“Il mio diario – 7” di Antonio Saccà
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- Category: Scritture
- Creato: 24 Settembre 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Agosto 1975. Tornato a Roma.
“Che pensi?”. “Che legg?”.”Che scrivi?”. “Che guardi?”. “Cos'è questo biglietto?”. “A chi stavi telefonando?”. “Che stavi facendo?”. E legge, e guarda, e ascolta, e segue ogni mio ritmo. Dice:”So con certezza che tu un giorno…”. Dice:”Non darmi dispiaceri”. Una donna così non è lo spettacolo della gelosia fedele, dico io?! Una cammella sul cui dorso sicuro traversare i più lunghi deserti?! Non è una implorante che ha da me la sua certezza?! E invece trovo un biglietto del mese primaverile in cui N.(il passato convivente) si scioglieva in fede d’amore. Sui quaderni di casa quindi a casa(di Norma), quindi con N. in casa. Io vengp assillato , non so, perché in strada passeggio ad occhi chinati e semichiusi e scopro tali fraseggi esclamati . Dopo che? Non si grida(scrive) sei sempre il mio amore se non se ne ha avuto la immediata dimostrazione! O lo si grida perché nel grido se ne abbia riaffermazione: non sei più com me però resti-in me-il mio amore?
(NOTAZIONI DURANTE IL RITORNO DALLA SICILIA A ROMA INN NAVE FACENDO PASSAGGION A NAPOLI)
La nave quando s’innalzai ricade, si innalza e ricade, nel gran respiro del mare, senza schiuma; il vento aguzza le fronde degli alberi interamente da un lato; una nave che vedo dalla mia nave, la prua entra con superbia nel mare, i fianchi solenni, incombe.Prima la le brume poi si schiarisce, vista dal porto cresce sulle nostre teste più ci accostiamo; approdano ,dall'isola, di notte , a lume, punti ondeggianti,, buio, le barche si accostano, l'acqua schiaffeggia i fianchi della nave, non parole, e l’onda di nuovo sparisce nel buio, se vi stata o l’ho immaginata; ci accostiamo ad uno scoglio cariato, quindi nel mare spoglio, muscoloso, addensato, che forse tratterrà per sempre la nave. Del resto ,la nave….( Forse venivo dalle Isole Eolie, o da Messina alle Isole Eolie, Napoli, scrivevo quasi sognando, pare).
“Ho diritto di stare comoda pure io . Mi i voglio fare una casa, se vii fosse necessità”. E’ mia madre che disse :ho diritto( ero stato dunque a Messina). mia madre che considerò la sua esistenza mai sufficientemente serva dei nostri desideri. Mia madre che mentiva di aver mangiato per farmi mangiare, che lavorava la notte per farmi uscire rattoppato il mattino, che ha fondato sul proprio annullamento la nostra dignità sociale, e mi fece studiare in buone scuole e non mi fece sfigurare con benestanti amici, e mi diede i soldi per i dischi quando mi appassionai alla musica, e per i libri quando mi appassionai ai libri, l’unico suo piacere fu la sera a tavolo dire che si era dedicata a noi e aveva fatto quanto poteva per noi. Io, ragazzo, mi infuriavo per questa vanità, esigevo il bene senza concedere gratitudine, la volevo muta è obbligata nel dare e io muto e spietato nel ricevere. Ora talvolta dice che è stanca, ora talvolta dice che è venuto il tempo di pensare a se stessa,, ora talvolta si ribella ad aiutarmi e vuole che le si renda grazie, ha bisogno di qualche lusinga. Ma resta lei eternamente e basta che colga amore, lei che si deve essere sentita in obbligo di schiavitù per meritare un sorriso, di nuovo l'impeto generoso e non sa che realizzare per dare l’ infinito per quel poco che le ho dato(che le viene dato) Si era già disposta a non avere nulla dall’esistenza e a trascorrerla sconsolata e misconosciuta.(Ma tutto questo quando ero giovane e ritenevo che mia madre avesse per compito darmi quanto poteva ed amare solo me. Poi non ci fu madre amata come noi amammo nostra madre, ed io la ripagai quanto mi fu possibile).
