ANALISI DELL’ESISTENZA IN “ESSERE E TEMPO”    articolo di Rossella Cerniglia Martin Heidegger può considerarsi, con Ja

ANALISI DELL’ESISTENZA IN “ESSERE E TEMPO”    

 

Martin Heidegger può considerarsi, con Jaspers, il fondatore dell’Esistenzialismo. Nella sua opera principale Essere e Tempo l’interesse di Heidegger è, però, rivolto al problema metafisico dell’Essere, e l’analisi dell’esistenza che vi si svolge, è solo il presupposto per la fondazione della sua ontologia.

In essa, la ricerca è volta a indagare questo rivelarsi dell’Essere all’uomo, l’unico ente che ha la caratteristica (rispetto agli altri) di porsi il problema dell’Essere e del suo senso.

Rispetto ad altri esseri semplicemente presenti, l’uomo ha, infatti, la prerogativa di ex-sistere, cioè di uscir fuori, di trascendere la sfera dell’esistente alla volta dell’Essere.

L’importanza di Heidegger nella filosofia esistenzialista sta proprio in quest’analisi dell’uomo, che immerso nell’esistenza, cerca la propria trascendenza. Tale analisi viene svolta nelle prime due sezioni della prima parte di Essere e Tempo, mentre la terza sezione, nella quale avrebbe dovuto trovare risposta il problema ontologico, che Heidegger si era preliminarmente prefisso, non è mai stata scritta.

L’uomo, che Heidegger chiama esserci (dasein), detiene, dunque, rispetto agli altri esseri, il primato ontologico che è la sua capacità di porsi il problema dell’Essere. L’analisi del modo di essere dell’esserci, che è l’esistenza, è dunque necessaria per la fondazione della metafisica dell’Essere.

L’esistenza è costituita, per Heidegger, essenzialmente da possibilità e, come tale, è aperta verso il futuro, verso la realizzazione di esse. Il progetto che l’uomo fa di se stesso è però un progetto che comprende in sé, come dato, cioè come elemento imprescindibile, il mondo e gli altri esseri. Da questo punto di vista, l’uomo è un esser nel mondo e un con-essere con gli altri, e queste caratteristiche sono l’essenza stessa della sua soggettività.

Il mondo è il trascendimento iniziale di ogni possibile progetto dell’uomo; trascendere verso il mondo vuol dire, infatti, fare di esso il progetto di ogni possibile azione o atteggiamento. La trascendenza è, però, quell’atto di libertà attraverso il quale l’uomo, istituendo il mondo, pone se stesso all’interno di esso e ne subisce le imposizioni. Infatti, benché libero nell’atto di progettare il suo mondo, l’uomo è poi ingabbiato da tale progetto originario che finisce col subordinare l’uomo a sé, rendendolo da sé dipendente.

Il mondo è in primo luogo, un mondo di cose; la loro essenza consiste nella loro utilizzabilità, cioè nel loro essere strumenti per l’uomo. Di esse l’uomo si prende cura nella sua attività mondana, e il loro essere, l’utilizzabilità, è subordinata a questo prendersi cura di esse da parte dell’uomo. Il senso della spazialità nasce, poi, dall’essere in rapporto di vicinanza o di lontananza con esse considerate nella loro utilizzabilità e in vista di un appagamento. Ma essere nel mondo significa, anche, essere tra gli altri; e come il rapporto con le cose è un prendersi cura di esse, così il rapporto con gli altri ha la forma dell’aver cura.

La trascendenza – oltre che progetto – è l’atto di comprensione secondo cui l’uomo può comprendersi a partire da se stesso o a partire dal mondo e dagli altri. Se l’uomo assume come punto di partenza se stesso, ha dell’esistenza una comprensione autentica, nell’altro caso, invece, ne ha una comprensione inautentica che è all’origine dell’esistenza anonima e quotidiana.

L’esistenza anonima è quella istituzionalizzata dal così si dice e dal così si fa; è l’esistenza di tutti e di nessuno, in cui tutto è livellato in un modo d’essere convenzionale che nasconde il vero essere di ogni individuo. Il linguaggio che dovrebbe svelare l’Essere diviene chiacchiera inconsistente che genera solo curiosità ed equivoco. Heidegger non condanna, però, tali modi d’essere dell’esistenza anonima perché essa fa parte della struttura esistenziale dell’uomo fondata su quella situazione fondamentale che Heidegger chiama deiezione, cioè la fattualità o effettività dell’esistenza per cui l’uomo appare come un essere gettato nel mondo insieme ad altri esistenti.

