Il percorso francescano dell’Orsini cardinale e papa domenicano
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- Creato: 03 Aprile 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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di Giuseppe Massari
Presentazione
Indagare, studiare, scoprire, approfondire, cercare e ricercare è compito di ognuno che non vuole rinunciare mai o smettere di conoscere, di affinare la sua sete di sapere. Nell’arco di tempo di quasi 25 anni di entusiasmanti ricerche sulla vita e le opere del cardinale, arcivescovo frà Vincenzo Maria Orsini, poi papa col nome di Benedetto XIII, ho provato il gusto, ho percepito la sensazione di voler andare sempre più in profondità, perché molto c’era, di nuovo, d’inedito da scoprire. Scandagliando i tempi di quegli anni, dei suoi anni, non è stato difficile cogliere gli aspetti di una vita collegata e consumata sull’onda di un francescanesimo sposato, fin dalle sue radici, in termini ideali, reali e concreti. Questo è il senso delle pagine seguenti, racchiuse in una carrellata di fatti, di eventi, di episodi, tutti intrecciati dal comune denominatore: azione e preghiera. In umiltà, nel nascondimento più assoluto; con il rigore della estrema povertà evangelica, sublimata, accompagnata dal silenzio. Dal mistico deserto interiore, capace di cogliere, captare, intercettare e interpretare il senso della santità. Una santità miracolosa, che, ancora oggi, emana e sprigiona i suoi profumi. Una santità inarrestabile, proiettata a produrre sempre nuovi frutti nel cammino quotidiano della fede. In quel percorso che non bisogna mai perdere di vista, così come fece l’Orsini.
Pierfrancesco Orsini, in religione frà Vincenzo Maria, dell’Ordine dei Predicatori, sul Soglio di Pietro col nome di Benedetto XIII, fu uomo di intensa e vastissima povertà. Fu domenicano ma pensarlo francescano non si fa nessuna forzatura, come dimostrerò in seguito; anche perché scorrendo le pagine della storia della Chiesa, si scopre, tra l’altro, che i due ordini già avevano qualcosa in comune: l’essere definiti mendicanti, cioè chiamati a professare il voto di povertà (1). C’è di più, ovvero, il forte legame che ha unito Domenico a Francesco, (2) quando erano in vita, consolidatosi nei secoli, anche, tra le due famiglie religiose da essi fondate , e rintracciabile, soprattutto, nella numerosa iconografia pittorica ed artistica sparsa e presente nelle rispettive comunità. Famosa è la scultura lignea conservata a Santa Sabina, sede dalla Curia generalizia dei domenicani, a Roma (3); l’affresco custodito nel convento di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma, dove i due santi sono stati immortalati in un gesto di abbraccio fraterno (4). Un’altra testimonianza artistica e pittorica è l’affresco che si trova nel chiostro del convento di Toro, in provincia di Campobasso, dove i due santi fondatori sono raffigurati mentre si abbracciano e stringono nel loro abbraccio anche la Croce (5). Su questa stessa scia, su questa consapevolezza si è mosso il cardinale Orsini nel suo intrattenere, con i francescani, rapporti di sana e convinta cordialità, di affetto e di amore verso il poverello d’Assisi e i suoi figli. Per suggellare questa intima unione tra i due ordini e i loro fondatori, non si può fare a meno di considerare ciò che è storia e tradizione. “A ricordo di tale venerazione, ancora oggi , a Roma, a Santa Maria della Minerva, casa generalizia dei domenicani, (in realtà la Curia generalizia dei domenicani è a Roma, presso il convento di Santa Sabina, all’Aventino), dove, comunque è sepolto papa Orsini, nel giorno della festa