LA VOCE DI DIO E IL PARADISO DELLA SCRITTURA

      

 

      La scrittura è la scelta e l'ordine delle parole; è la forma e il corpo che esse danno ai sogni, alle idee, che sono la loro anima, il loro significato. La scrittura è il medium attraverso il quale l'universo interiore si fa specchio dell'universo divino. Perché siamo fatti a immagine e a somiglianza di Dio, della Creazione. Si scrive a partire dall’origine, dalla Parola, della quale la scrittura è il riflesso e la scomposizione dell’invisibile raggio da cui si genera lo spettro infinito delle parole, che hanno la loro duplicazione nelle diverse lingue, dove assumono altre forme e altri suoni. Di per sé, le parole nulla creano in quanto ci sono date nella Babele dei linguaggi. Solo quando le scegliamo e le ordiniamo diventano creative, acquistano un senso, edificano mondi. Sempre cerchiamo un ordine nelle parole, che ponga fine al caos e all’angoscia: l’uno è la nebulosa informe e asemantica nel cielo interiore, l’altra è la difficoltà dell’ascolto e della visione, il timore di non riuscire ad oltrepassare la siepe, a bucare il “sovrumano” silenzio, ed è il tremore del cuore di fronte all’immaginazione dello spettacolo, che non si concede facilmente alla scena della scrittura. E si resta in attesa della prima stella e delle costellazioni che seguiranno. Scegliere le parole è dare ordine al caos, è fare di esso “una stella danzante”[1], un kosmos, un universo; è, altresì, fare della Babele dei linguaggi la Biblioteca dello Spirito, dove s’infinita il mondo della scrittura nell’infinito della creazione. Scrivere è vocazione, è cor-rispondere al Silenzio che ci chiama all’ascolto, e non possiamo che “obbedire” (ob-audire). Il Silenzio è la Parola, il Verbo, la Voce divina.   

      Non conosciamo la voce di Dio che ci parla e ci consente di parlare in sua prossimità mediante la creazione. Nell’intimità profonda, la voce si fa parola: figlia dell’idea, la quale si dà in visione allo s-guardo e s’incarna nel corpo delle parole sottraendosi agli occhi del mondo. Perché il mondo è fatto di cose che non somigliano alle idee che le generano né alle parole che le pronunciano, ed è fatto di parole, che ancora meno somigliano alle idee che esse celano e alle cose. Così, queste restano mute e le parole sorde alla Voce, che imprime nei loro suoni la sua distanza abissale. Altro fu la Parola che partorì l'universo e che ancora ci parla nell'atto della creazione. Ma nel silenzio, dov’è la sua culla, la parola nasce umana e va nel mondo povera e raminga. E quando, toccata dalla grazia, rifulge della maggiore bellezza, si fa, altresì, colma dell’abisso che ne rivela il Principio.

      Della Poesia non conosciamo la dimora. La sua luce è paragonabile a quella della luna, ma tutta si ritrae nella sua faccia nascosta. Qui, essa vince con le tenebre ogni luce e con la luce oscura ogni tenebra. Scrivere è parlare della luna, solo della sua faccia visibile; è imitare, con largo spettro di forme e di parole, lo splendore della Poesia, il suo balenare nella notte profonda, in cui lo s-guardo sogna le sue costellazioni. Nell’ineffabilità questo astro invisibile custodisce il suo volto segreto elargendo così i suoi tesori. Tacere è la virtù della parola ed è la qualità necessaria che rende infinita la creazione. Al silenzio è da attribuire ciò che la parola non dice. Nel silenzio abita la Poesia, ed esso è la Voce del Verbo impronunciabile, al quale si deve l’infinito intrattenimento: la brama di scrivere, con la quale si rinnova il sentimento unico dell’angoscia e della gioia. Il silenzio è la memoria della parola, è ciò che resta al di là del nome, del suono e dei significati. Alla nascita, le parole sono afone e amorfe, ancora avvolte nella membrana amniotica del silenzio. Esse sono i sogni dello s-guardo, prima di ricevere col battesimo della luce il loro nome, e fanno parte del nostro paesaggio interiore che contempliamo come la natura, quando essa ci parla nel silenzio che l’ammanta e ne esalta le forme e le voci. L’intimità profonda è l’eremo della scrittura. Qui nascono, con le visioni, le parole e le opere; qui la Bellezza se-duce col suo linguaggio i poeti e apre a questi romiti le porte del paradiso e lascia entrare, con la contemplazione, “ogni speranza” senza che essi si affidino al caso o temano il caos. Perché là dove c’è amore e bellezza regna l’ordine delle parole e delle cose, si distende un universo. Della Poesia è il merito di una simile grazia. Essa elegge i suoi poeti e li ama. E i poeti che cor-rispondono il suo amore, interiorizzano la sorgente di luce e riflettono con rinnovata coscienza sul mondo. Essere poeti è amare la Bellezza, sentirsi in sua prossimità oltre e fuori della scrittura, e nella sua distanza «farsi» prossimo dellaltro, avere cuore e cura per la salute del mondo. La Bellezza, che sulla via del sogno si concede allo s-guardo e lo innamora, si dilegua negli occhi incapaci di contemplarla, perché essa dimora fuori della vista nel regno dell’invisibile, e incanta i sensi con le diverse forme dei suoi simulacri arretrando, nascondendosi dietro la loro apparenza. E quando, di fronte a una “creatura” dell’Arte, gli occhi cedono allo s-guardo e si riempiono di stupore, allora accade il miracolo. Nell’epifania dell’opera “si mostra” la sacra visione, ed è il paradiso perduto: il sogno della scrittura. Nell’estasi, l’invisibile, l’impronunciabile, l’ineffabile Bellezza è il volto e la voce di Dio, ed è la Parola che ci chiama e che il Silenzio custodisce per la nostra dimora. Perché solo nella distanza incolmabile si aprono le porte del tempio; e allora ci è concesso di contemplare, parlare, creare, di abitare nella prossimità del canto e godere, tra una fuga e l’altra, dello splendore dell’ombra, del suo incessante spettacolo. Perché la scrittura è un cammino: l’andare così vicino e così lontano, alla radice del Verbo, sulla quale cresce coi sogni l’albero della visione, che mette rami e nuove fioriture. E queste sono le parole, le desinenze infinite e variabili, portatrici dei minimi significati, alle quali mai si consegna il Significato invariabile e assoluto, nemmeno in quegli istanti di grazia che sono le illuminazioni, sulla scia delle quali le angeliche parole, attratte dalla Poesia, migrano nel suo cielo per farsi specchio del suo canto. Con le parole ci eleviamo scendendo in profondità. E non c'è ascesa più agevole che nell'interiorità profonda, dove con la Bellezza tracima l’infinito e cresce con la visione la promessa del paradiso. Ma la mano che scrive non è in sintonia con lo s-guardo, che con l’udito sogna le parole; essa “disegna” sulla pagina un silente paesaggio, al quale danno anima e respiro le diverse interpretazioni che, sulla scia dell’autore, interrogano nuovamente il silenzio. Perché la scrittura è ascolto e visione; è interrogare e dare voce al silenzio, in cui parla, nell’assenza assoluta, la voce di Dio.

 

[1] «Bisogna avere il caos dentro di sé per generare una stella danzante», aforisma di Nietzsche, in La gaia scienza

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