“Mithra: origini, caratteri, evoluzioni e/o modificazioni di un culto” di Diego Romagnoli
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- Creato: 10 Settembre 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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Il presente articolo verterà sulla figura di un dio le cui origini sono antichissime e su come le sue caratteristiche, in base ai luoghi in cui si diffuse il suo culto, si siano modificate nel tempo acquisendo o perdendo determinati attributi.
La prima domanda che ci si pone è chi è il dio Mithra: la risposta è che egli è il dio dei patti, dei giuramenti, dei contratti e, in una più ampia definizione, viene considerato come amico e dio dell’amicizia, inoltre si lega alla figura del sole. Egli compare nei libri sacri dei Veda (India), dell’Avesta (Persia), nei trattati, nei monumenti a lui dedicati e infine, in ambito romano, nei mithrei, nelle sculture, negli affreschi, nelle dediche e nelle invocazioni in suo onore.
Ci si chiede come sia nata questa divinità. Una risposta viene fornita dalle opere dello studioso indiano L.G.B. Tilak con le sue due opere La Dimora Artica dei Veda e Orione - A Proposito dell’Antichità dei Veda. Nella sua approfondita analisi delle scritture vediche e dei paesaggi descritti in esse, lo studioso indiano è giunto alla conclusione che gli dèi vedici (tra cui Mithra) fossero originari delle terre dell’estremo nord dell’Asia ora ricoperte dai ghiacci a seguito di un cataclisma. Ciò coincide con i racconti dell’Avesta (considerato da Tilak libro gemello dei Veda) ove si fa riferimento all’Airjana Vaejo, la patria degli Arya, un tempo retta dal re Yama la quale venne distrutta da una serie di rigidi inverni causando l’emigrazione del suo popolo verso sud. Inoltre, lo studioso scrive che Mithra è uno dei sette Adityas, o meglio, uno dei figli di Aditi, un’antichissima dea del cielo il cui nome è formato da a-non e diti-limite. Ella è colei che non ha limiti/l’illimitato/il cielo notturno, l’energia e la potenza cosmica, l’elemento femminile del Brahman-Immensità (Brahma, il creatore, colui che crea l’universo, è la controparte maschile di Aditi), la saggezza e Devamatri-madre di tutti gli dèi la quale genererà Aditya, il sole (il nome deriva da Aditi + ya, genitivo, ossia vuol dire figlio di Aditi). Secondo il Dizionario dell’Induismo di J. e M. Stutley, gli Aditya(s)-figli di Aditi sono aspetti della luce del sole al quale sono assimilati. Ognuno e collettivamente simboleggiano l’intera gamma di manifestazioni fenomeniche, sono associati ad un periodo dell’anno e a determinate funzioni. Ad esempio Mithra (cui vengono dedicati due versi nel Rg Veda III.59 1-2, vedasi Diego Romagnoli, Mitra: Storia di un dio - India a p. 27) è l’amicizia, il contratto sociale, il sacro patto tra le persone.
Stando al Rg Veda essi sono cinque, poi diventano, otto, dieci, undici e infine dodici come i mesi dell’anno solare (a livello etimologico, il suffisso della parola latina December-Dicembre, ber-, è affine alla parola sanscrita vara-tempo, periodo). Secondo Tilak questa variazione era dovuta al fatto che allontanandosi dall’Artico la durata della luce aumentava man mano che gli Arya emigravano sempre più a sud (infatti i primi due mesi dell’anno che vengono dopo dicembre, ora dodicesimo mese, e aggiunti successivamente a formare il nuovo anno, corrispondono al periodo di buio presente presso le latitudini maggiori poste più a nord in quanto sono più vicine al Circolo Polare Artico). Stando all’elenco dei sacerdoti indiani, i Brahmanas, Mithra presiedeva al secondo mese Vrushabha (Maggio-Giugno). Successivamente, col passar del tempo Mithra divenne un deus otiosus e infine, come afferma Sri RhamaKrishna nel primo volume di The Cultural Heritage of India Centenary Memorial a p. 26, in epoca post-vedica la sua figura si fonderà con gli altri due Adityas entrambe divinità solari, Surya e Savitar, in quanto i loro caratteri appaiono indistinti.
