Ester Monachino, "Latte di luna" (Ed. Medinova) - di Guglielmo Peralta

      Il titolo di un testo, specie poetico, è sempre un’anticipazione e una sintesi del suo contenuto. Qui, addirittura, nomina, definisce in maniera nuova e originale la Poesia, la sua natura e le sue ‘essenze’ e anche i benefici, il benessere che si ricava dal ‘fare’ poesia, che, come suggerisce il termine inglese faran, è viaggiare, mettersi in viaggio ma anche essere, accadere, esistere. Fare poesia, dunque, è un’esperienza interiore, esistenziale, mediante la scrittura e la lettura che richiedono meditazione, contemplazione, interpretazione. L’“esperienza interiore" ingloba il pensiero sulla vita e sulla morte e implica il rapporto con la realtà, col visibile e l’invisibile, con la razionalità, la filosofia, il misticismo, il mito, la religione, nonché un'analisi del mondo dei nostri "ideali", che Ester Monachino porta avanti in questo nuovo libro - un prosimetro - intitolato appunto “Latte di luna”, caratterizzato da una scrittura intensa, profonda e originale, dove “l’immaginale poetico trasforma l’universo sensibile in prodigioso universo di Bellezza”[1].

       Il moon milk è una bevanda ayurvedica, della lunga vita; è il latte della felicità, del benessere. A questo ‘ginseng’ miracoloso cor-risponde la poesia secondo la visione della Monachino, la quale sembra attingere alla filosofia Ayurveda, che è anche tra i più antichi sistemi di medicina naturale, e, al tempo stesso, ella sembra conferire alla poesia il significato del termine sanscrita, e cioè di “conoscenza della vita”, che include longevità e rivelazione. Infatti, l’immaginazione creatrice ha del portentoso, mette il poeta a contatto con il Sacro, con il Divino, generando in lui quel godimento estatico ed estetico fondamentale per la salute della mente e dello spirito, e in presenza della ‘rivelazione’ gli consente di ‘conoscere’ in interiore l’essenza vitale, di prendere coscienza del proprio essere cosmico, dell’interessere, dell’armonica relazione tra l’universo, la vita dell’uomo e le cose. Questa visione olistica, integrale, pervade, è trasversale all’intero libro della nostra poetessa. Scrivere e leggere equivalgono qui, rispettivamente, a “preparare” la ‘miracolosa’ bevanda e ad assumerne le sostanze benefiche. Significa essere «poeta-alchimista (che) sa leggere i segni e, quale artifex, “fa segni”» [2]. Significa realizzare l’“opus alchemicum” e cogliervi “quel segno indelebile ch’è sostanza dell’Esserci”[3]. Trasfigurazione e interpretazione sono momenti, aspetti fondamentali del “laboratorio alchemico”, del fare poesia; “strumenti principali” del ‘lavoro’ del poeta sono lo “sguardo trasmutante (…) e la metafora”[4].  Lo sguardo è il sogno, l’immaginazione creatrice. Scrivere, creare, è sognare; è rischiarare la notte, l’oscurità profonda perché accada la ‘rivelazione’. La Poesia è mistero; essa si “rivela” nella lanterna magica del linguaggio: tra le molteplici figure di significato, tra suoni, luci, ombre, e nella foresta dei simboli. Allo sguardo, che fa esperienza dell’invisibile, è affidato il processo alchemico, trasformativo del “corpo immaginifico” nell’elisir del “latte di luna”, ovvero, nel “corpo della solarità radiante”[5], dove la Poesia resta, tuttavia, incompresa e lascia le sue orme che ne ‘ri-velano’ il passaggio e la fuga. Lo sguardo che immagina procede per analogie, per somiglianze e differenze, per similitudini e metafore. È la metafora, la regina del linguaggio poetico-analogico, a operare la trasfigurazione semantica consentendo, nell’apparente distacco dalla realtà e dalla connessione logica, il superamento delle contraddizioni, di cogliere “radicalmente le connessioni profonde e dinamiche del Tutto”, rendendo “palpabile l’anima mundi”[6], chiarendo e rischiarando dentro di noi la verità occulta: la “Parola / che si fa carne, soglia di canto”, che accoglie, chiama a raccolta il popolo dei poeti. Perché per loro essa si ‘rigenera’ e si ‘rivela’ nelle epifanie delle sue coltivazioni segnando il cammino dell’opera. Perché tramite il “dio Parola” gemmano i sogni, fioriscono nuove costellazioni, si fa il poeta “nunzio di latte” e si aprono i soli nella via lattea della creazione umana. Così l’“alambicco” del linguaggio trasmuta in illuminazioni l’impalpabile materia distillandone i segni. Così, si fa “essenza /di madre, la luce-latte (…) è alveo / è forma, gola sempreverde e / sempreviva che contiene la semina”. Allora tutto si rinnova nel sogno della Parola; la vita riprende il suo corso nel fiume dell’innocenza, dove ci si può bagnare più volte. E nella conciliazione dell’essere e del divenire s’incontrano il visibile e l’invisibile. Perché i sogni che tornano nella culla hanno questo potere. Con i sogni è possibile “dipingere i cieli”, farli nascere nel cuore; si tocca la Parola nel suo costato, e in plena grazia accade la transustanziazione, si realizza l’“uguaglianza / di vita e amore”. Tuttavia, resta il “sogno indicibile”. A fronte del mistero si erge “Fanciullo Amore”. Ed è “ostia e fuoco” il desiderio che tutto resti “per sempre”. Che non venga mai meno la promessa di luce. Che su tutto vegli la Parola; che sia “l’infanzia una Via Lucis” / poggiata innanzi alla fronte come un sentiero” da ripercorrere a ritroso soffermandosi là dove il “Dio dell’infanzia” ha lasciato la sua impronta, dove grande è lo stupore dei segni che ne rivelano il passaggio “oltre la soglia”. Perché “la soglia e la sua ferita sono in noi / siamo noi. In noi ciò che apre e chiude, / il suo passaggio, il desiderio dell’altrove / e l’Altrove. / In noi l’Infanzia ritrovata”. Perché ancora, “il dio conosce con noi, / cresce con noi (…) perché il mistero / dell’essere e dell’esserci pulsa / in ogni cosa come un sospiro d’amanti”. Su quel sentiero i sogni incontrano “la parola bambina”, si nutrono con “latte di luna”, ritrovano “il cuore universo”, dove “parola e vita e amore sono una sola goccia”.

