Carlo Baiamonte, Giusy Tarantino, "Di moka in moka. Storie di donne davanti a un caffè" (ed. Ex libris)

di Maria Patrizia Allotta

 

 

     Il caffè è l’unico luogo dove il discorso crea
la realtà, dove nascono piani giganteschi,
sogni utopistici e congiure anarchiche senza
che si debba lasciare la propria sedia.

Montesquieu

 

      In tutto centotre pagine raccolte da una copertina semplice eppure interessante.

      Trentotto foto eccellenti tutte rigorosamente in bianco e nero, un’attenta prefazione e una puntuale introduzione.

      Una preziosa Fotografa che deifica, dieci Donne che si raccontano, un singolare Autore che ricuce, magistralmente, le parti.

      E poi l’odore del caffè che avvolge similmente ad antico velo di Maya.

      Tutto qua, nient’altro. 

      Eppure quello che appare un piccolo libello scritto, probabilmente, senza alcuna ambizione e pubblicato, certamente, senza nessuna velleità, diviene dono inatteso di emblematico valore.

      Un dono, si diceva, paragonabile ad un cofanetto, o a una bomboniera, oppure a uno scrigno contenente dieci gioielli forgiati da dieci storie diverse, da dieci vite differenti, da dieci esistenze dissimili.

   La perla, però, appare unica e diviene anima parlante. Sì, perché le dieci testimonianze raccolte all’interno del testo intitolato Di Moka in Moka, (edizioni Ex libris – collana “Lo Zibaldone”) non frantumano quel singolare “io” tutto al femminile spesso contraddittorio e inconciliabile, piuttosto, danno, misteriosamente, vita ad un unico tappeto musivo che diviene testimonianza viva di quella dimensione esistenziale appartenente al gentil sesso contraddistinta dalla forza, dalla determinazione e dal coraggio oltre che dalla vivificante bellezza.

    E volutamente si usa l’espressione - forse demodé - gentil sesso perché gentili appaiono le protagoniste-gioiello le quali vantano garbo, cortesia, grazia.

   Né trucco, né parrucco, infatti, nessun eccesso dialettico né dialogico, niente giravolte sorprendenti o banali orpelli, nessun esibizionismo fine a se stesso, niente languidi narcisismi, piuttosto, soltanto contegno, compostezza, decoro e semplici parole misurate, asciutte, chiare le quali si snodano secondo un ritmo naturalmente lento che diviene divina melodia capace di mirare dritta al cuore.

   Si avverte, insomma, un unico canto fatto di voci diverse ma ben accordate capaci di rappresentare quella delicata sfera emotiva della donna la quale appare - in tutto il suo splendore - tra le pagine bianche incise da inchiostro tutto rosa.        

 

   Non si tratta di donne famose, né conosciute, né influenti, ma di “donne comuni, normali ma non ordinarie (…) forti, luminose e fragili come cristalli” (Teresa Gammauta),  semplicemente figlie, mogli e madri che nel quotidiano andare hanno donato la loro esistenza agli affetti più cari, tutte con un passato alle spalle contraddistinto più dal dolore che dalla gioia, eppure proiettate in un futuro, forse incerto ma fortemente atteso.

   Ed è così che Viviana, Toniella, Anna, Claudia, Anna, Milly, Daniela, Maria Rita, Simona e Monica si raccontano nell’arco di quella breve ma intenza conversazione che, in realtà, appare, più che un’intervista una narrazione interpersonale, un confidenziale dialogo circolare, un colloquio amicale, dove la domanda prende vigore dal famoso ti estì di socratica memoria, mentre la risposta prende potenza da quell’esserci e da quell’aver cura di d’impronta tipicamente haideggeriana.

    Perché in effetti, le affermazioni donate dalle donne-gioiello danno vita tanto alla vera definizione di esistenza, quanto alla effettiva estensione dello stare insieme in una dimensione totalizzante che diviene pneuma vitale. 