Nella discesa dei popoli Arya da nord, il culto di Mithra si diffuse anche in Asia Centrale in particolare nell’area che va dall’odierno Pakistan fino alla Persia e solo più tardi, subendo delle trasformazioni nel periodo ellenistico, esso raggiunse l’Anatolia. Va rilevato che il culto di questo dio del patto, dei contratti e dell’amicizia ha delle determinate caratteristiche che la riforma del pantheon mazdeo da parte di Zarathustra e l’azione dei Magi (la classe sacerdotale il cui nome deriva da magavan-partecipi del bene comune e a cui il profeta apparteneva) modificheranno. E’ importante rilevare la differenza che sussiste tra il Mithra indiano e quello iranico. In India il dio è un Deva e in Iran un Ahura (infine diventerà uno Yazata-essere degno di venerazione cui vengono offerti yas-sacrifici), ci si chiede perché. Considerando com’era il suo culto prima della riforma di Zarathustra, i Daevas (in sanscrito Devas) e gli Ahuras (in sanscrito Asuras) erano due classi di dèi (tale notizia viene fornita da autori come Erodoto e successivamente da Geo Widengren). All’inizio del II millennio a.C., alla rottura dell’unità linguistica dei popoli Arya seguì quella dell’unità del pantheon. In Iran i Daevas vennero considerati divinità malvagie mentre gli Ahuras benevoli, in India successe l’opposto. Il dio Mithra, la cui figura secondo Erodoto era assimilabile a quella di Helios-Apollo, veniva venerata da “società di uomini” (contrassegnate dall’aesma-furore in battaglia) i quali, come tributo al dio, praticavano il culto del sole e del fuoco. Davanti al fuoco sacro in onore di Mithra, si celebravano e si siglavano patti, accordi, alleanze e amicizia rituale, inoltre si praticavano cruenti olocausti di tori, di bovini e di cavalli, si gettavano granelli di bhang-canapa su pietre ardenti e ci si nutriva a base di latte e carne cruda. Vi era pure il consumo smodato di bevande inebrianti come l’haoma (in India soma)-bevanda di immortalità (tratto da qualche pianta della quale non si sa nulla o è estinta), liquido contenente il hvarenah (fluido sacro, igneo, luminoso, vivificante, spermatico) che in particolare veniva consumato dal sacerdote officiante il rito. Compito di Mithra era quello di assicurare l’osservanza della parola la quale permette all’uomo di essere in armonia con l’Ordine universale basato sull’hatya-Verità e il cui obbligo è di dire sempre la verità. La prima testimonianza scritta del dio in quei luoghi risale al 1400 a.C. col trattato di pace tra gli Ittiti e gli Hurriti presso il lago Van.
Nella sua riforma del pantheon mazdeo (avvenuta anche a seguito di cambiamenti climatici e carestie), Zarathustra eliminò tutti gli altri dèi (eccettuato il dio del male Ahriman, in realtà un antidio) in favore dell’unico dio Ahura Mazda, Saggio Signore e l’Ahura più potente (Avesta XXX.9, XXXI.4, XXXIII.1). Per le menti politeistiche dell’epoca tutto ciò era difficile da accettare così il profeta fu costretto a ricuperare la figura di Mithra relegandola al rango inferiore dei geni del pantheon mazdeo e purgandola da tutti gli elementi cruenti presenti nel culto precedente (tra cui l’haoma considerato “urina”) eccetto il sacrificio del toro il cui concetto venne rielaborato. Per Zarathustra Mithra (al quale nell’Avesta viene dedicato il lungo inno X), creato da Ahura Mazda, è signore di vasti pascoli ed altrettanto degno di preghiere e sacrifici (X.1) e in un altro passo (X.61) egli porta la pioggia e fa crescere le piante a coloro che sono a lui fedeli. La sua associazione col sole è data dal fatto che l’astro immortale veloce come un cavallo sorge sulla catena montuosa Hara (X.13). Nella reintroduzione del sacrificio del toro da parte di Zarathustra, una volta giunto il Saoshyant-Salvatore, Mithra, Rashnu e Sraosha abbatteranno il toro Hatayosh e, celebrando il suo sacrificio, tramite il suo grasso e il bianco haoma (forse latte) prepareranno la bevanda dell’immortalità da dare agli uomini i quali diventeranno immortali.
