Nota introduttiva del curatore della prima edizione in italiano del “Tractatus pacis toti christianitati fiendae” (Trattato di pace per tutta la Cristianità), curato da Antonino Sala
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- Creato: 03 Aprile 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Pubblichiamo la nota introduttiva del curatore della prima edizione in italiano del “Tractatus pacis toti christianitati fiendae” (Trattato di pace per tutta la Cristianità) la prima proposta di Confederazione Europea scritto da Re Giorgio di Boemia tra il 1462 e il 1462. Il volume dal titolo “Ideazione per una Confederazione Europea “, curato da Antonino Sala, è una pubblicazione di cultureliteEdizioni.
Nota del curatore
Giorgio di Poděbrad, Re di Boemia (l’attuale Repubblica Ceca), quando salì al trono nel 1458 si trovò un regno diviso tra cattolici e hussiti[1], con vicini difficili come l’imperatore Federico III d’Asburgo e il papa Pio II, che considerandolo un eretico, tentarono di indebbolirne il potere in diverse maniere. Nonostante tutto il sovrano hussita cercò di consolidare il suo regno, sia negoziando con la Chiesa cattolica, tanto che nel 1462 ottenne la revoca della scomunica personale da papa Pio II, anche se non riuscì a far accettare pienamente la sua fede utraquista, sia tentando di creare i presupposti per porre fine alle continue guerre nel continente che erano fonte di instabilità e di tensioni politiche che si riverberavano anche in Boemia.
Nonostante il suo impegno nel 1466, papa Paolo II lo dichiarò lo stesso eretico e deposto, lanciando persino una crociata contro di lui guidata da Mattia Corvino, Re d’Ungheria, che invase la Boemia senza grandi successi visto che Re Giorgio gli si oppose con capacità dimostrando abilità militari notevoli. Proprio per questo il “il re hussita” o “il re dei due popoli” per il suo tentativo di conciliare cattolici e utraquisti oggi, in Repubblica Ceca, è celebrato come un simbolo dell’indipendenza nazionale e di resistenza alle aggressioni esterne. La sua visione politica, in particolare il Tractatus pacis toti Christianitati fiendae[2], che di seguito il lettore trova sia nel testo latino che in lingua italiana tratto da The universal peace organization of King George of Bohemia; a fifteenth century plan for world peace, 1462/1464 in cui si trova tradotto solo in francese, inglese, russo e spagnolo pubblicato a Praga dalla House of the Czechoslovak Academy of Sciences nel 1964 (in pieno regime comunista) grazie allo storico Václav Vaněček, lo rende una figura precorritrice del principio di cooperazione internazionale su base volontaria.
Il Tractatus pacis toti Christianitati fiendae, elaborato tra il 1462 e il 1464, si distinse nel panorama dei trattati del tempo, grazie ad un’audace anticipazione di concetti moderni di cooperazione e confederazione tra nazioni europee. Risente in qualche maniera del testo di Enea Silvio Piccolomini, Sua Santità Pio II, il De Europa (1458) in cui l’umanista e figura di spicco del Rinascimento, tenta di sensibilizzare i sovrani cristiani dell’importanza di unire le forze contro la crescente minaccia dell'Impero Ottomano, che aveva già conquistato Costantinopoli nel 1453. Nel testo Pio II parlando dell’Italia e delle sue guerre intestine, per esempio dice "quid prodest vobis, o Itali, inter vos pugnare, cum hostis ante portas stet?" (a che vi serve, o Italiani, combattere tra voi, quando il nemico è alle porte?) continuando con una esortazione all’unità dell’Europa perchè’ “si concordia regnet, nulla tempestas eam franget; divisa autem, velut navis sine gubernaculo, in procellis perebit" (se governata dalla concordia, non sarà spezzata da alcuna tempesta; ma divisa, come una nave senza timone, perirà nelle burrasche). In questo contesto si inserisce il tentativo del boemo ed come scrive lo storico Renzo Repetti in Eurostudium gennaio - marzo 2018 “il famoso e ambizioso progetto (...) era stato predisposto da re Giorgio in collaborazione con Antoine Marini e con il giurista umanista tedesco Martin Mair, e già presentato in diverse corti europee, in particolare Polonia, Ungheria e Venezia (...) e la sua importanza consiste nell’essere il primo progetto di costruzione di un'unione europea pensata quale organismo sovrano dotato di carattere internazionale. Si trattava, almeno in parte, di una più sistematica e ampia elaborazione condotta sulla scorta di un precedente scritto di Antoine Marini, titolato Memorandum/Propositum ad procedendum magnanime contra Turcum risalente al 1462.”
