Codreanu: una preghiera in battaglia- di Marco Iacona
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- Category: Scritture
- Creato: 27 Dicembre 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Ne è valsa la pena. Sondare, intendo dire, le conoscenze altrui – di sinistra e di destra – per sapere se del rumeno Corneliu Zelea Codreanu si conoscessero, nel 2025, vita e fatali esperienze. È noto che sovente a destra non si è andati oltre un certo interesse per la parabola mussoliniana, per le vicende di guerra (anche quella civile, con eroi veri e appena abbozzati), e per una sorta di rinascita culturale datata anni Ottanta. Laddove a sinistra, si pensi per esempio a Giorgio Galli (pur sempre un maestro), ci si è cimentati nell’indagine, seppur non sempre con successo, dei “dietro le quinte della “storia”, nonché delle avventure umane e spirituali di ben altri protagonisti del pensiero, e per ogni periodo. Probabilmente, la parabola umana e politica del “Capitano” rumeno appartiene ai troppi non detto e ai non-racconti di chi avrebbe dovuto esprimere qualche parola. O viceversa, di chi avrebbe potuto dire qualcosa in meno.
Così certo non è stato, e fin dal 1970, data centrale in anni difficili, per Carlo Sburlati. Medico e intellettuale di destra stimato a destra (essere di destra e godere della stima dei “camerati”, da sempre, oggi in particolare, nel momento della contrapposizione Veneziani-Giuli e dell’intervista di un sentenziante Franco Cardini su “Repubblica”, non è scontato); uno Sburlati che in anni nei quali la destra era ben altra cosa – sì, col vecchio Msi era certo così – e che scontava una certa timidezza d’approccio nonché un’apparente mancanza di iniziativa riguardo ai più giovani, pubblicava per le gloriose edizioni Volpe, la prima opera italiana sul “Capitano” e sui legionari della “Guardia di ferro”. Più volte tradotto all’estero e da tempo esaurito, adesso quel volume viene aggiornato e riproposto col titolo di “Codreanu – l’arcangelo trafitto” per le edizioni Idrovolante.
A suo tempo, il volume venne apprezzato dal professor Horia Sima che succedette proprio a Codreanu nell’anno della morte del capo rumeno. La testimonianza è di prima mano e ben visibile all’interno del testo. Lo spirito del volume, che è poi quello esplicitato dal “Capitano” si può sintetizzare in una frase, alla cui inviolabilità la destra (se… destra) dovrebbe tenere più di ogni altra cosa: Dio ispira la Nazione, quest’ultima si pone al servizio dell’Assoluto, e l’individuo si pone al servizio della stessa. Una frase che è in primo luogo invito all’assunzione di una responsabilità, massima, cristiana e politica; deviare da essa per spingersi in altre direzioni è purtroppo facile, ma la qualità del soggetto o del soldato politico si misura proprio dalla sua capacità di obbedienza. La visione gerarchica, se ne è scritto in abbondanza, è in primo luogo attributo che confina con qualità umane e con valori impensabili per il comune protagonista della modernità, storica e metafisica.
Codreanu, seppur ancora poco conosciuto al grande pubblico – se si eccettuano appunto, “tifosi” e detrattori di sinistra –, fu stimato da Indro Montanelli, da Mircea Eliade, Emil Cioran, e dal meno insospettabile Julius Evola (all’interno del libro ne troverete altre di personalità…). Il romano con lo stesso “Capitano” e tanti altri autori di formazione – citerei soprattutto René Guénon – era lettura pressoché obbligatoria per il militante di destra o semplicemente per il curioso, in parallelo alla nascita di una Nuova Destra che prometteva – in parte – l’abbandono di tematiche inservibili per un più fruttuoso dialogo politico-culturale. Ciò che si voleva colpire, dal punto di vista di Marco Tarchi e degli altri – prima ancora del nemico o dell’avversario – era infatti la banalità di un quotidiano standardizzato.
Epperò anche Codreanu era utile, eccome. Soprattutto come esempio in chi credeva in una Europa diversa (ora come allora) e nell’efficacia delle rivoluzioni nazionali. Crodeanu avrebbe voluto rappresentare la via più pura tra tutte le altre per giungere all’“uomo nuovo” e al rinnovamento politico; in gioventù, quando si pensava di far parte del “Cuib” o piccola comunità – comunità viva, tradizionale – nella quale lo spirito cameratesco e l’impegno profondo con annessi valori di solidarietà e affiatamento erano di “moda” insieme a talune letture da Guerra fredda. Rudolf Hess per dirne una non era ancora morto e si interpretava la sua prigionia come la “giusta” punizione per un soldato, vittima del mondo venuto fuori dalla fine della guerra, laddove era facile trovare più oppositori che amici. All’interno della comunità in senso atemporale valevano regole estremamente rigide: la formazione umana era indispensabile, come quel sentirsi in un certo senso “genere nuovo” rispetto alla maggioranza degli uomini impegnati nell’esegesi dell’heideggeriano pensiero calcolante. A questo piano emozionale e astorico Sburlati coniuga quello storico, assai più agevole ed esplicativo e che condurrà – se si crede alla forza degli avvenimenti e alla minaccia dovuta al carisma e alla capacità di consenso del Nostro – all’epilogo inevitabile. L’arresto e la morte per strangolamento di Codreanu, alla fine del 1938.
La sua eredità, che ritrovo anche in Evola (per questo, i due si leggevano insieme) esalta la capacità degli uomini a discapito dei programmi; programmi che chiunque potrebbe avanzare. Al di là delle belle intenzioni è l’esempio morale che conta, il lavoro (e non nella sua accezione moderna…), la costanza nel sacrificio, l’umiltà, la lotta contro la bruta materia e l’opposizione al rozzo interesse personale. Tutto ciò, fu modello per altri regimi internazionali? Difficile dire, ed è anche il commento dell’amico Carlo: forse per la Spagna, e più efficacemente per l’Argentina; meno anche se si potrebbe pensare il contrario, per Italia e Germania. Gli è che Codreanu pensava più all’uomo e meno ai gruppi. L’uomo nuovo, così conclude Sburlati, doveva godere della conoscenza «dei doveri civici e dei valori morali», la sua forza era nella visione spirituale della vita: una concezione della cultura, della storia, della fede (e della preghiera) singolare, unitaria, vincolante. Cos’è la preghiera? Un semplice atto di coraggio, un impegno per affrontare nuove battaglie.
Ma la preghiera è una vittoria solo se essa, la vittoria, è in primo luogo contro se stessi. Il visionario “Capitano” si affidava al gesto più naturale e intimo che Dio avesse consegnato all’uomo. La rivoluzione nel suo elemento primario era esattamente questa.




