Che fine hanno fatto i quadri di Alessio di Giovanni? - di Vittorio Riera

Rosario Spagnolo, Lu Puvireddu amurusu.
(Dalla copertina del poemetto dal titolo omonimo).

Accade non di rado che nel fare ricerche di unncerto documento, altri se ne rinvengano molto più interessanti al punto da accantonare la ricerca iniziale e darsi anima e corpo, come si suole dire, al nuovo, inatteso documento. Qualcosa del genere è accaduto a chi scrive. Consultavo, anni fa, il ‘fondo Di Giovanni’(Alessio, per la precisione) presso la Biblioteca comunale di Palermo nella speranza di trovare tracce della corrispondenza intercorsa tra il poeta ciancianese e il suo omonimo palermitano Luigi Di Giovanni, pittore non dei minori, che operò a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e la metà del secolo successivo. Stavo per porre fine alla ricerca, peraltro infruttuosa, quando fui attratto da un foglio protocollo a quadretti stilato a mano con inchiostro sembra di china su tre delle quattro facciate. Segnatura 5Qq- E – 298. Ma prima di addentrarci nell’esame del documento, va preliminarmente detto che Alessio Di Giovanni, prima ancora di affermarsi poeta e dei maggiori del secoloscorso, era un critico d’arte tra i più attenti e informati anche se non sempre egli riesce a cogliere certo simbolismo proprio di ogni opera d'arte (Vedasi a riguardo il nostro Alessio Di Giovanni, critico d’arte, ErrEdizioni, Palermo 2014). Ma, come è mostrato nel documento citato, lui amava anche possedere l'oggetto delle sue riflessioni, il quadro. E c'è da pensare che la sua casa di Via Giusti 1, a Palermo, fosse una vera e propria pinacoteca.

Ora, sulla prima facciata del documento è cosí scritto a mo’ di titolo esplicativo: «Plichi contenenti manoscritti e lettere affidati dal Prof. Alessio Di Giovanni alle fraterne cure del P. Roberto Caramanna dei Frati minori di Baida». A capoverso, si specifica: «Numero cinquantasette, compresi i due volumi legati della rivista provenzale Aioli». Segue quindi un elenco di "Pitture e Fotografie", che occupa le tre facciate. In calce alla terza sono le firme, peraltro ripetute, di Alessio Di Giovanni e di P. Roberto Caramanna O.F.M., mentre lateralmente alla seconda si legge in bell'evidenza: «Baida 5 Marzo 1943 A XXII». La data può già fare intuire che cosa era accaduto, spiega il perché il Di Giovanni si era affrettato a porre al sicuro le sue carte nel convento di Baida. Palermo era sotto i bombardamenti con tutte le devastazioni che conosciamo. Il timore[1] del Di Giovanni era che anche la sua casa potesse venire centrata da qualche bomba e con essa disperso il frutto della sua vasta produzione letteraria, delle sue fitte relazioni epistolari con artisti, scrittori, familiari, semplici amici, tanto piú, come si vedrà, che anch'egli aveva deciso di sfollare, di portare al sicuro la sua famiglia[2] e di lasciare quindi incustodita la sua abituale residenza[3]. Ma torniamo al documento limitatamente all'elenco delle pitture e delle fotografie.

In esso figurano oltre 40 tele (fra oli, tempere, acquarelli, pastelli, sanguigne, policromie, tricomie), 15 foto e due incisioni di 29 pittori diversi. A parte alcuni quadri di pittori, diciamo cosí, minori e sui quali varrebbe la pena di indagare[4], spiccano quelli di alcuni artisti che avrebbero finito con l'occupare un posto di rilievo nel panorama della pittura dell'Ottocento siciliano e non siciliano[5]: Basile[6], con un acquarello: Taormina, e una foto (La Quisquina), Catti, con un olio (Angelus), De Maria, con un altro olio: Venezia, Luigi Di Giovanni, con una sanguína, un olio e un disegno a penna[7], Marchesi (Cappella Palatina, acquarello), Frate che legge, di Giuseppe Minutilla, Lauria, Mirabella, con quattro tele: gli oli Dopo la pioggia, titolo che ricorda quello piú noto del Lojacono, Tramonto, Olivi e l'acquarello La seggia cu li vrazza[8], e infine il Tomaselli con un pastello a colori: Ritratto di donna, due oli, L'organo della Gancia e La zolfara, e una foto: Frate che legge, e infine Rosario Spagnolo con un acquarello: Lu puvireddu amurusu[9].