Mentre la maggior parte dei trattati dell’epoca, come il Trattato di Verdun (843), il Trattato di Tordesillas (1494) o il Trattato di Parigi (1259), si limitavano a risolvere dispute bilaterali, spesso territoriali o dinastiche, con un approccio reattivo e di breve termine, il Tractatus proponeva una struttura multilaterale volta a instaurare una pace universale e duratura tra i cristiani. Questa visione si allontanava radicalmente dalla prassi del tempo, dominata da accordi tra due parti e frequentemente mediati dall’autorità centrale del Papa o dell’Imperatore, per offrire invece un modello di unione tra stati sovrani e uguali, con un’enfasi sulla sicurezza collettiva e sulla risoluzione condivisa dei conflitti.
Rispetto ad altri trattati, la sua innovazione risiede nell’abbandono dell’idea di un potere coercitivo unilaterale imposto dall’alto a favore di una confederazione volontaria, in cui i regni avrebbero collaborato pacificamente. Viene infatti utilizzato il termine "congregazione" (in latino congregacio) con un’accezione specifica che riflette il contesto storico e politico del XV secolo, ma che al contempo anticipa concetti moderni di organizzazione collettiva. Non si riferisce a un’assemblea religiosa nel senso stretto (come una comunità di fedeli o un ordine ecclesiastico), bensì a un’entità politica e confederale, un’associazione strutturata di sovrani, principi e rappresentanti di stati cristiani, riuniti per perseguire obiettivi comuni, in particolare la pace e la difesa della cristianità. La "congregazione" è il fulcro del progetto di Giorgio di Poděbrady, un organismo multilaterale che riunisce i regni cristiani europei in un’alleanza volontaria. Nel testo latino, ad esempio al punto [16], si parla della congregatio nostra come un’entità con "ogni piena e libera facoltà" (omnimodam et liberam facultatem) di accogliere altri membri e di agire come un "vero corpo, università o collegio" (verum faciant, constituat et representant). Questo suggerisce un’assemblea deliberativa e operativa, con rappresentanti delegati dai vari regni, dotata di autorità condivisa. A differenza dei trattati temporanei dell’epoca, la congregazione immaginata da Giorgio non è un semplice incontro occasionale, ma un’istituzione duratura (perpetuis temporibus duraturam, come indicato nella premessa). Ha funzioni specifiche, come la risoluzione dei conflitti tra membri (punto [11]), la gestione della giustizia (punto [9]), e la difesa comune contro minacce esterne, come i Turchi (punto [13]). Il termine implica quindi un’organizzazione con regole, rappresentanti, e un sistema di voto (descritto al punto [19]), che la rende simile a un prototipo di confederazione o parlamento internazionale.
La congregazione si discosta dal modello feudale o teocratico dell’epoca, in cui il Papa o l’Imperatore esercitavano un potere coercitivo. Nel Tractatus, essa è un’entità orizzontale, basata sulla partecipazione paritaria dei membri, senza una supremazia assoluta di un’unica figura. La "congregazione" viene intesa come un’associazione politica strutturata, un’alleanza di stati sovrani che si riuniscono volontariamente per garantire pace, giustizia e difesa collettiva, con una chiara impronta istituzionale. È un termine che Giorgio e i suoi collaboratori (Antoine Marini e Martin Mair) scelgono per sottolineare l’idea di unità senza sudditanza, distinguendola dai modelli gerarchici del tempo.
Il Tractatus di Re Giorgio mirava a unire, non a dividere, anticipando le idee di integrazione che troveranno eco secoli dopo nella Pace di Westfalia (1648) ed infine nell’Unione Europea. Rispetto alla Pace di Cateau-Cambrésis (1559), che stabiliva un equilibrio temporaneo, il Tractatus si spingeva oltre, immaginando un’organizzazione permanente con meccanismi per la difesa comune, come contro la minaccia ottomana.