Dopo la morte di Zarathustra a partire dagli Achemenidi a Mithra vennero dedicati altari, templi (il suo culto venne condiviso con Anahiti dea delle acque), il culto del fuoco e la relativa festa dello Sadeh (30 gennaio), furono dedicate a lui le feste del Mithrakana (3 marzo), del Nowruz (21 marzo) e dello Yalda (21 dicembre), inoltre divenne parte del calendario zoroastriano in quanto gli vennero dedicati un mese e dei giorni. La figura del dio venne associata a quella dei regnanti persiani e successivamente anche a quella dei sovrani ellenistici. Con i Magi Mithra assunse il ruolo di mediatore tra Ahura Mazda e Angra Mainyu/Ahriman e nel 546 a.C. quando Ciro conquistò la Lidia, il dio venne a contatto coi Greci. Attraverso scambi culturali, essi, compilando testi apocrifi, trasformarono Zarathustra in un saggio platonico o in Platone stesso, tanto che Aristotele affermò che lo spirito del Profeta risorgeva nel filosofo ateniese. Gli Stoici si sforzavano di scoprire quali fossero le teorie fisiche e metafisiche dei Magi. Inoltre autori greci affermarono che Zarathustra fosse un astrologo babilonese e che fu maestro di Pitagora. Il culto del dio fu oggetto di influenze di altri dèi, altre credenze e vari concetti (greci, lo stesso Zeus venne associato ad Ahura Mazda, anatolici, ove Attis venne associato a Mithra, e semiti in particolare dalla Caldea, con Ishtar che venne associata a Cibele), anche le arti figurative influenzarono la sua figura. Tuttavia pure i Magi si ellenizzarono al contatto dei Greci (l’argomento è ampiamente trattato da Bidez e Cumont nell’opera Les Mages hellenisés).
Arrivato in Anatolia Mithra divenne oggetto di culto dei regni ellenistici e a lui vennero dedicati templi, in particolare quello del Nemrut Dag ove vi è un rilievo in cui il dio assieme ad altri dèi stringe la mano ad Antioco re della Commagene.
Il culto del dio Mithra col tempo iniziò a diffondersi anche in Occidente. Un anticipo di ciò avvenne tramite le guerre di Pompeo nel Mediterraneo contro i pirati cilici il cui stato venne fondato da elementi dell’aristocrazia iranica. Teofane di Mitilene, che descrisse gli eventi, che Plutarco riprese nella sua opera Vite Parallele, scrisse che i Greci erano venuti a conoscenza di strani riti celebrati dai pirati stessi i quali (stando a Plutarco) venivano officiati sul Monte Olimpo di Cilicia. Cumont affermava che tali “misteri” di Mithra, probabilmente di origine anatolica e ai quali si veniva iniziati, non erano ellenici ma simili a quelli greci; infine con la vittoria di Pompeo sui pirati essi presero la via verso l’Occidente.
