Riccardo Santarelli, “Tutto secondo gli accordi”, Eretica - di Lorenzo Spurio

 

 

Riccardo Santarelli è nato a San Giovanni Rotondo (FG) nel 1988; attualmente vive e lavora a Pescara. Quale poeta ha pubblicato le raccolte Frammenti di Anti-Quotidianità (2009), Il verso della sorgente (2016) e il recente Tutto secondo gli accordi (2022). La succinta nota bio-bibliografica che nella quarta di copertina chiude il suo ultimo volume ci informa che, oltre ad essere poeta, è anche musicista, aspetto richiamato dal titolo dell’ultima raccolta che, appunto, parla di “accordi”.

La puntuale introduzione, curata dal medesimo Autore dopo una lapidaria dedica della silloge al professore Giancarlo Quiriconi, anticipa un po’ questa intenzione dell’autore, figlia di un procedimento spontaneo di versare, tra poesia e musica, tra verso scritto e sonorità, forme testuali da lui concepite nel corso del tempo: “Decisi che il titolo di ogni poesia dovesse essere un accordo. […] Io non ho studiato musica; è lei che ogni giorno mi scruta e mi chiede che cosa io abbia in mente” (9).
Sfogliando l’agile volume, contenitore di liriche piuttosto brevi e dal verso veloce, scorrono via via pensieri, circostanze emozionali, riflessioni e momenti di approfondimento introspettivo dell’io lirico. La titolazione delle stesse, come chiarito da Santarelli, non è altro che una sonorità racchiusa in una nota specifica. L’andatura del verso incede in maniera piuttosto fluida, sembra davvero che l’Autore, poesia dopo poesia, costruisca una melodia attenta, frutto delle campiture emozionali della sua presenza nel reale.
Alcuni estratti da citare, seppur decontestualizzati dalla lirica ai quali appartengono, sembrano a questa altezza senz’altro più pertinenti per cercare di avvicinarsi alla poetica di Santarelli che tra visuali veloci, scorci prospettici di varia natura e inclinazioni verso un intimismo accentuato sembrano offrirsi al lettore più come possibili tracce, vaghi appunti, frammenti di un discorso in qualche modo già aperto in un prima a noi sconosciuto, proiettandosi – nel tempo della lettura – in una considerazione costante e cosciente del presente.
L’Autore individua, come afferrandolo all’impronta, in momento cruciale che produce un cambiamento inarrestabile e in nessun modo pronosticabile (“l’improvviso mi coglie”, 15), conscio che la natura umana sia in qualche modo ammorbata da forme non meglio definibili se non con parvenze d’ipocrisia (“bugia del corpo”, 29) che non celano il dramma esistenziale (“triste innocenza”, 24). C’è spazio – seppur in forma assai più minoritaria – per planate motivate da un accento etico-civile, di riflessione umana e concreta come quando scrive: “L’orto del coraggio / è invaso dalle erbacce, / distrutto dalle piogge / […] / produce ancora / cibo commestibile” (20). Finanche indagini, enigmatiche quanto inconfessabili, attorno alla fede: “La religione afferra / i dubbi per i capelli, / forzando le bocche” (32).
Santarelli è anche coniatore di neologismi come accade nella lirica “Re” dove, in chiusura, leggiamo quale verso conclusivo “in sconfinata espedienza” (40). Con un’opportuna nota in calce l’Autore chiarisce che si tratta di un “misto di espedienti ed esperienza”, vale a dire una sorta di conoscenza rabdomantica, una formazione frugale, un’introduzione al mondo forse scaltra nei modi ma efficace nei contenuti.
Varie pagine bianche si trovano in posizione finale del volume e pare di credere che queste non siano il risultato di una mera decisione editoriale (quella di chiudere ottavi di pagine opportunamente cucite per l’edizione) quanto, forse, per consentire al lettore di prendere appunti, fermarsi a riflettere, indagare sulla natura delle parole di Santarelli, permettere un confronto e instaurare nella mente del lettore, spesso disattento quando non addirittura annoiato (ma non sarà questo il caso), di maturare una sua riflessione, ipotizzare un prolungamento, o fornire un feedback automatico alle tracce che l’Autore, quali sementi preziose, ha interrato qui e là durante il suo percorso scrittorio.
 
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