Aldo A. Mola, "Vita di Vittorio Emanuele III (1869-1947). Il re discusso" (Bompiani) - di Antonino Sala

Recentemente è uscito per Bompiani una articolata e molto documentata biografia dal titolo “Vita di Vittorio Emanuele III. 1869 - 1947 Il re discusso. Un protagonista della storia sempre al centro del dibattito” del professore Aldo Alessandro Mola, medaglia d'oro di benemerito della cultura, oltre che autore di diverse pubblicazioni di carattere storico.

Lo storico affronta criticamente tutte le fasi della vita del sovrano che salì al trono d’Italia a seguito dell’assassinio del padre Re Umberto I: dagli anni della formazione a quelli più eroici della partecipzione al primo conflitto mondiale, a quelli tumultuosi del primo dopoguerra, a quelli dell’avvento del Fascismo e della II guerra mondiale che sconvolsero la nazione e ne mutarono gli assetti istituzionali, politici, e sociali in modo pressocchè irreversibile.

Sua Maestà Vittorio Emanuele III regnò per 46 anni e fu protagonista, anche controvoglia, di un periodo storico che resta inciso non solo nei libri di scuola ma nella memoria collettiva di un intero paese, che durante proprio la sua guida passò rapidamente dall’essere agricolo ad industrializzato con tutte le criticità che questo comportava: inurbamento, scolarizzazione ed irruzione delle masse sul palcoscenico della storia patria con la conseguente nascita di movimenti politici portatori di rivendicazioni sociali di varia natura.

L’avvio del processo di innovazione e implementazione di nuove infrastrutture come le ferrovie, produsse un rapido sviluppo delle città e delle attività economiche legate al commercio in tutta Italia, con il conseguente abbandono delle campagne e con un Sud che rimaneva ancora arretrato e fortemente analfebetizzato, in cui resistevano, nonostante le riforme volute dai governi dell’Italia liberale, forme di feudalesimo retrivo che terranno ancora per diversi decenni le popolazioni del meridione nel servaggio verso i potenti del prima e del poi.

Vittorio Emanuele III fu, come emerge dalle pagine del volume, uomo colto, curioso, compenetrato nel suo ruolo di re, ancorato ai valori del Risorgimento che senza casa Savoia non ci sarebbe stato, convintamente costituzionale e forse anche troppo legato ai vincoli che lo Statuto Albertino e la prassi politica avevano sancito nel tempo. Tutto questo anche a costo di pregiudicare le proprie prerogative sovrane, come nel caso delle leggi che via via il governo di Benito Mussolini emanava proprio per espropriare il sovrano del suo ruolo.

Il re, afferma lo scrittore, “di cultura vastissima, favorita da memoria prodigiosa, e dalla vena di umorismo partenopeo trasmessagli dal Principe Nicola Brancaccio”, seppe coniugare l’interesse nazionale con il necessario progresso delle istituzioni e delle leggi e se si fosse fermato al primo dopoguerra sarebbe stato di ricordato come un innovatore senza pari. Fu il sovrano della vittoria e del compimento dell’Unità Italiana, colui il quale dopo la catastrofe di Caporetto seppe tenere ferma la barra per la riscossa militare del regio esercito, che consacrò l’Italia come nazione eroica. Grazie a lui i confini del Regno arrivarono, come ancora oggi, a coincidere con la geografia dello “stivale”.

In questo volume si affrontano i fatti storici di quell’Italia lontana nel tempo, con occhio critico e in maniera scientifica, senza ideologismi o pregiudizi, mettendo in relazione uomini e vicende che hanno caratterizzato i quarantasei anni di regno senza fare sconti a nessuno.

