnologica, noi non scriviamo più con una stilo o con una penna a biro. Scriviamo utilizzando il computer, ma pur usando uno strumento assai innovativo rispetto alla penna d’oca e al calamaio dei nostri antenati la scrittura per questo non è affatto cambiata. Noi non gridiamo allo scandalo quando nell’arte si usano nuovi strumenti radicalmente innovativi.

E’ inevitabile che si finirà per fare anche della scrittura asemica stando al computer, ma pur usando questo strumento tecnologico, in essa sarà pur sempre lo Spirito a guidare la mano dell’uomo.

Se, come ci invita Barba, è necessario preservare, custodire il mistero della scrittura dai segni insignificanti, se riusciamo davvero a comprendere il senso di una tale custodia, che ci farà guardiani e sacerdoti del Segreto, la scrittura asemica avrà di certo un futuro, essa non sarà mai l’oggetto di una moda, che al momento va per la maggiore.

E’ dunque con attenzione ed estrema vigilanza che dobbiamo rivolgerci ad essa.

Essa, nel dire tutta la verità, non riguarda nella sua indecifrabilità solo l’Ineffabile, il mistero dell’Essere, ma anche quel che a tale mistero ci lega. Avendo massimo riguardo per l’inviolabile sacralità dell’Essere e con ciò preservandolo da ogni sua strumentalizzazione, noi verremo ad affinare la nostra spiritualità. Pertanto come non comprendere che facendoci custodi del linguaggio dell’Impensabile e del suo mistero ineffabile, noi verremo a custodire in effetti la nostra quinta essenza. Custodendo la scrittura dai segni indecifrabili, noi verremo a custodire il nostro stesso tesoro. Ma questo tesoro non sarà costituito dagli ori e dalle gemme più preziose, il nostro tesoro sarà la nostra spiritualità, che in questo nostro mondo del tutto materialista, potrà sopravvivere solo conservando gelosamente il segreto dell’Essere, preservandolo dai predoni della verità.

Allora come non comprendere, che i forzieri in cui Barba ripone i segni insignificanti di una scrittura enigmatica e misteriosa, non sono altro che contenitori alchemici.

Essi sono athanor in cui veniamo a riporre la nostra materia prima, ma questa materia non è altro che sostanza del nostro Spirito, senza il quale non potremmo custodire alcun mistero dell’Essere.

L’Essere preservato nella sua verità è garante della nostra spiritualità. Custodendo l’Essere e la sua scrittura, noi verremo a riporre nei forzieri la parte più preziosa di noi stessi, la nostra intima sostanza, giacché se facessimo a meno dell’Essere, se facessimo a meno del nostro Dio, verremo a perdere questa nostra essenza preziosa, questa nostra materia prima che è prima in quanto tra tutte è quella che più ha valore. La scrittura asemica del tutto insignificante per il volgo e la gente profana, in quanto considerata inutile, é per noi la nostra vera risorsa, ma è all’arte che dobbiamo la sua valorizzazione. Nel dare valore all’insignificante l’arte di Calogero Barba attua una trasvalutazione dei valori.

Ma che cos’è invero questa trasvalutazione? Pensiamoci bene. Gli alchimisti chiamavano la loro opera di trasmutazione un’arte. Essa consisteva per l’appunto nel trasmutare i metalli vili ad esempio il piombo in metalli nobili, l’oro. Ebbene in che cosa consisteva la loro opera di trasmutazione se non in una vera e propria opera di trasvalutazione dei valori nel venire appunto a dare valore a quel che prima non ne aveva se non poco o addirittura niente, nel dare valore al piombo, metallo vile, che nella loro opera invece diventava oro.

Ebbene tutta l’arte di Calogero Barba, che prima abbiamo definito opera di trasvalutazione dei valori, in realtà viene a proporsi come opera alchemica, opera di vera e magica trasmutazione,

trasmutazione dell’insignificante privo di utilità in elemento segnico a cui attribuire il massimo valore e pertanto da custodire gelosamente nei nostri forzieri.

Se l’alchimia veniva considerata un’arte è perché dunque l’arte ancor prima dell’alchimia deteneva questo potere di trasmutazione. Un potere che le opere di Calogero Barba vengono pertanto da essa a mutuare e ad attuare, rivelando nella trasmutazione del segno insignificante la vera essenza nonché il valore di certo inestimabile della scrittura asemica.

 

Piero Montana

 

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