Giovanni Taibi, "Un amore perduto" (Ed. Albatros)

di Giovanna Cavarretta

 

    Il testo “Un Amore Perduto di Giovanni Taibi ci inoltra negli orizzonti frammentati di una storia profonda contraddistinta da inaspettati risguardi avvolti in una soppesata e poetica malinconia. Lo stile fluido, caratterizzato da un linguaggio garbato e limpido, evince una scrittura idonea a svelare, tramite il susseguirsi di eventi esistenziali, le occulte e misteriose pieghe dell’animo umano. L’autore ci narra la storia di Anna e Salvo, di un amore non totalmente vissuto nella realtà seppur mai dimenticato. La vita poiché nulla lascia in sospeso, li porrà dinanzi ai loro più crudeli demoni, conducendoli, così, ad intraprendere un doloroso viaggio all’interno di se stessi. Erano gli anni del liceo quando Salvo si innamorò perdutamente di Anna, “era l’inizio della sua schiavitù. Dall’asservimento totale ad un sentimento, della sua spersonalizzazione”. Benché non fosse stato dichiarato apertamente, Anna lo aveva capito, ma coscientemente aveva sempre eluso l’argomento. La mancata confessione di tali sentimenti avrebbe comportato nel tempo e nelle loro vite gravi ripercussioni, tali da compromettere un sereno percorso evolutivo. L’amore del giovane cresceva a dismisura come il tormento che lo attanagliava, decidendo, in una lettera, di esternare quell’incontenibile fiume di passione fino a quel momento celato. L’ombra del rifiuto sembrava seguirlo senza un anelito di speranza, finché non lo vide materializzarsi su un foglio di carta. La sua amata non corrispondeva il medesimo ardore. I pochi incontri nelle estati del paese, si consumavano dietro un’apparente amicizia. Baci languidi, tenere carezze accompagnati da abbracci appassionati nascondevano la potenza di un sentimento inespresso. Questi sono gli unici attimi di abbandono in cui il trionfo del dio Eros mitiga conflitti e discordanze, nonché attimo di estrema fusione fra maschile e femminile, rappresentato da Gustav Klimt, nel 1907, nell’opera “Il Bacio”. Le strade dei ragazzi si separano definitivamente: Anna si iscrive in Lettere all’università della capitale, Salvo pur condividendo gli stessi interessi intellettuali vi rinuncia, quasi come un atto di fuga e opta per la facoltà di medicina a Milano.Gli anni di studio, per la protagonista, avevano un solo obiettivo: votarsi al divertimento e ad una leggerezza tale da permettergli di sconfiggere o addomesticare l’alienante senso di colpa che portava in pectore. L’incapacità di manifestare l’intensa attrazione che provava per l’amico, l’indifferenza e l’ambiguità palesata erano le cause di un incessante malessere. Il dilemma esperito consisteva nella contraddizione “della volontà con la sua idea” manifestando un’illibertà, intesa come negazione di autodeterminazione di sé, che scaturiva dalla mancanza della vera libertà, pilastro fondante di un “bello spirituale” (Karl Rosenkranz). Si assiste, parimenti nelle arti e nella poesia, alla netta divisione fra negatività estetica ed etica che genera una bruttezza che assume le sembianze del male. Infatti, in quel dato presente storico, la bellezza dell’anima fortemente legata alla propensione verso il bene e il vero, subisce una brusca inversione, violando il fine ultimo dell’armonia e dell’ordine interiore: “Preferì il silenzio e la menzogna alla dolorosa ma chiarificatrice verità”. L’illusione e la delusione data a Salvo la tenne a debita distanza da qualsiasi implicazione sentimentale. Illuminante e rivelatore fu il breve viaggio, post- laurea, a Barcellona. Nel libro “L’uomo in rivolta”, Albert Camus scrive: La rivoluzione consiste nell’amare un uomo che non esiste”. Forse Anna, inconsapevolmente, attendeva qualcuno in grado di mostrarle la sua autentica essenza. Tra le architetture e le feste della città spagnola conosce Miguel. Fra i due il magnetismo è istantaneo. Detentore di una fine sensibilità, egli riesce a percepire l’abissale inquietudine della giovane donna, la quale con estrema immediatezza gli confida di non avere ancora compreso quale fosse la sua effettiva identità sessuale. Era questo il nodo fondamentale che le