Il testo è anche un atto di accusa nei confronti delle forze liberali, democratiche e cattoliche che, in occasione del delitto di Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924, non seppero cogliere l’opportunità che proprio Vittorio Emanuele III aveva fornito loro per riportare un ordine legale, potendo sfiduciare il governo Mussolini anche con il concorso in Parlamento di esponenti del listone fascista che non volevano un sistema autoritario. Esse invece, sostiene Mola, commisero il grave errore di abbandonare la nave e il suo capitano (il Re) al loro destino per rifugiarsi sull'Aventino, consegnando così il potere nelle mani del Duce e dei suoi più agguerriti gerarchi. E nonostante questo il sovrano continuò a svolgere, con tutte le criticità e gli errori che nessuno nega, il suo ruolo di guida nella tempesta.

“Vittorio Emanuele III, scrive l’autore, non rimase spettatore inerte, come aveva fatto  nell'ottobre 1922 sollecitò l'opposizione a scendere in campo nelle aule parlamentari, per offrirgli un appiglio per un suo intervento. nella sua visione rigorosamente statutaria, Esse erano le sue orecchie e i suoi occhi. (...). Il re riteneva che il fascismo non esprimeva un disegno coerente e univoco e che le opposizioni costituzionali disponevano ancora di ampia possibilità di ribaltare la maggioranza di governo anche alla camera, facendo leva su quanti, eletti nel listone, non erano affatto mussoliniani ma ancora cattolici moderati, liberali, democratici, e democratici sociali di varia ascendenza e ascrizione. Le sue attese però non ebbero alcuna risposta.”

Certamente le responsabilità della Corona sono innegabili in molti controversi passaggi storici di un'Italia ancora troppo retriva, sia nel consolidarsi del Fascismo come regime, sia nella promulgazione delle spregevoli leggi razziali, che nella discesa in campo al fianco della Germania nazioanlsocialista, anche se come afferma Mola, i poteri che lo statuto attribuiva al Re non potevano essere aggirati. Sicuramente però in nome delle libertà, a cui proprio lo statuto si ispirava, sarebbe stato meglio ridimensionare con ogni mezzo le prerogative di un governo autoritario come quello di Mussolini anche a rischio di una rottura istituzionale che prima o dopo sarebbe avvenuta, che subirne le nefaste influenze e conseguenze.

La monarchia forse, vista l’insofferenza del capo del fascismo verso la corona, come riporta Mola, annotata da Galeazzo Ciano nel suo diario, sarebbe caduta per mano fascista, cosa che avvenne successivamente anche con il concorso di quella fronda reduce dalla Repubblica Sociale Italiana, che dipinse ad arte il Re come un traditore dopo il 25 luglio 1943, ma almeno non si sarebbe macchiata di quel orrendo crimine che furono le persecuzioni nei confronti degli ebrei con le relative deportazioni nei campi di sterminio. E di cui fu vittima anche la secondogenita di Vittorio Emanuele III, la principessa Mafalda che, sotto il falso nome di von Weber, fu imprigionata dai tedeschi subito dopo l’armistizio a Buchenwald sotto il controllo delle SS dove perse la vita il 28 agosto 1944.

Detto questo oggi la storiografia più scevra da ideologismi di parte e pregiudizi antimonarchici, riconosce al sovrano il merito di avere salvato la capitale dalla distruzione totale e l’unità dello Stato, quando decise di spostarsi da Roma a Brindisi, dove peraltro non c’erano forze tedesche e nemmeno alleate. Scrive  lo  storico  Lucio  Villari  sul  Corriere  della  Sera  il  9 settembre  2001  “fu  la salvezza  dell'Italia  che  il  Re,  il  governo  e  parte  dello  Stato  Maggiore abbiano evitato di essere "afferrati" dalla gendarmeria tedesca, e che il trasferimento (il termine "fuga" è, com'è noto, di matrice fascista, però riscuote grande successo a Sinistra) a Brindisi gettò, con il Regno del Sud, il  primo  seme  dello  Stato  democratico  e  antifascista,  ed  evitò  la  terra bruciata prevista, come avverrà in Germania, dagli alleati”.

Tesi ribadita anche dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che ebbe a dire “non perdonai la fuga del re, anche se riconobbi che, andando al Sud, aveva in qualche maniera garantito la continuità dello Stato (intervista a Marzio Breda sul Corriere della Sera del 18 aprile 2006)”.