di San Domenico, è il Generale dei frati Minori a celebrare la messa solenne in onore di San Domenico”(6). Fatta questa necessaria e doverosa premessa, è giusto inoltrarsi nella conoscenza di quello che è stato il percorso francescano del cardinale e papa domenicano. Durante la sua lunga esistenza, frà Vincenzo Maria Orsini, morì, infatti, il 21 febbraio del 1730, all’età di circa 81 anni, essendo nato a Gravina in Puglia il 2 febbraio 1650, condusse una vita morigerata e spartana; nel più assoluto nascondimento tra digiuni, penitenze, preghiere. Si fece portare, subito dopo il conclave, “il suo usato letticiuolo con le lenzuola di lana”. Completò l’arredo con sedie impagliate, un inginocchiatoio, croci, statuette devote e immagini di santi su carta attaccate alle pareti (7). Non smise mai l’abito di san Domenico, che aveva indossato, per la prima volta, all’età di 17 anni, presso il convento di san Domenico di Venezia. Una conferma del francescanesimo orsiniano è data dalla felice intuizione che l’arcivescovo cardinale ebbe, quando istituì, nelle Diocesi di Manfredonia (8) e Benevento (9), i Monti frumentari, mutuandoli dai francescani, che li avevano sperimentati sin dagli albori del Quattocento, nel momento in cui “seppero dare inizio e incentivare nuove opere con fini sociali, come appunto i Monti di Pietà e i Monti Frumentari”(10). Nel suo peregrinare, come arcivescovo, per le diocesi di Manfredonia, Cesena e Benevento fu servo umile verso gli ultimi; dedito al culto divino dei santi e della Vergine, per la quale scrisse i cento Sermoni sopra la Vita della Beata Vergine Maria, predicati, ogni sabato, nella Chiesa metropolitana di Benevento. Fu proprio durante questo episcopato, durato 44anni, se si considera che conservò quella cattedra vescovile anche da papa, che esercitò al meglio la sua devozione per Maria ed ebbe una particolare predilezione per i francescani, recandosi puntualmente, sistematicamente, ogni volta che si allontanava o faceva ritorno nella città sannita, al Santuario di Santa Maria delle Grazie, retto dai Francescani Minori.
In questa chiesa, scriverà nel suo diario, il 2 aprile 1707, di voler: “essere, dopo morte, collocato per pavimento dell’ultimo scalino dell’Augusto trono della Sovrana”(11), non immaginando che la Provvidenza disporrà diversamente, cioè collocandolo al vertice della Chiesa universale. A proposito dei diari orsiniani, essi rappresentano un vero itinerario nel tempo, che ripercorre, dal 1686 al 1729, tutte le tappe “mariane” e “francescane”, potremmo definirle così, dell’ Orsini arcivescovo prima e papa dopo. A questi diari è giusto riservare, anche, una curiosità riportata da don Giovanni Giordano, sacerdote colto di Benevento, archivista e bibliotecario, amante, studioso e cultore dell’episcopato beneventano di frà Vincenzo Maria Orsini. Don Giovanni scrive, tra l’altro,: “I diari originali sipontini e cesenati, dei quali da sempre non si ha alcuna notizia, e il gruppo dei diari andati distrutti in una con l’Archivio Arcivescovile di Benevento, a seguito dei dolorosi fatti bellici del settembre 1943. Di questi ebbero a salvarsi, per un provvidenziale prestito a un religioso francescano, il rev. P. Lodovico Ventura o.f.m. i soli Tomi III (1702 – 1709), IV (1710 – 1716), V ( 1717 – 1720)” (12). Ritornando alla “casa mariana” dell’Orsini, è opportuno riportare uno dei fatti più significativi. Fu, infatti, alla Madonna delle Grazie e al suo Divin Figlio, che il 3 aprile 1723 impose le corone d’oro donate dal Capitolo vaticano. In questa circostanza donò alla Vergine la penna d’oro con la quale aveva scritto i Sermoni Mariani (13).