Come afferma lo storico Jan Kuklík in Czech law in historical contexts, Charles University in Prague, Karolinum Press, “può essere considerato un predecessore di progetti di aggregazione moderni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite o persino l’Unione Europea incluse”.
Sebbene non sia mai stato realizzato, il suo fallimento non ne sminuisce il valore storico; al contrario, esso testimonia la difficoltà di implementare un’idea così avanzata in un contesto di divisioni religiose e politiche. In questo senso, il Tractatus non è solo un tentativo non riuscito, ma un progetto intellettuale che prefigura il sogno di un’Europa unita, rendendolo un precursore unico nel mondo e un punto di riferimento per comprendere l’evoluzione del pensiero politico europeo.
Esso non si limita a brillare per la sua visione innovativa nel suo contesto storico, ma offre anche un’interessante visione, infatti prevedeva un’assemblea di stati sovrani, che avrebbero collaborato per il bene comune senza sottomettersi a un’autorità centrale assoluta, quindi né al Papa e né all’Imperatore. Mentre trattati come quello di Tordesillas (1494) si appoggiavano pesantemente all’arbitrato papale per dividere il mondo tra potenze coloniali, o il Trattato di Verdun (843) rifletteva una logica di spartizione dinastica senza ambizioni di cooperazione, il Tractatus immaginava invece un sistema in cui l’unità non derivava dalla sottomissione, ma dalla partecipazione paritaria e volontaria.
Questa visione confederale si manifestava nei dettagli pratici del progetto: si parlava di un’organizzazione strutturata con rappresentanti delle nazioni, regole per la gestione delle dispute e una strategia collettiva contro minacce esterne, come l’avanzata ottomana. A differenza della Pace di Westfalia, che secoli dopo avrebbe sancito la sovranità individuale degli stati senza però creare un’unione duratura, il Tractatus cercava di bilanciare l’indipendenza nazionale con un senso di appartenenza a una comunità più ampia. Questo lo rende un antenato spirituale delle moderne confederazioni, come la Confederazione Svizzera e le prime fasi dell’integrazione europea post-Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, la sua natura innovativa fu anche la sua condanna. Nel XV secolo, l’Europa era un mosaico di regni, ducati e città-stato gelosi delle proprie prerogative, spesso divisi da conflitti religiosi, specialmente dopo lo scisma hussita in Boemia, che aveva reso Giorgio di Poděbrady una figura controversa. Trattati, come quello di Parigi (1259), riuscirono perché si limitavano a regolare rapporti feudali tra due monarchie, senza richiedere un cambiamento strutturale; il Tractatus, invece, chiedeva un salto concettuale che l’epoca non era pronta a compiere. La sua proposta di ridurre l’influenza del Papa e dell’Imperatore, trasferendo il potere decisionale ai rappresentanti nazionali, era troppo audace per un sistema ancora ancorato a una visione gerarchizzata del mondo.
Fallì pertanto per una serie di ragioni sia politiche che religiose, che riflettevano le complessità dell’Europa del XV secolo. Il sovrano era un hussita, seguace della dottrina di Jan Hus, e questo lo pose in contrasto con la Chiesa cattolica. Sebbene il suo progetto proponeva un’unione di stati cristiani per garantire la pace e coordinare la difesa contro i Turchi, il suo rifiuto di riconoscere un ruolo centrale al papa gli alienò l’appoggio politico di parte dei sovrani cattolici e la sua idea di relegare il Papa e l’Imperatore a figure complementari, in favore di una confederazione di stati sovrani, fu percepita come una minaccia all’ordine tradizionale che gli altri sovrani avevano invece interesse a conservare.
Come infatti scrive Luca Girardi in Recensione a: Giorgio di Poděbrady, Tractatus pacis toti christianitati fiendae, 1462-1464, in Phenomenology and Mind il documento “costituisce un duro colpo ai principi della feudalità (il sovrano sarebbe stato direttamente responsabile delle azioni del suddito, ma questo implica una piena subordinazione di questo nei confronti di quello), il secondo limitava notevolmente la “sovranità” dei singoli “Stati”, intervenendo pesantemente nelle questioni ereditarie. (...) Risulta chiaro che le maglie di una simile organizzazione “internazionale” erano troppo strette per il papa e per l’imperatore. (...) La loro autorità sarebbe stata abbassata, rispettivamente, al livello di quella degli altri sovrani della nazione italiana e tedesca (per quanto, presumibilmente, dotati di una dignitas notevole).”