aveva impedito di rivelare le proprie emozioni a Salvo. Ma adesso, grazie a Miguel, poteva vedere la sua vera immagine riflessa. Finalmente scoprendo la sua natura essenzialmente femminile ha termine il suo lungo e travagliato calvario. “La vita, sostiene Alejandro Jodorowsky, non ci fornisce quello che desideriamo, ma ciò di cui abbiamo più bisogno per evolvere la nostra coscienza”. A tal proposito uno schema d’interpretazione della realtà, ci è stato consegnato dall’antico popolo degli Esseni ne “I Sette Specchi Esseni”. Essi racchiudono il profondo significato delle relazioni umane, perché attraverso il rapporto con gli altri, ci viene mostrato nel “hic et nunc” la nostra realtà interiore. Nello specifico Anna specchiandosi in Miguel aveva vista riflessa se stessa (Primo Specchio) e dal momento che l’esperienza d’amore vissuta con lui con grande ardore era risultata assolutamente perfetta, ciò le aveva fatto sciogliere quel suo groviglio interiore risultando alla fine sintetizzato nella massima “Tutto è perfetto”, come così descritto nel Settimo Specchio. Forte della sicurezza acquisita s’innamora di Paolo e lo convince, malgrado l’indecisione del fidanzato, a convolare a nozze. L’incontenibile insoddisfazione e il divorare le emozioni furono, da subito, avvertite dallo sposo ad appena un mese dal matrimonio dalle parole taglienti della moglie: “questa casa mi sembra vuota”. Di lì a pochi anni, misero al mondo tre figli e il ménage familiare divenne la tomba del loro amore, una dissoluzione preannunciata. La figura di Paolo, ad una prima lettura, risulta essere la più debole in quanto vittima esemplare di una donna in balia dei suoi irrisolti, “instabile ed inaffidabile”. Inoltre risulta evidente che lui, parafrasando lo scrittore, non aveva capito niente né di Anna, né di se stesso né tanto meno del rapporto che li legava e che sembrava tanto solido da durare tutta una vita. “Ho rispettato la sua libertà”, afferma Paolo nel momento drammatico della separazione. La sua personalità comunque lascia alquanto perplessi e piuttosto basiti. In “Con te o senza di te”, il maestro spirituale Osho scrive: “Se ami una persona dille ciò che vorresti, anche se le tue parole sembreranno sciocche; a volte è un bene essere sciocchi”. Nella lunga convivenza Paolo non aveva mai parlato alla moglie delle rinunce fatte prima e durante il fatidico sì. Si era aggrappato a questo sentimento nella vana speranza dell’eternità, a discapito di sogni e progetti mai compiuti, mutilando, in tal modo, una parte di sé. E’ l’attaccamento a codesta illusione che egli scambia per amore. L’amore, in primis, è uno stato dell’Essere, è piena totalità e unità che sgorga dal profondo dell’anima. La libertà, da lui tanto decantata ed esposta con tono quasi fiero, denota una scarsa presa di coscienza della responsabilità nei propri confronti ed evince anche una mancata realizzazione della propria natura. Scelse pertanto di votarsi al sacrificio in nome dell’amore e della famiglia, dimenticando (massima di Oscar Wilde) che “Amare se stessi è l’inizio di una lunga storia d’amore”. L’Autore ne esibisce un ritratto denso nella pienezza di una struttura compositiva ove è chiara la netta discordanza “tra forma e contenuto”: una raffigurazione composta da toni vividi dalla quale traspare una silente impotenza. “Non pochi sono quelli che amano gli altri per paura di amare se stessi”, come sottoscriveva Jung. Intanto, in Anna, si radicava sempre più l’intenzione di dare una svolta alla sua vita, con Salvo.  