Durante gli anni della sua permanenza a Benevento, il cardinale domenicano conobbe frà Antonio Da Olivadi, dell’Ordine dei Minori Cappuccini, uno dei tanti predicatori intervenuti nel corso delle numerose missioni indette dal futuro Benedetto XIII. Racconta Lodovico Da Olivadi, biografo di frà Antonio che: “il rapporto tra l’arcivescovo e frà Antonio divenne affettuoso e personale al punto che l’Orsini, come atto di stima e di fiducia, ebbe a destinare, con suo editto del 17 luglio 1692 “il Molto Reverendo Padre frà Antonio dell’Olivadi dell’Ordine dei Minori Cappuccini, Missionario Apostolico, per la raccolta delle limosine per tutta la Diocesi, à fine di poter compiere la fabbrica della nuova Chiesa di S. Bartolomeo (l’antica basilica era stata gravemente danneggiata dal sisma del 5 giugno 1688), la cui prima pietra era già stata solennemente benedetta il 13 marzo dello stesso anno (Editto per la colletta delle lemosine da impiegarsi nella fabbrica della Nuova Chiesa di S. Bartolomeo in Benevento, copia coeva manoscritta in Liber edictorum ecc…,o.c., ff. 76 r – 76 v) (14). E ancora con “lettera Patentale”, datata Vitulano, ove,( l’Orsini n.d.r.) trovavasi in santa visita, 15 ottobre 1692, l’illustre arcivescovo nominava, accordandogli anche facoltà vicarie, l’umile cappuccino calabrese missionario apostolico per la sua diocesi e lo premurava, con attestati di sincera deferenza, a tornare a ripetere il bene già operato “in principio correnti Anni… ad omnes nostrae Pastorali curae subiectos”(15). Frà Antonio accoglieva l’invito e tornava a Benevento, ospite ovviamente dei suoi confratelli della Pace, a riprendere la predicazione e a rivedere il suo amico cardinale, il quale aveva concepito per lui “tale stima e divozione, che non solo ammettevalo suo quasi continuo Commensale, quando dovendo celebrare il Concilio Provinciale, il volle uno degli Assistenti, affinchè, colla sua prudenza e santità, decorasse l’Augusta adunanza, e desse il suo parere nelle cose da decretarsi” (16). Scorrendo altre pagine della vita di p. Antonio, ci si imbatte in un aneddoto di carattere profetico: “In tal tempo raccontasi da costantissima fama, che trovandosi il servo di Dio, frà Antonio, (nel 1758 fu introdotta la Causa di Beatificazione), a famigliare discorso col cardinale Orsini, gli augurò, e prenunziò il Sommo Pontificato: a cui il santo Arcivescovo, (levatosi dal petto, ove tener solevalo il Berrettino) disse: “Sarete voi Cardinale, se io sarò Papa”, e glielo porse. (17) Frà Antonio rispose: “Voi sarete Papa, io non sarò Cardinale” (18). La profezia si avverò in pieno. Il cardinale fu eletto papa, frà Antonio, invece, non potette essere insignito della dignità della sacra della porpora, perché vide la gloria del cielo il 1720, quattro anni prima dell’ascesa dell’Orsini al vertice della Chiesa Universale. Il profilo francescano dell’Orsini si rivela tutto e ancora, citando altri fatti, altri episodi e altre fonti. All’incirca, nel periodo tra il 1680 e il 1682, l’Orsini, si recò a Bitetto, come è documentato dagli atti del Processo di Beatificazione, per pregare sulla tomba del futuro beato Giacomo, ripresi dallo storico bitettese, Lino Fazio (19). Nel convento di Toro, in provincia di Campobasso, definita stanza prediletta dell’Orsini, per il suo continuo recarsi, custodito dai Francescani Minori, un tempo compreso nella vastissima diocesi beneventana, sono conservati gli affreschi, fatti realizzare nel chiostro, in onore di Benedetto XIII, per una visita che il pontefice avrebbe dovuto compiere, ma che non ebbe mai luogo.
