““LA CIRCOLARITÀ DELL’EPOS” RICERCA LETTERARIA DI GIOVANNI TERESI

 

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                 Poema epico 

 

La circolarità dell’epos

L’epos nella narrazione si configura come un disegno circolare. Scrive L. E. Rossi: «l’epos non comincia e non finisce, bensì si configura come un circolo». La narrazione può iniziare da un punto qualsiasi perché – e questa è una peculiare caratteristica dell’epica – l’uditorio conosce già il racconto. Nell’epos non esiste suspense: il piacere del racconto (o il piacere del testo) deriva dalla certezza nella solidità delle vicende e dei personaggi, e nel loro eterno ed immutabile ritorno. Così, Patroclo sarà sempre il giovanetto generoso e soccombente, Odisseo sarà per tutti l’itaco ingegnoso e molteplice (e infido, secondo la lettura foscoliana nei Sepolcri), e, nel perenne duello tra Achille ed Ettore, l’«onore di pianti» – per dirla ancora col Foscolo – spetterà sempre ad Ettore, «ove fia santo e lacrimato il sangue / per la patria versato, e finché il Sole / risplenderà su le sciagure umane». La circolarità della narrazione epica rimarrà implicita anche nello sviluppo del genere, quando gli eroi antichi saranno sostituiti dai cavalieri cristiani: ciclo carolingio, ciclo bretone, ciclo dei romanzi della ricerca del Graal, e così via, sono tutti termini metaforici che indicano, sì, l’appartenenza a determinati filoni tematici, ma mantengono in sé anche l’indizio della specificità di un genere narrativo che può iniziare da un punto come da un altro del cerchio. Cosa, questa, ben visibile anche sul piano iconografico, quando si osservino le illustrazioni dei poemi epici ed epico-cavallereschi di cui si fregiarono le corti rinascimentali e poi quelle seicentesche: anche allora gli affreschi delle sale e dei castelli riportarono episodi circoscritti di più vasti circoli narrativi, tutti ben riconoscibili ai committenti e ai loro cortigiani. A Bachtin e ad Auerbach siamo debitori di studi capitali sui rapporti tra epos e romanzo. Tuttavia, lo spunto fornito dall’avverbio ajmovqen suggerisce una differenza – per così dire –  ‘geometrica’ che distingue la struttura narrativa dell’epos omerico da quella del romanzo moderno. Scrive Zambarbieri: «Il momento iniziale del racconto epico – chiesto alla Musa, ma deciso dal poeta – è sotto il profilo cronologico e narrativo del tutto imprevedibile: perché il poeta decide di narrare secondo un ordine che non è quello temporale nel quale i fatti si svolsero nella “realtà”». Ciò porta alla conseguenza che, escluso il proemio che peraltro non appartiene alla diegesi, la narrazione epica non riconosce il proprio momento fondamentale nell’incipit né, tanto meno, nell’explicit, che sono invece i punti forti del romanzo moderno.

Quanti sono, infatti, i lettori che hanno letto la conclusione dell’Odissea? Che sappiano, in altre parole, che nell’ultimo libro c’è una seconda nékuya? Anche l’explicit del romanzo cavalleresco ha, in genere, scarsa importanza, salvo, peraltro, nella Gerusalemme, che si chiude proprio con “una pietra sopra”, quella del Santo Sepolcro. Ma il Tasso, come sappiamo, era ossessionato dal mito dell’unità: e «il poema del secolo» doveva avere una conclusione inattaccabile. La libertà del poema cavalleresco noi la conosciamo soprattutto attraverso la narrazione ariostesca, così fantastica e dilagante da non permettere nemmeno che del poema si possa fare un riassunto. Italo Calvino chiamava «zone di confine dell’opera letteraria» l’incipit e l’explicit , confini espliciti ed evidenti in cui si gioca tutta la narrazione. E infatti: si potrebbe forse incominciare il racconto, ad esempio, dei Promessi sposi da un punto diverso che non sia «quel ramo del lago di Como»? Non solo perché è un inizio arcinoto, ma perché solo da quel campo lungo, che sembra provenire da un regista di consumata esperienza, può poi partire la zoomata sul mite e timoroso curato da cui ha inizio la minuzia tragica dei casi delle «genti di piccolo affare» che tutti conosciamo. Invece il racconto dell’Odissea può anche concentrarsi in episodi singoli che hanno massa straordinariamente densa, come l’avventura nella terra dei Ciclopi, o l’episodio del canto delle Sirene, o l’incontro con i morti, dalla cui lettura ci sembra di poter cogliere, come distillata, la goccia preziosa che distingue e caratterizza la narrazione epica.

Giovanni Teresi

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