Lucio Zinna recensisce “Oltre il sopravvivere” di Tommaso Romano (CulturelitEdizioni)

 
 
 
Lucio Zinna e Tommaso Romano
 
 
Tommaso Romano – scrittore, poeta, saggista e operatore culturale siciliano – narra, in questo ‘racconto lungo’, la storia «senza storia» di Marco Colonna, non ancora sessantenne, un uomo come i tanti che vivono lasciando solo delebili orme, facilmente vanificabili, specie di fronte al proprio «congedo finale». Tutto ciò, secondo le apparenze.
Perché poi, inoltrandoci nella vicenda e fino alla sua conclusione, si va scoprendo che le cose non stanno così. Emerge, a mano a mano, un assunto elementare, vale a dire che la vita, di Marco e di chiunque, resta vita e ogni vita ha il suo senso e la propria ragione di essere vissuta. E a conferirle senso e ragione è tutto (ma proprio tutto) quanto le pertiene, comprese le normali azioni, i gesti, le quotidiane situazioni e così via. Sono, ancora, con gli amori di Marco, la sua carriera (diventerà dirigente regionale), anche le varie «consuete cose, aperitivi, riunioni in casa, qualche gita e pochissimi viaggi» (p. 11), i suoi interessi per il jazz e per la lirica, per il teatro di prosa e le buone letture, specie di classici. (p. 12)
È il sottofondo del libro, il suo soffuso “sound”.
Nessuna vita, dunque, è qualsiasi. E in parallelo, nessuna storia è “senza storia”. Magari non sarà proprio un dono, la vita, non sarà tutta né per tutti, come si suol dire, ‘rose e fiori’, ma resta unica in ogni caso, per certi aspetti perfino miracolosa: un miracolo inesplicabile, nonostante tutto. Già, nonostante tutto.
Gli amori, dicevamo. Diversi, prima dell’incontro di Marco con Maria Selene, più giovane di lui (non ancora cinquantenne), compagna di un avvocato «alquanto antipatico a chi lo conosceva» (p. 26). Donna fascinosa ed enigmatica, «di razza sfuggente», (p. 27) con i suoi modi da «fenice bifronte». (p. 41) Non sarà una storia come le altre e lasciamo al lettore il gusto di scoprirlo.
Fino alla morte di Marco.
È vero protagonista del racconto non è Marco e non è nemmeno Maria Selene, come non lo è Alessandro, io narrante e personaggio. Protagonista è lei: la morte. È essa, per l’appunto, a significare, a sottolineare, che nessuna vita, al di là, come accennavamo, delle apparenze, è qualsiasi. Ogni vita, diciamo pure, spiega e giustifica sé stessa, in quel calderone che è l’esistere.
Anzi, dice l’autore: «Siamo tutti figli di un limbo minore, che ci è pure negato come tale». (p. 82) E proprio in questa dimensione limbica ogni morte diventa esclusiva e personale. Come esclusiva e personale diventa ogni vita. E l’una ha il senso dell’altra e viceversa.
«La morte ci accomuna?» si chiede Franco Lo Piparo, docente emerito di filosofia del linguaggio, in un finissimo intervento nelle battole di copertina.
E prosegue: «La morte di Marco Colonna è tutta sua come la mia sarà tutta mia. [...] E però nella morte ci riconosciamo uguali e universali.»
Un racconto da leggere, ma soprattutto da meditare. La lettura, accattivante, ne è solo, per così dire, un apripista.
 
da: "I Quaderni di Arenaria", Nuova serie n. XIX, Bagheria (PA), 2020
 
 
 
 
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