Grandi amori: Palma Bucarelli e Giulio Carlo
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Grandi amori: Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan... (da un articolo del Foglio del 2015 di Annamaria Guadagni)
______________________________________ Pratagonisti nella storia dell’arte del XX secolo, Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli furono compagni per tutta la vita. Si conoscevano fino dagli anni Trenta, avevano studiato insieme alla scuola di specializzazione universitaria in storia dell’arte e si erano poi trovati a condividere accese battaglie culturali – basta ricordare quella in difesa dell’astrattismo e il comune interesse per la pittura di Jean Fautrier. La militanza intellettuale li aveva opposti a correnti avversarie, segnatamente all’intellighenzia comunista, e li aveva resi una coppia simbolo, circondata di maldicenze e rappresentata come arrogante macchina di potere. La loro relazione d’amore nasce in anni maturi, quando sono entrambi cinquantenni, quasi un recupero del non- vissuto da ragazzi: “ Ho il rimorso di tutto il tempo in cui ti ho amata senza saperlo (deve essere così – scrive lui – perché debbo fare uno sforzo enorme per ricordare un tempo in cui non ti amavo; e mi pare, comunque, che quel tempo non appartenga alla mia vita, ma a quella di un altro e, quel che è peggio, di un imbecille)”. Le 23 lettere raccolte in questo volume appartengono al periodo 1960-63, anno del matrimonio di Palma con il giornalista Paolo Monelli, cui era legata dal 1936. Ufficialmente single fino ad allora (Monelli era sposato con un’altra), Bucarelli era donna determinata, bellissima e ambiziosa, certamente trasgressiva per la scena culturale di quegli anni. E Argan era sposato dal 1939 con Anna Maria Mazzucchelli. Così, entrambi si davano a un grande amore, fatto – come osserva Lorenzo Cantatore – di uno stesso modo di sentire la vita e la morte, di una stessa capacità di essere insieme felici e disperati, senza mettere in discussione tutto il resto delle loro vite. Non fu semplice trovare un equilibrio. In una cupa lettera datata 1960, dalla quale si intuisce che è stato toccato un limite oltre il quale è impossibile andare, Argan scrive: “Dovrò difenderti da me, da questo mio amore disperato come la vita e profondo come la morte: lo farò. La morte, anche a questo ho pensato: come all’unico, ultimo modo di identificarmi con te, di essere per un istante, l’istante di coscienza al confine del nulla, te. Perché la morte è l’esito della vita e tu per me sei proprio questo, l’esito della vita… Non è l’avvenire che dobbiamo decidere, ingenui che siamo: è il passato che decide di noi, e non possiamo farci niente. Felicità e disperazione di pensare questo. So di avere un posto, un grosso posto, nel tuo passato. Se io fossi un altro degli uomini che ti amano, di nessun altro sarei geloso se non di me”. E’ attraversando questo tunnel angoscioso che si trova subito una chiave importante: lui si identifica con lei, e ne parla come di una parte di sé che c’è sempre stata, doveva solo essere riconosciuta. E questa rappresentazione di loro due come combattenti, e come parti di una stessa cosa, probabilmente rese la coppia indistruttibile e al di là di tutto. Quasi un unico “personaggio” , come si legge in una lettera del gennaio 1961, dove Argan cerca di spiegare a Bucarelli perché le è così difficile stare al mondo: “Vedi, Palma… tu soffri perché, in fondo, rifiuti di riconoscere che il problema ha un solo dato essenziale, e questo sei tu, la tua persona. Tu non hai avuto quello che si chiama una vita felice perché hai voluto avere e hai avuto una vita importante: le due cose non possono andare d’accordo, lo sai. Bella, intelligente, ammirata, adorata (detestata solo dagli idioti e dai vili), hai attraversato il mondo, coi tuoi occhi belli fissi a un punto indefinito, una spanna più in su della testa della gente. Hai voluto camminare col mento in su… e a camminare col mento in su, Palma, si respira un’aria più pura, ma si urta nei cantoni… Com’è accaduto a me, del resto…”. E ancora: “Poiché ci amiamo e poiché il ‘personaggio’ che tu ed io siamo pone un limite alle possibilità reali del nostro legame, noi vorremmo poterci togliere di dosso, come fosse un travestimento, il nostro personaggio. In realtà, noi non siamo altro che il nostro personaggio. Riflettici, Palma. Nulla di più umano, di più pietosamente umano…”. Per la Bucarelli sono anni difficili. Stremata dal lavoro meticoloso condotto al fianco di Jean Fautrier, isolata e attaccata nella sua attività alla direzione della Galleria nazionale d’arte moderna, sofferente per problemi di salute e incessanti emicranie. Le sue lettere provengono dalla Svizzera, dove è ricoverata in clinica, da Cortina o da Capri, Argan cerca di consolarla e di tenerla allegra, lusingandola o prendendola amabilmente in giro: “Anche le rose hanno (scusa il paragone volgare, non ne trovo un altro) i loro pidocchi; è stato ed è per me motivo d’orgoglio infinito essere il pidocchio prediletto, il più vicino al cuore della mia rosa”. E Palma da Cortina nel 1961: “Carlo, caro, caro, caro, caro, caro… mi vien voglia di scrivere tutta la lettera così, due, sei, otto pagine di ‘caro’, e nient’altro. Ma devo dirti che la tua lettera euforico-liricomitologicoanacreaontica mi ha fatto ridere come non mi capitava da un pezzo, e me la rileggo ogni tanto, da ieri mattina, come una medicina esilante (sto così male che salto persino le sillabe, mi cadono dalla penna, volevo dire esilarante). Ma sono scherzi pericolosi, Carlo: io non posso amarti più di così, e tu mi costringi a constatare che oltre quello che credevo un massimo, c’è sempre dell’altro… Ho riso, sei riuscito a farmi ridere, e avrei invece tanta voglia di piangere”.