Ci si chiese come questi misteri si diffusero. Dopo la guerra nel Mediterraneo, ai pirati, graziati, venne intimato di stabilirsi sulla terraferma lontano dal mare. E’ probabile che essi continuarono a celebrare tali riti in onore del dio Mithra e non è escluso che un loro sparuto gruppo operasse a Roma e nel Lazio. Dopo quell’epoca del dio non si hanno più notizie, si dovrà aspettare Nerone il quale venne iniziato ai misteri di Mithra dal re Tiridate di Armenia in visita a Roma nel 67 d.C.. Tracce del culto del dio persiano incominciarono a vedersi intorno al 72 d.C. a Carnuntum, ciò è riportato da Cumont nella sua opera Les Mystères de Mithra, egli scrive: “Si può determinare con maggior precisione anche il modo in cui il dio persiano arrivò a Carnuntum. Nel 71 o 72 d.C., Vespasiano aveva occupato questa importante posizione strategica con la Legio XV Apollinaris la quale aveva combattuto in Oriente otto o nove anni prima. Inviata nel 63 d.C. verso l’Eufrate a rafforzare Corbulo nella guerra che stava conducendo contro i Parti, durante gli anni dal 67 al 70 d.C. la legione aveva preso parte alla repressione delle rivolte giudaiche e successivamente aveva seguito Tito ad Alessandria. Senza dubbio le perdite che la legione di veterani aveva subito in queste sanguinose campagne furono rimpiazzate con reclute prese dall’Asia. Probabilmente questi coscritti erano per la maggior parte nativi della Cappadocia, e furono essi che, dopo il loro trasferimento verso il Danubio col rango di anziano e fila della legione, là offrirono per primi sacrifici al dio iranico il cui nome era stato fino allora sconosciuto nella regione a nord delle Alpi. A Carnuntum si è ritrovata un’iscrizione votiva mithraica scritta da un soldato della legione Apollinaris il quale portava il caratteristico nome di Barbarus.”. L’iscrizione più antica di Mithra in nostro possesso è un’iscrizione bilingue di un liberto del periodo dei Flavi. La prima citazione di Mithra a livello letterario è nel primo canto della Tebaide di Stazio (circa 80 d.C.) il quale aveva assistito alle cerimonie del dio, e fu alla fine del I secolo d.C. che il culto di Mithra iniziò a diffondersi fuori Roma. Il suo sviluppo tumultuoso in tutto l’impero avvenne nel II secolo e in particolar modo lungo il limes reno-danubiano dove le legioni erano stanziate e in Britannia. La diffusione avvenne principalmente tramite le legioni, le flotte, la burocrazia, i mercanti, gli schiavi, i liberti e i cittadini privati e con Commodo, che venne iniziato ai misteri, essa era già completa e il culto venne, per così dire, “ufficializzato”. L’adorazione del dio Mithra raggiunse il suo culmine nel 307 d.C. con la conferenza a Carnuntum, ove Diocleziano, Galerio e Licinio di comune accordo dedicarono un tempio a Mithra fautori imperii sui. Dopo la morte di Diocleziano il culto subì un certo appannamento a causa del Cristianesimo che stava trionfando, esso riprese con Giuliano l’Apostata ma dopo la battaglia del Frigido nel 392 d.C. e l’editto di Teodosio contro le religioni pagane del 394 d.C., pur durando fino al V secolo, esso decadde e sparì del tutto.
Ci si chiede in cosa consistesse il culto di Mithra nell’impero romano. Esso era caratterizzato da riti e cerimonie che venivano celebrate all’interno dei mithrei, ossia degli spazi sacri chiamati spelea-grotte, sotterranee o meno, o a volte potevano essere ricavati da costruzioni o edifici o scavati all’interno della roccia ove venivano iniziati e potevano partecipare solamente gli uomini, mentre le donne erano escluse da tali riti. Come è documentato all’interno dei mithrei, tramite affreschi e sculture, i riti e le celebrazioni si concludevano spesso con un banchetto a base di pane contrassegnato da una croce (X simbolo dell’Anima Mundi platonica), vino e altri cibi.