Centrale, nel romanzo, è il ruolo che lei assume da protagonista indiscussa, è il perno che sorregge e distrugge le anime in cammino. L’Autore ci presenta un affresco di notevole intensità, un intreccio emotivo segnato su un percorso che oltre ad investire la personalità del soggetto ne rileva con delicatezza gli effetti animici. Per comprendere l’universo tumultuoso, i moti che la spinsero ad agire in un modo tale da essere giudicata sconsiderata e disattenta nei confronti degli uomini che incrociarono la sua esistenza, è molto importante tenere presente la crisi d’identità nella quale imperversava. Come un lupo, avverte il pericolo, non lo evita anzi si lascia trascinare dal suo sentire, poiché è perfettamente consapevole che non può opporsi al lungo viaggio verso la conoscenza, l’esperienza e in particolare la propria natura. Anna, intraprendendo la corsa alla riscoperta della “sua essenza selvaggia”, stava per addentrarsi nei meandri della propria autenticità. “Andate e lasciate che le storie, ovvero la vita, vi accadono e lavorate queste storie della vostra vita, riversateci sopra il vostro sangue e le vostre lacrime e il vostro riso finché non fioriranno, finché non fiorirete” (Donne che corrono coi lupi- Clarissa Pinkola Estès). Lo psicanalista Carl Gustav Jung sosteneva come nell’essere umano coesistano due parti diametralmente opposte: l’Anima che corrisponde al femminile e l’Animus corrispettivo del maschile. La conoscenza congiunta ad una loro armonica integrazione conduce la psiche all’equilibrio. Era questo il problema della nostra protagonista: in lei vigeva il caos. D’altronde, come o cosa avrebbe potuto rimediare nel dare o vivere? Innanzitutto, doveva curare ciò che andava guarito e non è pedisseque citare ancora una volta Clarissa Pinkola Estès: “In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno”. Rincontrare Salvo era il grande sogno di Anna e magari un nuovo inizio. Adesso era pronta, aveva dato un nome e un volto ai demoni che aveva osato guardare ed abbracciare. L’opera alchemica era stata compiuta: il piombo dopo un lungo e travagliato processo era stato trasmutato in oro. I tempi erano maturi per un confronto senza più ombre e remore. “L’uomo in pace con se stesso, che accetta se stesso, dà il suo infinitesimale contributo al bene dell’universo. Ognuno presti cura e attenzione ai suoi conflitti interiori e personali e avrà ridotto di un milionesimo di milione la conflittualità nel mondo” (C. G. Jung). Questo inframmisto di Jung delinea l’altro protagonista principale: Salvo, la controparte. In seguito al rifiuto di Anna, resosi anche ridicolo ai propri occhi, spiandola da lontano, decide di porre fine a quell’inutile e malsano calvario di un amore non corrisposto al fine di dare senso e dignità alla sua esistenza. Ma la vita sentimentale, nel corso degli anni, si dimostrò inesistente, una greve apatia si era impossessata del suo Essere. “Le donne che incontravo (si legge nel testo) entravano ed uscivano dalla mia vita e dal mio letto senza che sentissi il bisogno della loro presenza o il senso di vuoto della loro assenza”. Molto provato e deluso aveva chiuso il cuore a doppia mandata. L’incontro inaspettato con Anna, lo riempì di gioia. Finalmente vedeva il sogno concretizzarsi, ma fu soltanto una questione di attimi. Da giovane adolescente innamorato e ingabbiato e sopraffatto per tanto tempo in un sentimento che non riusciva a dominare, si smarrì e la lettera di addio alla sua amata era un falso d’autore. E’ la vittoria dell’incapacità di governare il proprio Io e l’assenza di amore e di rispetto nei confronti dell’unica persona con la quale trascorreremo tutta la vita: noi stessi. Un iniziale meccanismo di difesa che si dimostrò di offesa, un mancato viversi per vivere. Né vincitori, né vinti in questa storia! Giovanni Taibi offre al lettore un ventaglio di riflessioni su alcuni grandi temi di valore universale: l’amore, la solitudine, l’angoscia del vivere etc… Innumerevoli i rimandi in ambito filosofico, da Schopenauer nel cui pensiero, in minima parte, la vita oscilla fra il dolore e la noia, come si riflette sostanzialmente in un tratto della vita di Anna, all’Esistenzialismo di Jean Paul Sartre, o ancora da Jung, fondatore della psicologia del profondo, a Clarissa Pinkola Estès psicanalista di matrice junghiana, per infine sfociare nel campo della spiritualità con il maestro Osho. Un romanzo che raccontando la storia di un amore bruciato, si insinua nella parte più recondita dello spirito umano poiché il viaggio di un altro può essere anche il nostro, magari non nella similarità del vissuto ma perfino in un dettaglio, in un particolare, che noi riconosciamo appartenerci.

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