      L’infanzia è la grande anima del mondo che in sé custodisce “tutte le stagioni della vita”, ed è l’albero che tende al cielo i suoi rami e che attende i suoi frutti. Il sogno è il grande amante, il primo sole, “il  sole mattutino” che nutre gli occhi, il cuore e la mente anticipando, preannunciando la vendemmia della parola racchiusa nell’infante silenzio. Ed è l’“Incipit” e il “veliero” che guida i passi di Costanza, la nipote della Monachino che incarna, risveglia e rispecchia il mondo della nonna, la quale l’ha iniziata al “gioco della forma”, a scoprire la poesia, la bellezza, l’amore: la scrittura della vita, che è simile a una “scacchiera” infinita, dove si muovono come un tutto interrelato le diverse esistenze, gli enti reali e ideali. Sulla “rotta” che, per la nostra poetessa, è “esistere nella libera volontà” che è il volere divino, restando, ciascuno, “artefice” del proprio destino, cullando il proprio sogno infinito. Attraverso Costanza si racconta la Monachino, perché l’infanzia è “l’alfa e l’omega del vivere (…) è il tempo dell’anima (…) che non trascorre, che non si scioglie, che non evapora” e dove “ogni cosa è nel Tutto, è Tutto”. E questa assenza di separazione è la Poesia, “lo stupore del mondo”, l’unione, l’unità perfetta di visibile e invisibile, di spirito e materia, di luce e ombra. “Tutto è una scrittura. Fuori e dentro di sé”. E in questo cammino, che è il sogno-veliero, “la grazia scorrente della scrittura”, s’incontrano, si relazionano e si cor-rispondono nonna e nipote. Perché “Ogni cosa può essere una mappa per trovarsi”.