Che fine hanno fatto questi quadri? Dove si trovano? Chi ne è l'attuale possessore o depositario? Sono andati dispersi? ed è mai possibile che siano andati dispersi dal momento che non si tratta di un esiguo numero di quadri, ma di una vera e propria piccola pinacoteca?

Questi interrogativi non sembrino gratuiti. Non si è davanti ad opere di artisti di poco conto o dimenticati, a parte, è ovvio, l'intrinseco valore e l'intrinseca validità di ciascuna singola opera in sé considerata. Gli artisti menzionati, peraltro, continuano ad alimentare il dibattito attorno alle loro opere[10], ed è legittimo pertanto fare in modo che nulla di essi, per quanto possibile, vada disperso o trascurato. Ecco perché anche noi abbiamo fatto le nostre indagini che, al momento, lo diciamo subito, hanno portato a una conclusione che possiamo considerare quasi certa.

Ma andiamo per ordine. Il documento lasciava una traccia: Baida, il convento di Baida, nell’omonimo quartiere. di Palermo. Non rimaneva altro che farci una capatina, nella certezza che non saremmo venuti a capo di nulla.

Il frate che ci accolse non sapeva niente, infatti, né del Di Giovanni, né dei suoi quadri. Chiedemmo allora timidamente di Padre Roberto. E qui il volto ruvidamente antico del frate si illuminò di quella luce di perfetta letizia propria dei francescani in pace con sé stessi e con il mondo. "Certo, disse, che è vivo", e, senza che glielo avessimo richiesto, scrisse su un foglio di carta numero di telefono e indirizzo: Fraternità cristiana, Guidonia, in provincia di Roma.

Era inevitabile, a questo punto, scrivere a Padre Roberto Caramanna, che cosí rispose il 20.1.98 alla nostra del 13. 12. 97, scusandosi preliminarmente del ritardo:

«[…] Fu allora che, imperversando la guerra e temendo (il Di Giovanni) che potessero andare perduti per qualche improvviso bombardamento, volle affidarmi i suoi manoscritti, pregandomi di tenerli nella mia stanzetta e custodirli come suoi figli, carne della sua carne. Lo ricordo benissimo, la frase è sua».

Il reverendo padre cosí precisava:

«Per quanto ricordi (non tutto lucidamente), erano solo manoscritti, che io riconsegnai al Professore personalmente quando dovetti andar via da Baida».

Dunque, siamo a una prima, provvisoria conclusione: erano soltanto manoscritti. Escluso che Padre Caramanna abbia avuto in custodia anche le tele debitamente imballate. Non rimaneva che inviargli fotocopia del documento sopra menzionato e da lui debitamente controfirmato.

Risposta:

«Egregio Professore […], quello che si evince dalle fotocopie è molto chiaro. Come Le avevo detto, io non ricordavo lucidamente. Quello che è certo è che io, prima di lasciare Baida, ho riconsegnato tutto nelle mani del Professore».

E concludeva:

«Di come sia andato a finire tutto il materiale non saprei assolutamente dire nulla».

Qui conviene tenere fermo un secondo punto: che le lettere e i manoscritti siano stati riconsegnati al Di Giovanni, è fuori dubbio. Lettere e minute di lettere, manoscritti, ritagli di giornali e di riviste sono oggi patrimonio degli studiosi in quanto consultabili presso la Biblioteca comunale di Palermo, che tutti quei materiali ha da tempo acquisiti dagli eredi del Di Giovanni. Rimaneva tuttavia ancora insoluto il “mistero”, delle opere d'arte che ornavano la casa dello scrittore. Padre Roberto, anzi, in due lettere rispettivamente del 20.6.03 e 28.07.03, ribadiva quanto detto sopra. In quest'ultima, egli cosí ricostruiva in risposta ad una nostra con la quale cercavamo di fargli ricordare qualche particolare, qualche dettaglio che potesse contribuire a far luce sulla vicenda:

«Tutti i manoscritti e tutto il resto che l'indimenticabile Prof.re Di Giovanni affidò alle mie personali cure durante il periodo dei bombardamenti erano tutti ben custoditi e sigillati. Li affidò a me come ammiratore ed amico e per il timore che qualche bombardamento potesse colpire la sua abitazione. Il documento di consegna lo stilò il Professore ed era ben sistemato prima di affidarmene la consegna».