L’idea innovativa poi di un accordo multilaterale tra stati indipendenti e uguali nell’Europa del 1400, dilaniata da rivalità, diffidenze e conflitti tra monarchie, non poteva prevalere proprio perché la fiducia tra i sovrani era molto bassa e poi perché non erano disposti a collaborare in un’organizzazione permanente, temendo di perdere potere o di essere svantaggiati rispetto ai rivali.
E poi sebbene il progetto aveva anche l’obiettivo di coordinare una risposta comune contro l’espansione ottomana, molti stati europei erano però più concentrati sui propri interessi locali o su conflitti interni e nonostante la minaccia turca, pur reale, non fu sufficiente a unire nazioni con agende politiche diverse.
Nonostante il Tractatus delineasse un’assemblea di stati con rappresentanti, un sistema di voto e una forza militare comune, senza però offrire dettagli operativi su come implementare e finanziare queste istituzioni, il progetto rimase teorico e difficile da realizzare.
Eppure, è proprio in questo scarto tra visione e realtà che il Tractatus rivela il suo valore duraturo.
Come esempio di confederazione, non solo anticipava un’Europa di nazioni unite per scopi comuni, ma poneva le basi teoriche per superare il particolarismo continentale. Se lo confrontiamo con la frammentazione sancita dal Trattato di Mersen (870) o con l’approccio pragmatico della Pace di Cateau-Cambrésis (1559), emerge chiaramente come questo documento fosse una proposta totalmente diversa, un sogno politico che guardava oltre i limiti del suo tempo.
La sua eredità non sta nel successo pratico, ma nell’aver piantato un seme: l’idea che la pace e la prosperità potessero derivare dalla cooperazione volontaria tra pari, un principio che, sebbene irrealizzabile nel 1464, avrebbe trovato terreno fertile nei secoli successivi, fino a influenzare i moderni progetti di unità europea. In definitiva l’idea di Re Giorgio di Boemia è un manifesto di possibilità, un’eco del futuro nel cuore dell’Europa del 1400.
Antonino Sala
[1] Seguaci del teologo, filosofo e riformatore religioso boemo Jan Hus (circa 1370-1415) considerato uno dei precursori della Riforma protestante. Nato a Husinec, nella Boemia meridionale (attuale Repubblica Ceca), studiò all'Università di Praga, dove divenne sacerdote e successivamente rettore. Influenzato dagli scritti di John Wycliffe, Hus si oppose alla corruzione della Chiesa cattolica dell'epoca, criticando il lusso del clero, la vendita delle indulgenze e l'autorità assoluta del Papa.
Sosteneva il ritorno alla semplicità evangelica Sosteneva, che la Chiesa dovesse basarsi sulle Scritture e non sulle tradizioni umane, che solo Cristo fosse il vero capo della Chiesa, non il Papa, e che i fedeli avessero il diritto di mettere in discussione le autorità corrotte. Promosse l'uso del ceco per rendere la religione accessibile al popolo, anziché limitarla al latino. Chiese al clero di vivere in povertà e umiltà, seguendo l'esempio degli apostoli. Queste idee lo misero in conflitto con la Chiesa cattolica. Nel 1415 fu convocato al Concilio di Costanza per difendersi dall’accusa di eresia. Nonostante gli fosse stato promesso un salvacondotto, fu arrestato, processato e condannato al rogo il 6 luglio 1415. La sua morte ispirò il movimento hussita in Boemia, che portò a guerre religiose e a un'eredità di resistenza contro l'oppressione ecclesiastica. Jan Hus è ricordato come un martire e un simbolo di lotta per la libertà di pensiero e la riforma religiosa.
[2] Il testo del Tractatus, sia in latino che in italiano, con alcune modifiche del curatore, è stato possibile pubblicarlo grazie all’intervento guidato di Grok, l’intelligenza artificiale generativa sviluppata da xAI.