Questo stato di fatto è vissuto nella situazione emotiva in cui l’uomo si sente abbandonato ad essere ciò che già è; essa si differenzia dalla comprensione esistenziale, che è un continuo progettare e quindi un andare al futuro. La situazione emotiva riconduce, invece, l’uomo al passato, a ciò che egli già è di fatto, cioè un essere gettato nel mondo tra gli altri. Essa, come ogni modo d’essere dell’esistenza, non ha nulla di intimo e di soggettivo, ma è una delle determinazioni costitutive dell’essere dell’uomo.

La totalità delle determinazioni possibili dell’essere dell’uomo, viene espressa da Heidegger nell’unica determinazione della cura. Essa è la struttura fondamentale dell’uomo che, gettato nel mondo, progetta avanti a sé le sue possibilità e ha – come abbiamo detto – la forma dell’aver cura degli altri e del prendersi cura delle cose. Ma nel progetto delle sue possibilità, l’uomo viene rigettato indietro, alla sua situazione di fatto, e il suo progettare è un progettare nullo, che lo riconduce a ciò che egli già da sempre era.

Perciò la cura ha la struttura circolare e conclusa che riporta a sé l’uomo dal progetto che egli fa dell’esistenza, alla sua esistenza di fatto, alla sua esistenza quotidiana e inautentica. Per Heidegger tutto il sapere mondano e scientifico, le leggi morali, la politica e l’economia e le leggi che ne indagano e descrivono il fondamento, essendo espressioni della cura, appartengono tutti all’esistenza quotidiana inautentica. All’esistenza autentica, invece, l’uomo è richiamato dal fenomeno della coscienza, o meglio, da quel fenomeno che Heidegger denomina voce della coscienza e che chiama l’uomo, dal suo essere immerso nel mondo e dominato dalla cura, al suo poter essere più proprio.

Abbiamo visto che ogni progetto esistenziale dell’uomo è un progetto nullo perché riconduce l’uomo alla sua realtà di fatto. Tutte le possibilità che gli si offrono nell’esistenza sono dunque, da un tal punto di vista, equivalenti; Heidegger non le condanna per questo, le qualifica solo come momenti dell’esistenza, ma non come possibilità autentiche, cioè proprie dell’essere autentico dell’uomo.

Il richiamo all’essere autentico dell’uomo, alla sua possibilità più propria, è il richiamo al nulla, poiché l’esserci è, come possibilità, nullo anteriormente ad ogni progetto.

Il nulla dell’esistenza, non ha il carattere di difetto o di limite rispetto a un ideale che ci si prefigge di realizzare (Sartre), è un nulla costituzionale dell’esserci e a questo nulla richiama la voce della coscienza come a quell’essere autentico dell’esserci che, nella sua forma radicale, è la morte.

Solo nella morte – dice Heidegger – noi, veramente, siamo tutto noi stessi, ma nella morte, quando davvero possiamo dire siamo perché abbiamo realizzato tutte le nostre possibilità ed estrinsecato la nostra essenza, noi non- siamo più.

Nell’esistenza anonima la morte è vissuta come qualcosa che non ci appartiene, qualcosa che non riguarda mai noi, ma solo e sempre gli altri: la morte è quindi sempre la morte degli altri. Nella comprensione autentica la morte è ciò che isola l’uomo in se stesso, è la possibilità più vera, perché certa e insormontabile; perché come estrema possibilità dell’esistenza, è la rinuncia a tale possibilità e all'esistenza stessa. La possibilità dell’impossibilità dell’esistenza è, dunque, tra tutte, la possibilità più certa e più vera. L’esistenza quotidiana rifugge da essa; non vuole considerarla come una sua possibilità immanente e cerca di dimenticarla nelle cure del vivere quotidiano.

La voce della coscienza chiama l’uomo al suo futuro più vero: all’essere-per-la-morte, e lo avvia ad esso attraverso una decisione anticipatrice. La tonalità emotiva che accompagna la comprensione della morte è l’angoscia. - L’angoscia – dice Heidegger- è la situazione emotiva capace di mantenere aperta la continua e radicale minaccia che sale dall’essere più proprio e isolato dell’uomo – Nell’angoscia l’uomo si pone in presenza del nulla, di fronte al quale l’esistenza sbiadisce, diviene una totalità banale e insignificante. L’esistenza autentica è, dunque, per Heidegger, quella che comprende e sente emotivamente il nulla radicale del suo fondamento.

