“La donna e il suo essere ancestrale nella stella di nome Marta di Maria Concetta Ucciardi” di Maria Patrizia Allotta

La vita continua oltre il cammino terreno e il suo margine
- non solo nelle vie della trascendenza all’eterno -
è iscritto pure nella tessera infinitesimale del mosaico
eppure non eguale a nessun’altra che
 componiamo nel tragitto e che consegniamo all’universo,
al cosmo d’amore pacificato nell’infinito stellato.
                                            
   (da “Il mio urlo d’Amore infinito” di Tommaso Romano)
 
 
 
     Un’apoteosi tutta al femminile il primo romanzo di Maria Concetta Ucciardi dal titolo Una stella di nome Marta, edito dalla casa editrice Thule che proprio quest’anno compie cinquant’anni di prestigiosa e autorevole attività nel mondo culturale nazionale.
     Sì, tutto al femminile. E non soltanto perché l’artefice dell’opera appartenga al “gentil sesso” nel senso più emblematico e rappresentativo possibile, o perché la protagonista sia una delicata “madonna” di nome Laura, oppure perché tutto ruota attorno alla figura di una premurosa moglie ed una attenta madre, quanto perché le pagine all’interno del testo assumono quel colore rosa che, inevitabilmente, riconduce alla sensibilità, all’intuito, alla dolcezza, ma anche, all’apprensione, alla trepidazione, all’inquietudine del magico mondo della donna.    
   La volontà dell’Autrice, certamente, non è quella di vantare l’essere femminile a discapito di quello maschile o proclamare la superiorità di un sesso rispetto un altro in nome di un possibile femminismo che risulterebbe - anche per chi adesso scrive - oltremodo, banale, ordinario e demodé.    
     L’obiettivo della Nostra, invece, sembrerebbe quello di rivalutare e, quindi, esaltare - ma quasi in punta di piedi - l’essere ancestrale della donna, la sua profondità introspettiva, il suo essere atavico, il suo senso innato del bello e del buono in nome di quelle virtù eterne e di quei valori immortali che sostanziano l’umanità e ci riconciliano con l’Assoluto. 
     Virtù eterne e valori immortali che in questa opera prima di narrativa danzano, quasi poeticamente, attorno alla divinità della famiglia, alla cura per le mura domestiche, all’importanza dei quotidiani gesti, alla semplicità dei veri affetti, alla preziosità dei figli, all’accortezza nei rapporti coniugali, alla deferenza delle proprie origini, alla bellezza delle feste religiose e, soprattutto, al rispetto degli anziani e dei più deboli, dei sogni e dei misteri, dell’umano e del divino, quasi a volere sacralizzare questi archetipi inviolabili - eppure oggi fortemente oltraggiati - attraverso una mano tenue, leggera ma ferma e per mezzo di una penna chiara, nitida ma sognante, capaci di divenire - mano e penna unite insieme - scrittura simbolicamente epifanica.    
   Quasi poeticamente si diceva e non a caso. Infatti, l’Autrice - particolarmente proclive alla parola lirica tanto da pubblicare una silloge intitolata Il crepuscolo dell’alba (Edizione Thule, 2016) - forse inconsapevolmente, ancora una volta, si serve di melodie e ritmi, simboli e immagini, evocazioni ed emozioni che fatalmente riconducono all’universo poetico di stampo sentimentale e all’idilliaco filosofare di carattere passionale.
    Infatti, l’estrema semplicità lessicale, l’essenziale forma sintattica e l’asciutta struttura morfologia, unite all’umiltà del sentire, alla centralità dell’essere, alla necessità del divino, si rivelano, come autentico atto poetico dettato da un’urgenza metafisica che diviene poi rappresentazione del Mistero attraverso una scrittura remissiva, forse, ma, certamente, di forte impatto emotivo.
L’Autrice, dunque, senza maschere, né giravolte e neppure orpelli, durante la sua narrazione è capace di svelare, sinceramente, la profezia della parola viva vissuta, sempre, come esercizio spirituale, viaggio iniziatico, autentico dono e non soltanto messaggio ma, soprattutto, come fede che sostanzia l’esistenza anche dopo il trapasso.
      E in effetti pura poesia appare il sorriso ingenuo dei piccoli, la sagacia di un marito attento,  l’attaccamento alle proprie radici, la voce soave dei cari, l’afa delle notti estive, i ritmi del quotidiano andare, i riti del Santo Natale ma anche, l’amore non vissuto, il coraggio di una donna maltrattata, il dolore di un padre, la follia di una madre offesa, la nobiltà di un anziano uomo, la solitudine dei più deboli e, infine, le indicibili sconfitte, i tormenti dell’anima e la stessa inconcepibile morte.   
    Il trionfo del versus è dato, comunque, dalla figura evanescente di Marta - bimba divina eternizzata mai fantasma, né ombra, neppure spirito - che appare per magia nelle notti estive come stella, preziosa cometa, luce esplicativa, guida per la vita oltre la morte.  
    Luce, cometa, bellezza, stella, guida, magia, vita e morte. Marta come supremo fiat.             
Sì, un fiat che spinge Tommaso Romano a scrivere nella sua postfazione come “Ambienti, luoghi, momenti emblematici e situazioni differenti, trovano così compimento nella metafora e nella simbologia, attraverso una introspezione che descrivendo interroga”, facendo espresso riferimento ora “alla Grazia che può risplendere, anzitutto come Luce interiore”, ora “al supplemento d’anima di una scrittura che è materia di autentica vitalità e stile”, scrittura, capace di diviene - così come testimonia Mirko Dario Cacicia nella sua nota - un “modus narrandi” orientato verso il “mos maiorum” in nome del “rispetto per il classico, per le tradizioni familiari, per la religione (…) e la conservazione dell’arte” anche quest’ultima contemplata ampiamente - lungo le novantasette facciate che compongono il piccolo volume magistralmente curato da Giovanni Azzaretto. - sia attraverso le testimonianze di ordine autobiografico, sia attraverso le emblematiche foto che ricostruiscono la variegata storia di Palermo, sia attraverso la creatività pittorica di Ilaria Caputo che fa della copertina un’opera capace di evocare la seduzione dell’arte delle forme e dei colori.
   Ma non è tutto. “Un altro punto focale della trama è l’inconscio che si rifà all’antica psicologia freudiana”, scrive Giovanni Teresi, il quale nella sua attenta ed esaustiva prefazione non esita a sottolineare l’alto messaggio pedagogico racchiuso nella “partecipazione della famiglia alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa. L’amore e la vita costituiscono il nucleo della missione salvifica della famiglia” la quale viene descritta dalla stessa Autrice come “grande tesoro” che “come tutti i tesori, bisognerebbe apprezzare il grande valore.”
   Sì, così scrive la ricca Maria Concetta Ucciardi che tiene in pugno un autentico tesoro ulteriormente accresciuto dal suo fare scrittura creativa e dal suo essere autenticamente donna.       
   
 
 
 
 
 
 
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