“Convergenze e divergenze” di Carmelo Fucarino

È in atto impegno di ogni siciliano celebrare Sciascia nel suo Centenario dalla nascita e le iniziative sono copiose da parte di organizzazioni pubbliche, ma soprattutto da parte di enti privati, con convegni e pubblicazioni di articoli e saggi. E tra questi mi posso iscrivere anche io che ne ho analizzato l’esperienza letteraria, ma anche con uno sguardo alla sua attività di uomo controverso, soprattutto nelle sue scelte politiche. D’altra parte la sua complessa ed eterogenea attività esistenziale, al centro di aspre controversie culturali e politiche, in genere da lui stesso innescate, si presta ad attivare un dibattito da una molteplicità di punti di vista. E le posizioni sono spesso divaricanti nella interpretazione di Sciascia letterato e Sciascia uomo del suo tempo, tanto da certificare che ancora non è giunto il tempo di “scrivere storia”, sine studio et ira. Per il caleidoscopico suo impegno esistenziale basta scorrere il cappello nella voce che qualche suo aficionados ha compilato per quell’anonimo ipermercato in fieri che è Wikipedia: «Leonardo Sciascia è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d'arte e insegnante italiano. Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. All'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all'uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All'influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l'umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna». Tutto egli fu nel campo della letteratura, ma si espose alla critica artistica. Quella chiusura di “insegnante di italiano” lascia perplessi, se per la sua professione di maestro elementare o perché insegnò, come Dante e Manzoni, la lingua italiana agli Italiani. Si deve dare atto che egli toccò diversi campi con una intelligenza proteiforme, volendo espandersi e affrontare tutti gli aspetti del vivere umano. Io da parte mia potrei sacrilegamente avanzare l’ipotesi che pure Dante e Manzoni ebbero i loro lati deboli e oscuri, non dico nella loro privata esistenza di uomini immersi nella fragile umanità, ma anche nella loro estrinsecazione artistica. Il Dante oscuro e bistrattato nel Rinascimento e il Manzoni della letteratura del barocco e del larmoyant, ma anche della mistione moraleggiante tra cattolicesimo di base e giansenismo di acquisizione. L’assoluto non esiste nell’arte e nella letteratura. La definizione di ‘capolavoro’ riguarda l’eccezionalità dell’opera.

In questo iperbolico elenco di superuomo il saggio di Antonina Nocera (Metafisica del sottosuolo, Divergenze, s.l., 2020) affronta il protagonista da una particolare angolazione e pertanto è da leggere con attenzione per la introspezione originale. Già il titolo ci illumina sui temi della questione in due termini che lo specificano. Da una parte la metafisica, cioè quella divaricazione dalla filosofia primitiva dei fisici greci, che Aristotele creò e sviluppò in diversi suoi scritti: con il termine da lui coniato egli volle leggere l’esistenza andando oltre alla lettura fisica degli elementi costitutivi dell’universo, proprio  quel che li superava andando “oltre la physis, la “natura” (Μετὰ τὰ φυσικά, “al di là della realtà fisica "). Come se non bastasse questa ardua definizione  del “sottosuolo” il sottotitolo recupera nei termini dell’indagine metafisica un moderno aspetto del bios, “la vita” umana, come “studio” alla ricerca della verità, instaurando un parallelo, convergente e divergente tra l’autore siciliano e il mostro della letteratura russa, la Biologia della verità tra Sciascia e Dostoevskij.

L’autrice si occupa di analizzare il rapporto con i mostri della cultura russa, i debiti, i riverberi e le divergenze, ma soprattutto con quel demoniaco inserto Il Grande Inquisitore o La leggenda del Grande Inquisitore, posto nella problematicità del grandioso e ineguagliabile I fratelli Karamazov (a puntate 1879-1880). Ma non solo l’analisi si sviluppa dalla pregiudiziale di romanzo giallo ampiamente trattato in diverse occasioni ed interventi dallo stesso Sciascia (Il metodo di Maigret e altri scritti sul giallo, a cura di Paolo Squillacioti, Adelphi Milano, 2018).

