“Romagnolo, un litorale vivo nella memoria” di Ciro Lomonte

 

La brace sotto le ceneri

Per la rinascita di Palermo occorre uno sguardo limpido e innamorato, di persone che rimangano giovani dentro, fino all’ultimo respiro della loro vita. Lo stesso sguardo di Letizia Lucchese Maggio, una coraggiosa palermitana del 1926. Uno sguardo ben diverso da quello arteriosclerotico delle Giunte comunali che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi, asservite a logiche clientelari di poche famiglie egemoni.

Non è che dal 1816 in poi – dopo la soppressione del Regno parlamentare di Sicilia – fosse tutto rose e fiori, dati gli obiettivi coloniali e omologanti del Regno delle Due Sicilie prima e di quello d’Italia dopo. Però sopravviveva ben radicata una cultura del governo del territorio che aveva consentito abitualmente di rispettare l’orografia della bellissima Conca d’Oro e di produrre capolavori architettonici almeno fino agli Anni Trenta, gli anni di cui scrive Letizia Maggio nella sua seconda fatica letteraria. La Commissione Edilizia era molto rigorosa a quei tempi, vigilava meticolosamente sulla qualità degli edifici e sanzionava severamente chi si avventurasse in scelte di cattivo gusto. Solo il Piano Giarrusso aveva rappresentato fino ad allora un tradimento sfacciato – con la barbarie tipica imposta dai lumi alla realtà – degli armoniosi principi di espansione di una delle città più belle del mondo.

 

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