Padre Roberto cosí continua, soggiungendo ulteriori dettagli:

«Io, allora chierico, studente in teologia, col necessario permesso del mio superiore, il M.R.P. Luigi Di Rosa, lo controfirmai riponendo il tutto in una cameretta accanto alla mia, vuota».

E ribadiva:

« Già gliel'ho detto chiarissimamente nella mia lettera precedente a questa. Il Prof.re Di Giovanni veniva spesso a Baida perché amico del nostro superiore, il P. Di Rosa, ed anche perché profondamente innamorato di S. Francesco».

Fin qui lo scambio epistolare con Padre Roberto, che ha portato a questa prima conclusione, e cioè che il Di Giovanni era ritornato in possesso dei "suoi figli e della carne della sua carne", quadri compresi, certamente prima della sua morte avvenuta quasi quattro anni dopo la stesura del documento citato[11].

Bisognava, quindi, indagare in altre direzioni. Abbiamo consultato qualche testo sull'Ottocento siciliano, tra cui quello fondamentale della Accascina. Ma nessuno dei quadri in possesso del Di Giovanni vi viene citato. Su suggerimento del Prof. Salvatore Di Marco, attento studioso di Alessio Di Giovaanni, ci siamo rivolti alla Signora Fina Di Giovanni, l'unica figlia ancora vivente, nel momento in cui scrivevamo, del poeta ciancianese. La signora ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato da Padre Roberto, aggiungendo un particolare che può portare ad altre congetture.

Al ritorno da Ronciglione, dove i Di Giovanni risiedettero per circa due anni, l'abitazione fu trovata vuota, anzi svuotata, svaligiata, "una spelonca", si è lasciata sfuggire la Signora. Gli Americani, infatti, l'avevano occupata, installandovi probabilmente un qualche comando. C'è da presumere, pertanto, che finita del tutto la guerra ed evacuata l'abitazione, abbiano essi sottratto le tele in questione senza nemmeno probabilmente fare la fatica di imballarle. Sarebbe proprio il caso di dire che là dove non poté la bomba, poté l'insipienza umana.

 

I quadri di Alessio Di Giovanni potrebbero dunque avere varcato l'Oceano e trovarsi negli Stati Uniti d'America ad abbellire le sale di chi sa quale casa o a fare le fortune di chi sa quale antiquario americano[12]. E dobbiamo infine ringraziare gli occupanti casa Di Giovanni dal momento che non tutto venne trafugato e ammesso che le cose siano andate cosí. Venne risparmiato il materiale cartaceo (manoscritti, lettere, diari, etc.), di cui non venne intuito o apprezzato probabilmente il valore. e venne risparmiato il ritratto che Luigi Di Giovanni fece dell'amico e sodale Alessio se è vero, come è vero, a parte quanto abbiamo detto in nota, che esso si trova presso la Biblioteca comunale di Palermo, quadro che si è riprodotto sulla copertina del saggio citato. Ma proprio ciò lascia aperto uno spiraglio. Chissà che imballate e relegate in qualche scantinato non si trovino altre tele appartenute a casa Di Giovanni. Non è la prima volta che eventualità del genere accadono.

Non rimane allora che attendere che finalmente finiscano i lavori di restauro alla biblioteca comunale di Palermo e si possa prendere visione del contratto di cessione delle carte digiovannee nel quale certamente deve essere stato elencato nel dettaglio ogni singolo foglio o manoscritto o altro che gli eredi del poeta di Cianciana consegnarono ai dirigenti del tempo[13].