    Non a caso il filo conduttore è il tema della forza che si fa prima verbo e poi, nel senso dinamico della parola stessa, vigore, potenza, a volte anche santità.  

   Una forza tutta interiore che cade e si ribella, poi si alza e spera, infine, procede e sogna.   

    Si parte, dunque, dalla forza tutta al femminile per discutere, poi, del tempo che trapassa, dell’attimo che sfugge, della memoria che accarezza e, ancora, dell’importanza dell’amicizia, della conquista del pane quotidiano, della preziosità della famiglia, della responsabilità dei figli e, infine, del dolore che prende, del coraggio che necessita, dell’audacia che non abbandona.

   Poi la gioia del cibo, dell’arte culinaria, del senso dei sapori tradizionali, della sacralità della cucina autoctona che appare come un lenitivo, un unguento, un balsamo, per le ferite in essere.

   E se la cornice reale è data dalla cucina che sorge visivamente come luogo comodo e confidenziale dove la vera ricetta sfuma in una sincera volontà dialogica, la cornice metafisica è data dal fischio della moka, dall’odore del fumo, dall’aroma del caffè che si avverte netto, caldo, squisito.

  Siamo, dunque, in presenza di una straordinaria sinestesia.

  Infatti, percezioni appartenenti a più sfere sensoriali - udito, vista, olfatto - si intrecciano generando un mosaico fatto prevalentemente di parole ma anche d’immagini significative che accarezzano la psiche e di profumi inebrianti che baciano lo spirito.

     Così, quasi per magia, alla desertificazione del creato, al cedimento dell’antropico dettato dalla modernità, all’essere ormai spettri senza fantasia, al trionfo della volgarità e della violenza, alla sempre incombente solitudine, all’eterna incomunicabilità e al gretto nichilismo asfissiante - davanti a quella tazza di caffè - si contrappone il rispetto del focolaio domestico, la riconquista della bellezza,  l’utilità della rimembranza, l’ascesa della identità culinaria e, poi, la gioia del dialogare insieme,           l’eufonia del raffronto sincero, l’allegria della relazione amicale, la preziosità della parola autentica che diviene epifanico dono dall’indicibile rarità.

  Nessuna maschera fisiologica, nessuna finzione letteraria, nessuna impostura filosofica.

  Il testo mostra solo dieci autentici volti vestiti d’infinita semplicità e svela dieci fatati respiri ammantati d’illimitata umanità.

  Ciò che caratterizza il testo, dunque, è la perfetta correlazione tra profumi, parole e immagini.

   Quest’ultime si esprimono attraverso l’arte del fotografare capace di cogliere nell’attimo l’eternità.

   Perché oltre l’ormai tipica volgarità comunicativa della società di massa - in onore di un’arte che punta all’assoluta ricerca dell’essenzialità - all’interno del testo viene prediletta, invece, la tecnica del bianco e nero che ben rappresenta quel chiaro-scuso esistenziale - fatto di luci e ombre, gioie e dolori, vita e morte - che solo l’universo donna può sublimare.

   Non è tutto. Fra immagini eleganti e parole raffinate sembra toccare l’armonia cosmica che, nonostante, ancora persiste. E quasi si parla con l’Assoluto che in silenzio ascolta.    

   A chi scrive, a conclusione, ancora una volta, piace rievocare l’espressione del critico statunitense Francis Otto Matthiessen il quale così scrive: “Tu non tocchi un libro, tocchi un uomo”.

   Tale precetto vale anche per noi, ma al femminile. Perché nello sfogliare le pagine Di moka in moka non si ha semplicemente la percezione di toccare un testo, ma piuttosto la sensazione di abbracciare dieci donne, magistralmente fotografate da Giusy Tarantino e nobilmente scolpite da Carlo Baiamonte.

     

Vedere a colori è una delizia per gli occhi,

ma vedere in bianco e nero

è una delizia per l’anima.

 

Andri Cauldwell

            

                    

 

 

 

 

 

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