I mithrei erano immagine del cosmo, la grotta di Platone da cui si doveva uscire per giungere al mondo delle idee. In particolare quelli di Roma (S. Prisca tra i più importanti), Ostia (mithreo delle Sette Sfere) e d’Italia (mithrei di Capua, ritrovamenti ad Aquileia) in genere mostrano affreschi (ove sono ritratti altri dèi tra cui Poseidone dio delle acque rappresentante il continuo divenire ed Helios-Apollo il Sole, Hermes psicopompo, Eros l’Amore, Cautes e Cautopates i dadofori posti ai lati di Mithra e suoi araldi, Chronos con testa di leone nudo avvolto dal serpente il Tempo che tutto divora, Hekate la dea che forma i corpi e madre dei demoni, demoni come i galli anguipedi, a volte la Gorgone) iscrizioni (come a S. Prisca di cui una è dedicata anche ad Ahriman) e simboli (astrologici e/o alchemici come la klimax heptapylos-scala a sette gradini ciascuno di un metallo diverso ed associato ad uno dei sette pianeti che giravano intorno alla terra) i quali possono fornire un’idea riguardo al culto. Esso traeva spunto dal mito di Mithra che nasce dalla roccia/uovo cosmico, supera il fiume, ricopre il suo corpo nudo strappando dall’albero foglie di fico per farsi una veste, prende l’arco e scocca la freccia contro la roccia dalla quale zampilla l’acqua, si dirige verso il toro dentro la grotta, lo cavalca (l’animale simbolo della forza caotica si scuote tentando di disarcionarlo), lo cattura dopo che si è stancato e lo trascina sulle spalle nella grotta, lì uccide/sacrifica il toro per dare origine al cosmo, nel sacrificio il dio viene coadiuvato da uno scorpione che colpisce i testicoli del toro, dal serpente che gli morde la carne e dal cane che ne beve il sangue (in un suo studio Attilio Mastrocinque vede il sacrificio del toro come simbolo della vittoria di Augusto, in seguito utilizzato per fini politici dai suoi successori). Dopo questo sacrificio Helios-Apollo stringe la sua destra a Mithra e poi s’inginocchia davanti a lui sottomettendosi. Poi il dio inizia la sua ascesa verso l’empireo cavalcando il cocchio di Helios-Apollo (che sta accanto a lui) trainato dai cavalli, infine vi è il banchetto celeste di Mithra con i vari dèi. Scopo del mito era la trasfigurazione con la liberazione dell’anima del myste-iniziato dai vincoli terreni e la sua salvezza e ciò avveniva tramite la celebrazione di cerimonie e riti. Ad esempio in quella d’iniziazione del I grado di Corax-Corvo, l’iniziato era posto in una buca scavata nel terreno ricoperta da una grata sopra la quale veniva versato il sangue del toro o dell’animale sacrificato, o nel II grado di Nymphus-Sposo ove vi era un battesimo d’acqua, o quella del V grado di Leo-Leone con battesimo d’impronta del fuoco sulla fronte marchiata con una X (simbolo dell’Anima Mundi e del terzo occhio) e del miele versato sulle mani (vedasi la figura di Decio sul sarcofago Ludovisi della battaglia conservato a palazzo Altemps a Roma). Vi erano sette gradi di iniziazione posti in successione (Corax-Corvo, Nymphus-Sposo, Miles-Soldato, Leo-Leone, Perses-Persiano, Heliodromus-Corriere del Sole, Pater-Padre) ai quali si legavano, insieme alla klimax heptapylos-scala a sette gradini che funge anche da axis mundi, i sette pianeti e relative costellazioni (come quelle del Capricorno legate a Cautes e Cautopates, la Via Lattea, sede delle anime chiamata Ade nel mithraismo posteriore) e man mano che si progrediva si arrivava, come la samsara indiana, alla liberazione dal ciclo delle reincarnazioni. Passando per la costellazione del serpente accanto al polo nord celeste e superando la stella polare si usciva dall’ottava porta, giungendo al mondo delle idee. Nella sua formazione il culto di Mithra fu influenzato dall’orfismo, dal pitagorismo, dal platonismo, dal tardo stoicismo, dal neopitagorismo, più tardi dal neoplatonismo (il De Antro Nympharum di Porfirio è una metafora del mithreo), molto minimamente dall’aristotelismo ma nell’accezione neoplatonica, probabilmente dall’alchimia, dall’astrologia e dalla teurgia caldea (Oracoli Caldaici) e dalla magia nell’accezione teurgica (facendo uso anche di particolari gemme magiche trattate nello specifico da Attilio Mastrocinque, Studi sul Mitraismo (Il Mitraismo e la Magia). Teurgia significa operare come un dio al fine di liberare il myste-iniziato dai vincoli terreni e in tale rito si fa uso degli onomata barbarika-nomi barbari che non vanno mai tradotti in quanto perderebbero efficacia verso le divinità e Mithra stesso, i quali discendono a possedere il Pater-Padre celebrante il rito. Malgrado il sacrificio del toro e l’iconografia persiana del dio (e qualche richiamo orientale) i Misteri di Mithra (la cui figura nell’impero romano assunse più importanza che altrove) hanno un carattere prettamente ellenico.
Per maggiori dettagli sugli argomenti trattati si consiglia l’opera in quattro volumi di Diego Romagnoli, Mitra: Storia di un dio (con prefazioni di Tommaso Romano al I e al IV volume). Buona lettura.