 

 

 

[1] Timore non infondato dal momento che di lí a qualche mese ci sarebbero stati i devastanti bombardamenti del 9 e del 21 maggio di quello stesso anno sul capoluogo siciliano.

[2] A Ronciglione, in provincia di Viterbo. È quanto abbiamo raccolto a viva voce dall'unica figlia ancóra vivente dello scrittore ciancianese, la Signora Fina Di Giovanni.

[3] La nostra ipotesi, come vedremo oltre, è stata poi confermata in una lettera di Padre Roberto Caramanna da noi rintracciato in quel di Guidonia, in provincia di Roma.

[4] Ecco qualche nome: Balistreri, Ciorubeto, De Vastea, Gedestram, Piazza, Pirrone, Rosetti, Sagone, Vianello ed altri.

[5] Tra i pittori dell'Ottocento non siciliano figurano Nicolò Cannicci e massicciamente (con 10 tele e 5 foto), Garibaldo Cepparelli, entrambi toscani, da San Gimignano l'uno, da Firenze l'altro. Al Cepparelli, peraltro, il Di Giovanni era legato da una intensa amicizia tanto che, come è noto, a lui è dedicata la sezione che apre Maju sicilianu, che segna, come è altrettanto noto, l'esordio poetico del poeta di Cianciana.

[6] Non sappiamo di quale Basile si tratti. L'elenco stilato dal Di Giovanni ci dà il cognome e non anche il nome dell'autore del quadro.

[7] Rispettivamente si tratta dei quadri che hanno come titolo: Una vecchia, Ritratto di Alessio Di Giovanni e ancora Una vecchia.

[8] Notiamo qui che La seggia cu li vrazza è anche il titolo della prima parte del digiovanneo Il poema di Padre Luca, che è del 1935, con le considerazioni che ognuno può fare.

[9] Il quadro è stato  riprodotto sulla copertina del poemetto dall'omonimo titolo del Di Giovanni.

[10] Si pensi alla già ricordata mostra su Luigi di Giovanni, un Di Giovanni peraltro per buona parte inedito dal momento che la maggior parte delle opere esposte appartenevano a collezioni private. Della mostra e dell’artista ha scritto Tommaso Romano in un articolo apparso su un vivace periodico palermitano. (Cfr. Tommaso Romano, Luigi Di Giovanni, InSicilia, n. 3, VII, Dicembre 2004).

[11] Il Di Giovanni sarebbe morto il 6 dicembre 1946.

[12] Non dissimilmente di quanto lo stesso Di Giovanni si chiedeva in quel romanzo-denuncia che è anche il suo La racina di Sant'Antoni a proposito di certi quadri di Mattia Stom misteriosamente scomparsi. Qui egli scriveva presagendo quasi quanto di lí a qualche anno sarebbe accaduto a suoi quadri: "Chi poteva dirne niente? […]. Forse, senza che nessuno ne sapesse nulla, avevano presa la via del mare, e ora si trovavano in qualche castello di milord inglese, o nel grattacielo di un miliardario americano." (Cfr. Alessio Di Giovanni, La racina di Sant'Antoni, Agrigento, 1998, p. 439, cit.).

[13] Avevamo appena ultimato di scrivere questa nota, che ci è pervenuto il terzo quaderno di "Studi Digiovannei" a cura della "Istituzione Culturale di Studi di Poesia e di Cultura Popolare Alessio Di Giovanni" di Cianciana. A pagina 20, è riprodotto un quadro che può gettare nuova luce su quanto da noi sopra esposto. La tela è a firma di R. Spagnolo e rappresenta S. Francesco mentre parla agli uccelli. (Si veda l'illustrazione riprodotta a pag. 63). Orbene, non c'è dubbio che il quadro è tra quelli elencati dal Di Giovanni nel documento sopra citato. D'altra parte, i redattori del quaderno ci hanno assicurato che la foto è stata scattata sull'originale e non dalla copertina del poema digiovanneo di cui si è detto. Una domanda, a questo punto, appare lecita: come e in quali circostanze il proprietario ne è venuto in possesso? Rimaniamo in attesa di una risposta.

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