Se non avesse accettato il 3 settembre 1943 l’armistizio, le forze alleate avrebbero bombardato Roma radendola al suolo, come già era avvenuto il 19 luglio 1943 quando fu colpito il quartiere San Lorenzo ad opera di 270 bombardieri pesanti, 170 bombardieri medi e 61 caccia di scorta statunitensi della Northwest African Air Forces retta dal generale James Doolittle, con 719 morti, 1.659 feriti e 9 velivoli abbattuti. Roma era sguarnita ed indifesa ed il primo bombardamento della città lo aveva dimostrato, accelerando la caduta del regime fascista, già ampiamente decotto da una guerra assurda, logorante ed oramai persa. Quel terribile 19 luglio costrinse il sovrano ad intervenire energicamente.

Cosa avrebbe dovuto fare il Re in quel tragico frangente? Accettare la distruzione totale della città con un numero spaventoso di vittime come poi avvenne per Berlino e altre città della Germania? Rimanere e diventare un ostaggio di Hitler con la conseguente perdita dell’indipendenza dello Stato? Rimuovere Mussolini e salvare il fascismo come pensavano alcuni gerarchi, continuando una belligeranza insostenibile?

Ci sono momenti in cui un capo di stato deve assumersi responsabilità che hanno gravi conseguenze ma da cui non può scappare. Come giustamente Aldo Alessandro Mola afferma il “25 e 26 luglio il sovrano esercitò i suoi poteri molto oltre quanto avevano immaginato i gerarchi, intesi a dissociarsi da Mussolini ma a conservare il fascismo, e i generali, ormai consapevoli dell’ineluttabilità della sconfitta”. Questo solo per dire come il sovrano perseguì un suo un suo disegno per cancellare il regime, con cui si era compromesso ma che anche aveva subito, uscire dal conflitto e salvare quello che rimaneva dell’Italia.

Scorrendo le quasi 600 pagine dell’interessante volume si colgono tutti questi aspetti della controversa storia italiana e si riesce a entrare nel clima di una vita, comunque la si pensi, straordinaria, quella del terzo Re d’Italia, già determinata dalla nascita regale. Infatti Vittorio Emanuele III e poi suo figlio Umberto erano gli unici italiani a cui non fu consentito, per diritto, tradizione e storia, di scegliersi il proprio destino, ma solo di piegarsi alla logica degli ineluttabili eventi.

Quest'opera, senza la pretesa dell'esaustività ma con la certezza della completezza, riassume in maniera doviziosa ed affascinante l'esperienza terrena di un uomo di stato in mezzo alle temperie. Un volume utilissimo per mettere in luce tutti i tratti, sia umani che politici, del sovrano, nel quale emergono anche le ombre che la sua figura, piccola ma forte ed austera, ha proiettato nel secolo in cui è stato al centro della scena.

Ed il Re Soldato, come era chiamato durante la IV guerra d’Indipendenza (il primo conflitto mondiale) per  la sua eroica presenza sui campi di battaglia, resta discusso e al contempo un protagonista della Storia sempre al centro del dibattito anche grazie a questo importante affresco letterario di Aldo Alessandro Mola.

 

Il volume sarà presentato a Palermo lunedì 22 Maggio alle ore 17 presso il Camplus College di Via dei Benedettini, n. 5 (di fronte la chiesa di San Giovanni degli Eremiti) in cui interverranno i proff. Manlio Corselli e Tommaso Romano. Coordinerà i lavori il prof.re Antonino Sala. Presiederà la prof.ssa Maria Patrizia Allotta a nome dell’Accademia di Sicilia che organizza l'evento. All’iniziativa culturale hanno aderito BCSicilia con il prof. Alfonso Lo Cascio che porterà un saluto e la Fondazione Thule Cultura che conferirà al prof. Aldo Alessandro Mola il Premio Internazionale “Fragmenta”, fondato nel 1977 e dedicato al grande e indimenticabile storico Mario Attilio Levi.

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