Dorothea Matranga recensisce la silloge di Vincenzo Aiello: “Faiddi di ciatu”

Un poeta vero e autentico è Vincenzo Aiello, autore di questa bella e preziosa silloge “faiddi di ciatu” dalla copertina dai colori forti di rosso e giallo, che non sono certamente casuali, e vogliono dare un substrato caldo nella duplice variante in copertina, in questa tavola così appropriata, che ben si adatta al tema trattato, all’immagine. Come quando si prepara la tela di un quadro, e si dà una mano di colore, in questo caso due colori. La base di una copertina per la silloge, che rappresenta non solo faiddi, ma una catasta che arde, diremo nello stesso linguaggio dialettale che utilizza l’autore, di una vampa. Un fuoco dove “scattianu”, mentre la legna arde, “faiddi di ciatu”. Infatti nella bella copertina risalta la figura di una donna, che uscendo dal fuoco, mostra di respirare, di annusare, di prendere “ciatu”. Non è altro che la Musa della poesia, Calliope, che prende vita in questa originale metafora pittorica che introduce la silloge. Un’opera che contiene i versi del grande poeta Vincenzo Aiello, capace di dare “ciatu” con i “faiddi” non solo a lui stesso, che dalla Musa viene ispirato, è capace anche di riversare nei versi pieni di pathos, una grande capacità poetica. L’alta dimensione del nostro poeta è di fare respirare l’aria impregnata di poesia anche a chi ha la fortuna di leggere i suoi versi, non certo versi comuni, ma che hanno l’impronta di un grande maestro. Non vogliamo con queste parole essere ridondanti di complimenti, senza che questi abbiano un reale fondamento, ma soltanto attribuirgli il giusto merito, doti particolarmente rare e preziose per l’autenticità della scrittura dal tratto originale, sempre vivace, che mai stanca e mai porta il lettore ad annoiarsi, anche perché i temi d’alto valore morale, vangano e rivangano le zolle della nostra terra, come un vomere che rimescola un humus sempre fertile, che porta alla creazione di opere e liriche sempre piene di sentimenti. Versi di una lingua dialettale siciliana che è ben protetta, e custodita, salvaguardata fino a quando esisteranno poeti veri come Vincenzo Aiello. Una lingua siciliana che sarà salva dall’estinzione, e affidata alle nuove generazioni, che impareranno a scoprire e ad amare un idioma, una lingua che fa parte delle nostre origini, come popolo siciliano, quindi fa parte della nostra antica tradizione letteraria. Una lingua appartenuta e tramandata dai nostri nonni che la parlavano con grande naturalezza. I versi di Vincenzo Aiello contengono termini antichi, mai obsoleti, termini che vanno ritrovati, rispolverati come si fa con gli oggetti preziosi d’antiquariato che non passano mai di moda, anzi il loro valore aumenta nel tempo. E lui di tali termini è una vera fucina, sempre al lavoro, che non si esaurisce mai. La grande capacità poetica del nostro poeta è di saper affondare la trama poetica nel ricordo degli antenati, nei loro modi di dire, nella consuetudine dei loro gesti, riportando alla luce anche vecchie usanze comportamentali, ma anche di consegnare al lettore una poesia universale, con temi che abbracciano tutto il sentire umano, una poesia insomma che nella sua ampiezza comprende tutti gli uomini, tutto il dolore, tutte le denunce di una società che deve ritornare sui suoi passi, acquistando una dimensione perduta riguardo ai valori, le istituzioni, come la famiglia, l’educazione dei giovani, in un mondo che va sempre di fretta e non ha più tempo per le cose vere e importanti come l’amore per il prossimo. L’autore non guarda solo al passato, egli guarda anche al presente, e al futuro, un pensiero poetico circolare è l’ambito della sua poesia, dove anche le cose che a prima vista sembrano insignificanti, sono più importanti di altre di cui non si può fare a meno. Una cura meticolosa nei dettagli, un’attenzione riverente ai sentimenti e alla sensibilità che tocca l’anima del lettore, dove ognuno sente i temi, le sofferenze, le gioie come cucite sulla sua persona, un vestito di taglia diversa per tutti. Non si può non amare una tale poesia. I temi sono i più disparati, egli spazia dal tema del ricordo e della nostalgia degli affetti perduti, non più di questa terra, come la sorella a cui dedica la silloge, c’è anche l’amore, il ricordo dei genitori, l’amore per i figli e la moglie, la nostalgia dei “ciauri antichi”, il tema del sogno dove spera di poter rincontrare il padre di cui ricorda “u mustazzeddu sempri assistimatu” e la madre sperando di udire durante il sonno nel sogno “la vuci miludiusa”. I temi dell’autore non tralasciano alcun campo d’azione, concedendo spazio tra le liriche e i versi anche alla sua città Bagheria a cui dedica la lirica “Corso Butera 333” dove con nostalgia ricorda i bei tempi passati, quando ancora “picciriddu” leggeva negli occhi di suo padre l’amore per la moglie, sua madre. E non mancano ancora riferimenti alla natura, alla festa dei morti ecc. Un grande poeta quindi che sa donare versi poetici pieni di ritmo, musicalità, contenuti d’alto valore morale, un grande dizionario di termini ricercati e preziosi per l’alto valore della loro stagionalità, e una poesia universale che sarà sempre attuale.

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