All’interno dell’analisi dell’esistenza, estremamente interessante è lo studio che Heidegger conduce intorno alla struttura del Tempo e della Storia. Essendo l’esistenza orientata – come possibilità, progetto, anticipazione – verso il futuro, la tesi fondamentale di Heidegger è che, delle tre determinazioni temporali – passato, presente e futuro – quella fondamentale è il futuro. Ma il futuro implica il passato, e il presente è necessariamente coinvolto nel loro rapporto. Ognuna delle tre determinazioni temporali non ha valore di per se stessa, ma solo rispetto all’altra che è quel fuori di che la costituisce in proprio. Il Tempo, così inteso, è la temporalità (ekstatikòn).

Anche il concetto del tempo ha un suo aspetto autentico o inautentico a seconda che costituisca una struttura dell’esistenza autentica o inautentica. Il futuro, che nell’esistenza anonima è l’attenzione alle cose delle quali ci si prende cura, nell’esistenza angosciata assume la forma della decisione anticipatrice del vivere per la morte, che sottrae l’uomo a tutte le possibili seduzioni dell’esistere mondano. Il passato, che nell’esistere inautentico è vivere condizionati dalla paura, ossia da un’angoscia snaturata e calata nel mondo, che porta l’uomo sempre davanti al suo essere gettato e ve lo tiene saldamente ancorato, è, nel vivere autentico, autentica angoscia che fa scomparire l’esistenza nell’insignificanza. Il presente, che nell’esistenza inautentica è la presentazione stessa delle cose nel mondo, la routine quotidiana dei giorni che si susseguono senza posa, nell’esistere autentico è l’istante, il rifiuto della presenzialità delle cose, la nullificazione dell’ora che costituiscono il presente inautentico.

Da un tal punto di vista, appare quanto mai difficile intendere la struttura e il senso della Storia; essa non può appartenere all’esistenza inautentica perché, per la sua insignificanza, l’esistenza inautentica non ha storia. D’altra parte, l’esistenza autentica si sintetizza nell’istante, silenzioso e disperato dell’angoscia per la propria fine. Malgrado ciò, Heidegger tenta di fondare proprio in essa la storicità dell’esistenza. La comprensione della nullità esistenziale, dell’impossibilità di ogni possibilità – tranne che dell’unica possibilità certa, che è, però, come possibilità, un’impossibilità radicale – non impedisce all’esistenza autentica di viversi secondo tale impossibilità e nullità, anzi essa rappresenta l’unica libertà possibile, che è quella di scegliere ciò che già è, l’esistenza di fatto.

L’angoscia non dà all’uomo un fine diverso da quelli forniti nell’esistenza quotidiana, gli mostra solo la loro insignificanza e nullità di fronte alla quale la libertà dell’uomo è una scelta dell’indifferenza tra fatti che hanno tutti uguale valore, proprio perché non hanno alcun vero valore. È uno scegliere e un accettare ciò che già si è di fatto, la propria situazione dell’essere gettati a vivere al cospetto della fine.

Questo è per Heidegger il destino dell’uomo, la scelta della scelta, in quanto, niente per l’uomo è possibile decidere che non sia già stato anteriormente deciso. L’unica scelta possibile consiste, perciò, nell’accettare ciò che ci è già stato dato.

Dopo un’analisi dell’esistenza – che conduce a tali esiti nichilistici- il problema che costituiva inizialmente lo scopo principale del libro, cioè l’indagine intorno all’Essere e al suo senso, viene differito. Solo le battute conclusive di esso anticipano, in un linguaggio che è già poetico, perché va indubbiamente oltre se stesso, l’idea di una possibile via, e la domanda piena di pathos e mistero che fa da chiusa al libro “Il Tempo si rivela, forse, come l’orizzonte dell’Essere? ” lascia balenare l’idea che il Tempo possa, da ultimo, dare la spiegazione del senso dell’Essere. Ma il problema – interrogazioni a parte – resta aperto, soprattutto sull’indagine del come.

 

                                                                                                                                   Rossella Cerniglia

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