“Il 25 Aprile e il populismo” di Carlo Gambescia
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- Category: Polis
- Creato: 27 Aprile 2019
- Scritto da Redazione Culturelite
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Premessa. La tesi del totalitarismo, come visione antiliberale del mondo, in Italia non ha mai avuto molti sostenitori, né all’interno dei circoli colti, né tra la gente comune.
In pratica, l’intera storia repubblicana è solcata dalla divisione netta tra fascisti e antifascisti: i primi visti come nemici della democrazia, i secondi come i suoi difensori. E il liberalismo? Roba da ricchi.
Va sottolineato che quei giorni di aprile furono vissuti da molti italiani come liberazione dalla paura. La Liberazione, prima che fatto politico, fu fatto collettivo, fu come un grande respiro di sollievo.
Nel dopoguerra però questo patrimonio psicologico, invece di essere tradotto in sonanti valori liberali, fu monopolizzato dalla sinistra. Nel nome della democrazia (attenzione, non liberal-democrazia) qualsiasi tentativo di spostamento a destra era pavlovianamente condannato come tradimento. Fino al punto, che dopo il Sessantotto, l' epiteto di fascista fu automaticamente esteso a tutti coloro che pur non provando alcuna simpatia per il Movimento Sociale non credevano nemmeno nella democraticità del Partito Comunista e in quella dei gruppetti politici alla sua sinistra.
Il 25 Aprile, che negli anni del Centrismo democristiano era saggiamente celebrato in sordina per non fomentare divisioni e riaprire ferite, tra gli anni Sessanta e Settanta si trasformò invece nell’apoteosi della Resistenza in nome di un antifascismo targato Pci. In realtà, si trattò di una tradizione inventata, perché alla Resistenza, che comunque non fu fenomeno di massa, parteciparono anche monarchici, cattolici, liberali, socialisti riformisti. Diciamo che il Pci, senza incontrare grandi opposizioni tra i partiti costituzionali, si appropriò del copyright.
Questa matrice di sinistra, per giunta comunista, favorita dal progressismo laico di stampo azionista, non ha mai aiutato la ricomposizione politica dell’Italia intorno a comuni valori liberali e democratici. Il Pci, per dirla tutta, accettò i valori democratici, ma solo in chiave leninista: per conquistare il potere. Scorgeva nel Parlamento il mezzo per combattere dall'interno la democrazia rappresentativa, squalificandone contenuti e valori liberali.
In questa operazione i comunisti furono aiutati dal rifiuto dei circoli intellettuali, colonizzati dal marxismo e dal democraticismo, di mettere sullo stesso piano totalitarismo comunista e fascista: ai comunisti si riconoscevano sempre le buone intenzioni; se sbagliavano era sempre a fin di bene.
Pertanto la celebrazione del 25 Aprile non poteva non assumere una connotazione di sinistra, trasformando la divisione tra fascisti e antifascisti, come del resto provano gli anni dei governi berlusconiani, in una continuazione della Guerra Civile con altri mezzi.
Naturalmente, nel tempo, un antifascismo così inteso - di parte, insomma senza la parificazione totalitaria - non poteva non spaventare l’elettorato moderato e conservatore, facilitando la rinascita e diffusione di quei luoghi comuni, un tempo patrimonio dei soli neofascisti, rivolti a giustificare il fascismo: dalla natura indisciplinata degli italiani all’importanza dell’arrivo in orario dei treni.
In politica a ogni azione segue una reazione. E i colpi di accelerazione nei riguardi dell’antifascismo, soprattutto durante la Seconda Repubblica, non potevano non favorire controspinte di tipo fascistoide, nel senso di atteggiamenti affini o inclini al fascismo, in cui il populismo - lo stesso che fu alle origini del fascismo - oggi sguazza.
Sicché, da un lato spicca la minimizzazione fascista, che fa breccia nella gente comune, ipnotizzata dal populismo, dall’altro l’ enfatizzazione antifascista, sempre più patrimonio di una sinistra altrettanto isterica e populista. A farne le spese è l’idea liberale, invisa a fascisti e antifascisti. Ieri come oggi.
Di conseguenza, anche quest'anno, ci ritroviamo a celebrare un 25 Aprile, che continua a dividere gli italiani. Con una differenza però. Anzi due. Che i populisti, quelli veri (altro che Berlusconi), sono al potere. E pure all’opposizione.