      Serena, Azzurra e Francesco sono gli altri nipoti che con Costanza sono dedicatari ‘interni’ per i quali nasce questo libro. Con loro, “per vedere ancora con gli occhi / di un bimbo (…) per capire per pensare la luce (…) Luce della Vita - Vita della Luce”, la Monachino compie questo ‘viaggio’ sul veliero del sogno. Tramite “il loro mondo immaginario, innocente”, colto nei loro “sguardi ignei”, ella alimenta dentro di sè il sacro e alchemico “Fuoco” che arde nella profondità dell’essere umano e che è in grado di trasformare, purificare e rigenerare l’energia vitale, creatrice, dando impulso al percorso spirituale, rinnovatore. Dono di tanta ‘brama’ è il “latte di luna”: nutriente di bellezza e d’amore che illumina e irradia da cuore a cuore rendendo “non più occulta ma palpabile l’anima mundi”, consentendo, diversamente da quanto afferma Eraclito, di oltrepassare i confini della propria anima e ‘penetrare’ ogni creatura, conoscerne la cosmica divina essenza.

      In quest’opera la Poesia è la Favola dell’infanzia dell’uomo e del mondo, ovvero, della vita, la quale “non ha bisogno di alcun libro sacro”. Perché  “tutto è sacro”, tutto è anima. Tutto è Vita. E la metafora, che qui è Dea e ‘consonanza’ degli opposti; che genera Armonia: “musica dell’Amore che unifica”, “coglie radicalmente le connessioni profonde e dinamiche del Tutto, interpenetra il manifesto e l’occulto rendendo prensile quel Profondo Noi dove è intessuta la verità del processo rinnovatore” [7]. Su questa ‘favola’, su questo sogno, s’innesta idealmente la realtà condivisa; si aprono le “nuove narrazioni dell’alba”, e  i sogni,  negli anni esiliati, trovano asilo nel mondo, che può aspirare di diventare ‘fanciullo’. È questa la grande speranza dell’Infanzia, del Canto, che qui  è “l’altrove (…) l’interiorità unica e senza limiti , “il  tempo del Dire”, del “Dio che viene ad abitarci (…) che abita la gola degli alfabeti”.

L'intuizione, le emozioni, l’amore, la dolcezza, la creatività, le energie archetipiche sono i valori riferibili all’elemento lunare, di cui è pregna questa raccolta. La luna, che il sogno mette in scena, vi diffonde la sua luce lattea; essa apre e accompagna l’interiore e poetico cammino della Monachino, che ne distilla la “linfa bianca” e ne fa “oro”, alimento dell’anima, che si nutre e si arricchisce delle sue simbologie, dalle quali germinano le rappresentazioni e le forme infinite di un pensiero che s’interroga profondamente sugli aspetti fondamentali dell’esistenza, e con approccio immaginale sconfina, esce dai limiti della realtà, del visibile, per ‘accedere’ - come suggerisce Corbin - a una realtà ontologica, intangibile, invisibile. Sì che la scrittura della nostra poetessa, il suo linguaggio  è di un realismo alchemico che fluisce parallelamente al realismo magico, Pertanto, non c’è commistione tra realtà e fantasia anche se il “sogno” è la costante che genera e caratterizza l’intera opera. Ciò perché esso è l’immaginazione creatrice, lungi, perciò, dall’essere elemento onirico e fantastico. E in quanto tale, il “realismo” della Monachino, in cui si colgono echi dell’ermetismo e dell’esoterismo, è visione della quotidianità dell’esserci, del Dasein heideggeriano, e cioè dell’“essere-nelmondo” semplicemente, in modo anonimo, inautentico, ed è “sguardo trasmutante”, alchemico, che tende alla trascendenza, a una visione estatica, che è, al tempo stesso, al di qua della coscienza spazio dell’interiorità profonda - e, al di là di essa, “coscienza altra”: Inter-essere, interconnessione creaturale, cosmica. Congiunzione di Bellezza e Amore, in cui “ogni cosa è scritta”. Respiro dell’Universo. Anima Mundi.  In-Canto.

Introduzione, di Ester Monachino, pag. 6

  1. ivi, pag. 5
  2. ibidem
  3. ibid
  4. ibid
  5. ivi, pagg. 5, 6
  6. ivi pag. 5
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