“Il mito e la poesia” di Giovanni Teresi

Il vero motivo ispiratore delle mie liriche sulla mitologia è nato da un profondo amore per il mare visto come origine della vita con la sua immensità e con i suoi misteri.

Il mare è stato la prima espressione emblematica della curiosità, dell’avventura e dell’eroismo dell’uomo, ad esempio il mito che si fa risalire ai primordi del mondo, quello di Prometeo incatenato, che Eschilo ci ha tramandato nella sua tragedia, introduce già la presenza essenziale delle divinità marine. Sono le Ninfe oceaniche, figlie di Oceano e Teti, infatti, ad accorrere per prime allo spettacolo, nel contempo drammatico e pietoso, e a cercar di confondere colui che aveva osato sottrarre il fuoco agli dei. Colui insomma che aveva sfidato la natura, l’eroe capostipite, colui che indicherà il cammino a coloro che affronteranno e vinceranno poi altre forze ancor più tremende del fuoco; quelle del mare, appunto.

Come il mare è origine di vita, è anche origine di distruzione e di morte. Così, come sappiamo, l’uomo ha individuato nelle piogge, nelle alluvioni, nella crescita contemporanea delle acque dei mari e degli oceani l’immenso fenomeno chiamato diluvio.

Ma connesso alla sacralità del mare, dei miti eroici omerici, c’è la mitologia la quale spiega con la fantasia i misteri della vita e del mondo, abbellendoli con l’incanto della poesia.

E’ proprio con la fantasia e la poesia che ho immaginato come gli antichi uomini apparsi alla vita avranno avuto indubbiamente bisogno di una forza che li dirigesse.

Ecco: lassù è il cielo che illumina con i suoi astri la terra e da cui dipendono le stagioni, i lavori dei campi, i frutti: qui nel cielo, vedevano il bene. La terra, tuttavia, non sempre dà i frutti che l’uomo aspetta da essa e a volte i suoi prodotti sono rovinati dalle tempeste. E qui, nelle tempeste, è il male. Il concetto del bene e del male si è così imposto alla visione dei primi abitatori del mondo, i quali se da un lato hanno immaginato divinità buone e divinità cattive, dall’altro si sono preoccupati di trovare per quelle divinità le preghiere o gli incantesimi che potessero spingerle al bene e placarle nel male.

La divinizzazione della natura, la credenza negli spiriti, gli spiriti che diventano divinità sono state le prime forme della religione greca che il mito rende più suggestive.

Ai miti oggi noi diamo dei significati molto correnti ed usuali.

Così, ad esempio, Zeus è il padre di tutti e in tal modo spieghiamo i suoi innumerevoli matrimoni,

Ares è il dio della guerra, Apollo il dio della luce, Afrodìte la dea della bellezza, Atena della sapienza, ecc. Ma in realtà il mito non può ridursi soltanto a quei significati correnti, esso colora della sua luce la vita spirituale del suo tempo, e come tale dobbiamo guardarlo se vogliamo comprenderlo come ci appare ancor oggi nella letteratura,  nella poesia degli antichi Greci e negli studi mitologici di autorevoli studiosi.

Non dimentichiamo che il mito umanizza i caratteri stessi della divinità. Inoltre commenta gli stessi riti religiosi.

Allora, seguendo il mito e l’atmosfera tipica che è propria della fiaba, mi sono spinto ad immaginare come esso nasconda, a volte, una credenza; a volte proietti una pratica; e, comunque nell’un caso e nell’altro costituisce un determinato modo di concepire la vita e il mondo.

 

La nascita di Afrodìte

 

Era un’alba radiosa di primavera,

la terra sorrideva e tra le fronde

lo zèfiro spirava leggero a sera.

Il mare con lento moto dell’onde

carezzava le coste di Citèra.

Si cullava in una conchiglia

baciata dal sole, in cocchio regale,

una dea di Zeus figlia.

“Afrodìte! Sull’azzurro mare sale

con i tritoni e delfini!” disse Zeus

  / accostandosi a riva.

  Così Afrodìte, con moto del capo vezzoso,

scrollò l’acqua dai capelli, balzò come diva.

Al suo passo si placò il mare focoso.

Erbe e rose spuntaron al suo passo graziato.

Felice fece tutto l’Olimpo in quel dì radioso,

 germogliarono le zolle al suo delicato fiato.

 

 

Nativitas Veneris

 

Collucebat prima lux veris,

Ridebat terra et frondes

Zephyrus afflabat levis vespere.

Mare undarum lento motu

Permulcebat Citherorum litora.

Movebat se in concha, quasi in cuna,

sole circumdata, sicut in regio curru,

una ex diis Jovis filia.

 “Ecce Aphrodite! Super caeruleas aquas salsas

cum tritonibus et delphinis!” dixit Juppiter

                                 /dum ea accedit ad oram.

Ita Aphrodite, pulchro capite quasso,

excussit aquam e capillis, repente se tollit.

Dum incedit maris  motus se vehemens placavit.

Herbae et rosae exortae sunt pede venusto.

Beatum fecit totum Olympum illa die fulgenti,

Levi halito eius orta sunt germina.

 

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