Nocera si propone di rintracciare “i fili che uniscono scritture anche molto lontane”, che definisce sottili, ma resistenti, cioè quegli input dello scrittore russo che Sciascia ricevette e mise in atto nelle sue opere, trovando delle somiglianze tra la “natura russa e la natura siciliana”. Queste affinità naturali le ha circoscritte al campo di indagine del romanzo poliziesco. Oggetto dell’analisi diventa perciò il romanzo più emblematico della metodologia poliziesca e della strategia investigativa di Sciascia, cioè Il contesto. Pietre di paragone di questo apporto metodologico sono, con i dovuti rapporti di calibro e complessità narrativa tra le opere in raffronto, la genialità e originalità di sviluppo di due monumenti della letteratura mondiale, la parte problematica di I fratelli Karamazov, cioè quella che volgarmente è ricordata come La leggenda del grande inquisitore e quello che l’autrice definisce “il romanzo poliziesco per eccellenza”, Delitto e castigo. Sgombrato il campo del disamore di Sciascia per il russo a cui preferiva Tolstoj, Nocera ne sviluppa gli indizi, certo primo fra tutti quel terzo volume dei Karamazov, che Cres scorge sul comodino. Da qui è condotta l’analisi delle ideologie che coincidono nei due testi, a partire dall’anomalia macroscopica nelle due vicende di “giallo atipico”, quel «finale, senza soluzione, una questione aperta e contraddittoria che rimescola, o più prosaicamente imbroglia le carte, spingendo il lettore ad una riflessione» (pp. 9-10). Ancora altro elemento di ripresa dal russo è l’errore giudiziario, citato all’inizio e alla fine della vicenda, emblematico, perché amplia la questione specifica per aprire il tragico interrogativo esistenziale sul castigo, su Dio e sul libero arbitrio.

Perciò «nella metafisica del sottosuolo vi è un elemento che accomuna i personaggi: è lo sdoppiamento innescato dal meccanismo della detection e del delitto compiuto… oltre vi è il sottosuolo, la dialettica antinomica ed irriducibile della natura umana. Ovvero un’aporia talmente evidente che Cres preferisce la libertà interiore nella scissione piuttosto che quella strutturata nei canoni di una vita sociale. E in fondo, nella vita, la più grande affermazione di libertà è quella di chi si crea una prigione» (pp. 23-24).

Il testo è introdotto da Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione Sciascia, con una premessa che al di là del titolo “L’irridente libertà e il brivido metafisico”, cerca di individuare, come si soleva dire, le “fonti” dell’opera di Sciascia, partendo dalle sue ambivalenti e mutevoli idiosincrasie e predilezioni, e dall’incontestato amore per il Tolstoj di Guerra e pace, alle sue pretese illuministiche e volteriane metastoriche fino all’ipotesi del debito nei riguardi di Dostoevskij, in quel postulato di delitto e castigo nella prospettiva della questione della giustizia.

In forma di postfazione Federico Fiore si sofferma “Sulla poetica della perplessità”, anche questa notazione a margine del testo fondamentale. L’autore parte dall’assioma che “i romanzi sono specchi”. Naturalmente dell’interiorità degli autori. Di ciò chiama a testimoni Salgari e Faulkner, rivela la tecnica del “meno si dice più si dice”, per giungere allo Sciascia illusionista nella sua posizione oggettiva alla ricerca della verità e alla convergenza divergente con lo scrittore russo. Dal cristologico simbolismo fino al loro incontro fertile, alla comunanza di livelli narrativi e di mestiere.

 

Per concludere, il tema del “contesto” è il cavallo di battaglia dell’odierno posizionamento dello scrittore, con le dovute proporzioni, tra l’immenso Tolstoj e l’abissale Dostoevskij, così il dibattito online di Simone Gatto (“La soluzione del contesto. Sciascia e la poetica del riscrivere in Sciascia e noi”, 29-1-21, ore 18.30, Società Dante Alighieri. Comitato di Palermo, moderatrice presidente Domenica Perrone, nell’ambito del ciclo “Sciascia e noi”).

 

Links di due miei interventi su Sciascia per divulgarlo in USA

https://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/2019/11/10/leonardo-sciascia-onori-e-errori-di-chi-sopravvisse-tra-ominicchi-e-quaquaraqua/

https://www.lavocedinewyork.com/arts/libri/2021/01/07/seguire-i-consigli-di-leonardo-sciascia-e-godersi-la-rilettura-dei-suoi-libri/

 

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