NOTA
LE PARENTESI SONO AGGIUNTE ODIERNE. ILTESTO E’ IDENTICO ALL’ORIGINALE, MINIMISSIMI GLI INTERVENTI.
Questa vicenda staccata dai miei Diari riguarda la relazione che ho avuto con Norma A. 1973 1979, mi pare, avevo finito la relazione con Elsa De Giorgi, famosa del periodo degli anni ’40, scrittrice successivamente di talento ma persona che mi creava tensioni insistenti causate dalle sue animosità polemiche, voglia di evidenza, mascalzonaggine del prossimo. Ne ho scritto. Norma la conobbi in treno, io non ricordo da dove scendevo verso Roma dopo qualche convegno. A Firenze questa donna corposa, un bel viso pieno e liscio, occhi larghi, scuri, assorta. Ora non saprei, mi pare che fosse in ragione della morte di un suo fratello, il viaggio. Assorto, mesto lo ero anch’io, dopon la separazione da Elsa De Giorgi o non so che. In questo abbattimento comune venne che esisteva qualcosa di più confortante, ci recammo in bagno e suscitammo eventi d’altra natura. Ci scambiamo i telefoni quando giungemmo a Roma. Io ormai ero solo, mi aveva riferito il luogo nel quale recarmi a trovarla, mi recai, una stradina affiancata a Via Nomentana(Piazza Sempione), un negozietto minuscolo minuscolo, assiepato nelle pareti e sopra il banconcino di mercettine, sembrava una composizione per bambini, seduta accanto all’ingresso, un panchettino non una sedia, Lei, a testa china, assorta come nel treno. E casca l’asino. Mi sgorgò una tale afflizione a scorgere questa polposa donna malinconica che decisi senza decidere: la devo rendere felice! L’aver vissuto con mia madre, giovanissima vedova, quattro figli, oppressa ma ferrea per salvarci e tuttavia, lo sentivo, sconfortata, sacrificata, mi aveva reso il paladino delle donne, “io ti salverò”. Sicchè dopo aver salvato Enrica M., Elsa De Giorgi, con pene maggiori della felicità, iniziai la salvezza di Norma. La quale recava le sembianze di una casalinga semplice, onesta, quella che ti cucina e ti lava gli abiti e ti ordina casa geometricamente, spolverata, luccicante, rarità nella mia vita trascorsa, e pure con Elsa, ma provvedevano domestici. Tutto vero. Norma era una donna di casa ed io non badava al minimo atto pratico. Tutto vero ma non tutta la verità. Cominciamo la relazione , ne segno dal Diario, mi stabilisco da Lei, acquisto mobili,ha due figlie, una, splendida ragazza, l’altra così così, è divorziata, sopravvivenza ardua, quel negozietto, provvedo io, il “salvatore” delle donne malridotte. Era di generosa concessione corporea, e vi era da prendere. Ma , come annoto nel Diario, doppia, avidissima, millesimale nei conteggi, sospettosissima, io mi chiudevo a studiare e scrivere, ma l’assillo avido, la gelosia, e per lungo periodo la doppiezza, aveva avuto una relazione non del tutto conclusa pur vivendo insieme a me, la spensero in me. Mi persi in una mia studentessa degna di pittori rinascimentali, e dopo totalmente con la donna che sposai, Stefania Ferrero. La abbandonai, Norma, piangendo, era al negozietto, lo sgabellino, assorta, le dissi che non era un addio, ma fu un addio. Tanti anni fuggirono, io mi divisi da mia moglie, non ricordo il motivo, rivedo Norma, sempre piena, sempre donna, per dire, e ricominciamo il passato. Soddisfacente, dura poco, sempre avida, sempre a far di conto, sempre a necessitare. Basta. Ancora anni addossati agli anni. Mi chiama. Lettere all’antico indirizzo. Vado. Una vecchina. Minima, esile, voce stenta. Era lei? Era lei ma non era lei. E finì così.