Tra i tanti personaggi affrescati all’interno di questo chiostro, non a caso vi sono i santi francescani canonizzati da Benedetto XIII: Giacomo della Marca e Francesco Solano (20). Il 17 settembre di ogni anno non è una data casuale nella vita e nella storia dell’Ordine francescano. E’ il giorno in cui i figli di san Francesco, per volere di un altro papa domenicano, Benedetto XI, da cui l’Orsini prese il nome quando fu eletto capo della Chiesa universale, celebrano, ricordano e solennizzano l’Impressione delle Sacre Stimmate al loro fondatore. Nella storica giornata di domenica 17 settembre del 1724, Benedetto XIII, nuovo papa, sul Soglio di Pietro dal 29 maggio dello stesso anno, non avendo ancora preso possesso della basilica di San Giovanni in Laterano, cioè della sua cattedra episcopale come vescovo di Roma, cosa che avvenne la domenica successiva, si recava presso la basilica dei Santi Dodici Apostoli, affidata alla cura dei Francescani Minori Conventuali, per consacrarla solennemente (21). Tra l’altro, l’evento è ricordato in una iscrizione lapidaria murata, situata all’interno dell’androne d’ingresso al sacro tempio. La decisione papale, considerati i tempi e il cotesto storico, fu ritenuta e definita insolita e rivoluzionaria. Durante l’Anno Santo del 1725, da lui indetto, confermò tutti i decreti dei suoi predecessori relativi al Terz’ordine francescano. Giovanni Battista da Borgogna, dei Frati Minori, il 26 maggio 1725, in San Giovanni in Laterano, fu ordinato sacerdote dal pontefice Benedetto XIII, il quale confidenzialmente gli disse: “Figliuolo, sbrigatevi a farvi Santo!”(22) Nel corso di questo Anno giubilare, Benedetto XIII, come riportano le cronache del tempo, “il secondo giorno di agosto andò ad acquistare l’Indulgenza della Porziuncola in Roma nella basilica dei Dodici Apostoli” (23). Padre Antonio Lucci, Minore Conventuale, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1989, che l’Orsini, già da arcivescovo di Benevento aveva conosciuto e stimato, da papa, lo nominò qualificatore e consultore del S. Ufficio, esaminatore del clero dell’Urbe e teologo del Concilio Romano del 1725, indetto in coincidenza con l’Anno Santo (24), e nel 1729 vescovo di Bovino, consacrandolo personalmente il 7 febbraio di quell’anno. In questa solenne circostanza, ai cardinali intervenuti per l’ordinazione, Benedetto XIII, disse di aver scelto per Bovino un profondo teologo e un grande santo. Al barone di Bovino, don Inigo Guevara, che alla fine del 1728 pregava il papa di inviare a Bovino un degno successore di Angelo Cerasi, morto all’età di 94 anni anni, Benedetto XIII prometteva un vescovo santo e dotto (25)
Nell’economia di tutta la ricerca non poteva mancare il riferimento ad un’altra famiglia religiosa di estrazione francescana, quella fondata da Pietro d’Alcantara, comunemente chiamata dei Frati minori scalzi o Alcantarini. Nella diocesi sannita, il domenicano presule, aveva tessuto e intrattenuto, con la sua incessante azione pastorale, un rapporto continuo e costante con i figli di san Pietro d’Alcantara, visitando i loro conventi, ricostruendo e consacrando le loro chiese e i relativi altari. Da Pontefice fu chiamato a dirimere una annosa vertenza, che riguardava gli stessi frati, sulla mancata costruzione del convento presso il santuario della Madonna del Pozzo a Capurso. Un lungo contenzioso che fu risolto dopo “che il principe Nicola Pappacoda, con una supplica rivolta a papa Orsini, affinchè la causa per l’erezione del convento degli Alcantarini, ormai accantonata da anni, fosse ripresa in esame. Il Papa la trasmise alla Congregazione del Concilio la quale, come era naturale, chiese le debite informazioni all’Arcivescovo di Bari. Con certosina pazienza mons. Gaeta compilò una nuova relazione, inviando anche una copia delle altre quattro precedenti che giacevano a Roma. Quando questa Congregazione si rese conto che la causa era stata già esaminata dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari, pensò bene di trasmettergliela. Siamo al 2 luglio 1728. Provvidenzialmente il Papa, che aveva voluto essere informato di tutto, esaminò personalmente i documenti e, osservando le cinque favorevoli relazioni dell’Arcivescovo di Bari, i voti comuni dell’Università, Clero e popolo di Capurso, il consenso di molti altri Comuni dell’Archidiocesi e della maggior parte dei Religiosi residenti entro le quattro miglia, il consumo e di