"Josef Pieper: abuso di parola, abuso di potere" di Daniele Fazio

Vi è un prezioso opuscolo dal titolo Abuso di parola, abuso di potere (ed. Vita e Pensiero 2020) che raccoglie, con prefazione di Roberto Mancini, due conferenze del filosofo tedesco Josef Pieper (1904-1997) sull’importanza dell’uso delle parole che fondano la convivenza civile e la libertà della scienza. Attraverso uno sguardo ben fisso sulla filosofia classica, in particolare su Platone (427/428 – 348/347) ed Aristotele (384/383-322), l’autore non solo sviscera dei plessi fondamentali del pensiero di questi imperituri maestri, ma illumina anche il nostro tempo.

Josef Pieper – per chi non lo conoscesse – è stato uno dei massimi esponenti del neotomismo tedesco, studioso dei grandi maestri dell’Antichità e del Medioevo, i suoi scritti riportano le loro profonde intuizioni con un linguaggio semplice ed adatto al nostro tempo. Tale operazione diventa immediatamente un contraltare al pensiero debole e rinsalda l’antropologia e l’etica nei suoi fondamenti metafisici. Offre così all’uomo contemporaneo l’antica e sempre attuale via della piena realizzazione in quanto essere che sta con i piedi ben saldi in terra, ma con gli occhi rivolti al cielo. 

La parola viene abusata non solo quando quale evento spirituale la si vuole inserire nell’ambito di scambi commerciali, ma soprattutto ogni qual volta non ricerca la verità. Ma cosa vuol dire per la parola non ricercare la verità? Vuol dire non corrispondere alle cose, non avere alcun legame con la realtà. La parola, infatti, svincolata dalla realtà – e lo è quando si esprime ad esempio come adulazione e propaganda – produce una convivenza tra uomini alterata, che non conduce una comunità a fondamenti saldi, ma espone l’uomo all’abuso del potere. L’alterazione della parola genera realtà illusorie che si rendono funzionali ad un assetto del potere dispotico e tirannico.

È un antico problema che ha visto duellare Platone con i sofisti e che si ripercuote di epoca in epoca se guardiamo, ad esempio, all’utilizzo della propaganda e dei media da parte delle ideologie di ieri e di oggi: «I sofisti corrompono la parola! […] L’aspetto peggiore sta […] nel fatto che i sofisti coltivano la parola con la più viva sensibilità per le sfumature linguistiche e con la maggiore intelligenza formale, perfezionando l’uso della parola ed elevandolo ad arte – ma, al tempo stesso, corrompendone il senso e la dignità. […] Se la parola si corrompe, l’umanità stessa non può rimanere intatta e illesa» (p.30). “Inventare” la parola per alterare il reale è il fondamento di un palese abuso di potere con cui si vuole ri-creare il mondo; è un’ottica rivoluzionaria ed utopica che stravolge il realismo metafisico, esponendo l’uomo a dinamiche distruttive. La comunicazione esplicitata nel dialogo al fine della costruzione di una comunità, quindi, viene minata sin dall’origine in quanto è proprio nella parola e nel linguaggio che si dà l’incipit e l’asse principale della vita sociale. La parola abusata porterà così ad una evidente alterazione della società e dei rapporti tra gli uomini. L’abuso del potere  si dipana perciò nella misura in cui parola, verità e realtà hanno subiscono un radicale divorzio.

L’uso della parola al fine di un’autentica comunicazione, per Josef Pieper, necessita di tre considerazioni: la prima riguarda il fatto che il bene per l’esistenza dell’essere umano dipende innanzitutto nel vedere per quanto possibile le cose come sono e nell’agire secondo verità. La seconda sta nella considerazione che l’uomo in quanto tale – e quindi anche la società – ha bisogno di nutrirsi di verità. Da ciò ne consegue – terza considerazione – che l’ habitat naturale della verità è lo scambio dialogico tra gli esseri umani: «la verità accade nel dialogo, nella discussione, nella conversazione, in ogni caso nel linguaggio e nella parola» (p.51). Proprio l’ordine del linguaggio, infatti, fonda la vita sociale. Esso non sta primariamente nella perfezione formale, ma nella capacità di far giungere alla parola la realtà con la maggiore integrità e completezza possibile.

Vi è un compito mai concluso innanzi allo scenario dell’abuso della parola: quello di resistere a ogni sua semplificazione parziale, ad ogni sua esaltazione ideologica e a ogni cieca emozionalità derivante da parole vuote di significato. In questo senso, le scuole, le accademie dovrebbero essere quei presidi maggiormente responsabili di tale difesa per trasmettere alle società in cui sono inserite la realtà vera di noi stessi, del mondo, di Dio.

La seconda parte del volume – a partire dalla riflessione sull’effettivo annullamento della libertà della scienza operata dal regime sovietico – sviluppa considerazioni inerenti al plesso “conoscenza e libertà”. Qui riecheggia la lezione aristotelica con cui viene fondata la dinamica della conoscenza a partire dalla scaturigine del pensiero filosofico. Una conoscenza libera, infatti, per lo Stagirita, ha a che fare con qualcosa che non è pratico. Tale esattamente è la conoscenza teoretica, incarnata dalla filosofia prima: una conoscenza non volta alla prassi e all’utile, ma provocatoriamente in-utile, ossia consacrata tutta nel theorein, ossia nell’attitudine contemplativa della realtà di cui ogni uomo è capace.

Ciò libera la conoscenza da ogni incombenza e declinazione pragmatica e funzionale e allo stesso tempo determina la radice della sua assoluta e concreta libertà. Una tale indicazione è stata disattesa sin dagli albori della Modernità, nel momento in cui Cartesio (1596 - 1650) ha declinato la conoscenza quale dominio della natura. Pieper riporta nell’alveo originario della conoscenza il discorso sulle scienze, perché solo la riflessione sulla conoscenza teoretica può permettere all’uomo di esplicitare anche una attitudine pratica e ancor di più tecnica che non finalizza la sua esistenza alla capacità esclusiva di sottomettere le forze della natura, ma pone il suo primato nella contemplazione. L’uomo deve emergere innanzitutto non come faber, ma come un essere capace di apertura alla realtà.

La riduzione operata nella Modernità e di cui il regime comunista sovietico risulta piena incarnazione, ha messo in pericolo l’apertura integrale della mente all’oggetto, in quanto le scienze non lo vedono nella sua totalità, ma semplicemente secondo un suo aspetto particolare. Ciò non determina libertà, bensì una subdola schiavitù all’ideale esclusivo della scientificità.

In altri termini, Pieper ci vuol dire che è la conoscenza della verità che ci rende veramente liberi, ragion per cui la conoscenza teoretica individua l’essenza dell’uomo al di là di una conoscenza di carattere meramente strumentale-scientifico: «lo stesso essere umano è tanto più libero quanto più è un essere che conosce teoreticamente, che è indirizzato alla verità e nient’altro»(p. 64). Non si tratta, infine, di contrapporre la conoscenza teoretica alla scienza, ma proprio di collocarla nel suo alveo proprio per rivendicarne la libertà. Infatti, «chiunque leda o distrugga la libertà della scienza, può farlo soltanto violando o distruggendo il suo carattere teoretico» (p.67).

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