Amalia De Luca "Carmina Pervia" (Ed. Thule)

di Giovanna Sciacchitano
 
Il titolo della raccolta di Amalia De Luca “Carmina Pervia” apre ad un percorso che potremmo definire di poesia filosofica, in quanto c’è il tentativo, ben riuscito, di rappresentare attraverso versi accessibili i grandi problemi dell’anima e dell’universo, mirando a verità filosofiche che fanno da substrato alla continua ricerca della poetessa. Ricerca che procede salda e che, pur diramandosi in diverse tematiche, è sempre ben contenuta, retta “da un filo di seta” che permette ad Amalia De Luca di non temere “la voragine dei buchi neri nell’infinito nulla”, continua l’autrice:
 
“non osi il vento
 siderale spezzare
 il mio filo di seta”.
 
Dunque c’è una traccia indelebile che la poetessa segue per raccontarci la vita. Scrive Pierfranco Bruni nella prefazione alla silloge: ” Siamo infaticabili viandanti di noi stessi. Della nostra memoria”, che attraverso la poesia diventa “viaggio che si fà costantemente attesa”.  Le composizioni della De Luca sono perfettamente equilibrate tra la ricchezza di una poesia classicheggiante, che attinge alla simbologia della mitologia greca, e la precisione della parola quotidiana che aderisce pienamente al contenuto e che rappresenta non solo un momento interiorizzato dell’autrice, ma qualcosa di universale che possa cogliere i valori più alti e più profondi dell’esistenza.  Cerca il senso della vita la nostra autrice e lo trova nel principio del divenire tra il fascino della natura e le salde convinzioni filosofiche e teologiche. La vita dunque in continuo movimento, la metamorfosi della realtà fino al sogno finale:
 
“…Respinto
  Il tocco della campana
  non spaura questo cuore
  che custodisce
  geloso il bozzolo intatto
  del suo sognare…”
 
E pur accettando il divenire come unica possibilità esistenziale, nei versi di Amalia De Luca si avverte un costante ά λ γ ο σ per l’impossibilità del ν ό σ τ ο ς una sofferenza, dunque, per il non-ritorno ad un passato che è diventato memoria dolce, ma anche “desiderio di ciò che è assente”. E qui c’è il fulcro della poesia di Amalia De Luca, cioè quella tensione verso l’infinito da cui veniamo e a cui vogliamo o dobbiamo tornare e che realizza pienamente il superamento della finitezza della vita.
 
“…A te è data in sorte
  la coscienza del dolore
  ed è subito nostalgia
  dell’alveo tiepido
  del primo albore
  di quella luce che segnò
  per te il principio…”
 
e ancora scrive l’autrice:
 
“L’Eden accoglie solo
  l’estasi del sogno
  la consapevolezza del ritorno
  necessario
  alla perfezione assoluta
  del non essere”.
 
Attenta e appassionata traduttrice di lirici greci, Amalia De Luca infonde nella sua poesia, come già detto, la ricchezza del mito e la spende in una struttura di pensiero che integra in sé l’intero fenomeno dell’esistenza e apre a quella trascendenza che va oltre la realtà, oltre il limite del finito, pur mantenendo lo stretto naturale contatto con tutto ciò che ci circonda. Nelle composizioni della De Luca, infatti, la ricerca filosofica è attraversata dalla presenza dei quattro elementi naturali: acqua, aria, fuoco, terra e dalla loro forte simbologia nella determinazione del tutto di cui facciamo parte. Trascendenza e immanenza dunque, termini antitetici che confermano l’aspetto dualistico della vita, non può esserci l’una senza l’altra, e che ci confermano che il tutto è sintesi delle parti. La silloge si chiude con un tocco di struggente lirismo che anima i sette epitaffi della brevissima raccolta Tsunami, sentito omaggio dell’autrice alle vittime del 26 dicembre 2004. Amalia De Luca ci ricorda così, ancora una volta, che la Poesia è balsamo che cura, rimedio per la sofferenza del quale non si può fare a meno.
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