tempo e di denaro in una causa durata quasi tredici anni, con la pienezza della sua Autorità Apostolica, il 31 gennaio del 1729 emanò finalmente il Breve di Fondazione. In questo Breve, che inizia con le parole “Iniuncti Nobis”, il Sommo Pontefice accenna minutamente ai fatti precedenti e, riconosciuto irragionevole il dissenso degli altri rekigiosi, concede all’Arcivescovo di Bari piena facoltà di procedere alla erezione ed istituzione del nuovo convento in Capurso”(26). L’opera meritoria di papa Benedetto XIII fu riconosciuta da frà Casimiro di S. Maria Maddalena, il quale nella parte finale della presentazione al suo: “Cronica della Provincia de’ Minori Osservanti Scalzi di S. Pietro D’Alcantara nel Regno di Napoli, Tomo Primo, dedicato alla Santità di Nostro Signore Benedetto XIII, in Napoli per Stefano Abbate, MDCCXXIX”, così si espresse:
Continuando ancora, è giusto fare riferimento agli altri eventi che caratterizzarono il suo breve ma intenso pontificato, durante il quale, desideroso di annunciare il Vangelo alle terre lontane, promosse, tra l’altro, le missioni dei francescani, ai quali concesse di istituire un collegio per la formazione dei missionari in ogni provincia delle Indie occidentali e orientali, in Messico, Perù, Cocincina e Cambogia e dei cappuccini nei Llamos, nel Bengala, nell’Indostan e nel Nepal (27). Non solo per coincidenza, ma con immenso piacere, Benedetto XIII, il 1° settembre del 1726 beatificò Giacinta Marescotti, religiosa del Terz’Ordine Francescano. Canonizzò, tra gli altri, il 10 e il 27 dicembre 1726, rispettivamente Giacomo della Marca e Francesco Solano, dei Frati Francescani Minori. Il 16 maggio del 1728 canonizzò Margherita da Cortona, del Terz’Ordine Francescano secolare. Il 24 Maggio, invece, iscrisse nell’elenco dei beati Juan de Prado Díez, dell’Ordine dei Frati Minori. Fedele da Sigmaringa, missionario cappuccino, fu beatificato il 12 marzo 1729 (28). Queste pagine non possono dirsi concluse se non raccontano l’importante iniziativa promossa da un vescovo francescano minore conventuale, che occupò la Cattedra episcopale della Diocesi di Gravina-Irsina, dal 1922 al 1953. Questi fu il sardo frà Giovanni Maria Sanna. A settembre del 1924, ricorrendo il secondo centenario della esaltazione al Sommo Pontificato di Benedetto XIII, indisse un Congresso Eucaristico Intediocesano (28), preannunziandolo e facendolo precedere da una lettera pastorale (29) Questo fu l’uomo di Dio. L’uomo che la Provvidenza volle esaltare, premiare, issandolo sul gradino più alto dell’ultamillenaria storia della Chiesa.
Note
- Felice Accrocca, Ordini mendicanti e la Chiesa in Italia. Dizionario storico tematico, Volume 1, Dalle Origini all’Unità d’Italia. Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, aggiornato 17.01. 2015.
- Marco Stocchi (a cura), Dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano, CAPITOLO 109: Il suo contegno umile con San Domenico e viceversa. Il loro reciproco amore. CAPITOLO 110: I due santi si raccomandano a vicenda, in Squilla Francescana, Voce della Fraternità di sant’Antonio dell’O.F.S. Roma, 8.8.2013.
- Mario Stocchi, cit.
- Fabio Ciardi, Quell’abbraccio fra san Domenico e san Francesco, in Città Nuova Cultura e informazione, 29 Agosto 2012
- Giovanni Mascia, Affreschi per il Papa. Arte, fede e storia nel chiostro e nel convento di Toro”, Palladino Editore, 2008”.
- Giovanni Mascia, cit.
- P. Giuseppe B. Vignato O.P., Storia di Benedetto XIII dei Frati Predicatori, Volume Quarto: Sul Soglio di san Pietro. Pontificia Editrice Arcivescovile Giovanni Daverio, Milanno, 1966.
- Lorenzo Pellegrino, Le opere pie nella storia di Manfredonia del Seicento e del Settecento. Confratenite, monti, ospedale, orfanotrofio, in Manfredonia nel Seicento e nel Settecnto, Atti del II Convegno di Studi, Manfredonia 16-17 dicembre 2010, a cura di P. Caratù, L. pellegrino, T. Prencipe, Nuovo Centro di Documentazione Storica, Manfredonia 2011.
- AA.VV., Dal “monte frumentario urbano” alla casse rurali. Convegno a Campolattaro (BN), dicembre 1992. Centro Culturale per lo Studio della Ciltà Contadina nel Sannio, Campolattaro 1992.
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- Il Congresso Eucaristico Interdiocesano di Gravina e Irsina celebrato nei giorni 24, 25, 26, 27 e 28 settembre 1924 per il II° centenario dell’esaltazione al Sommo Pontificato di Benedetto XIII. Bari, Casa Editrice Cressati, 1924.