"Tommaso Romano in "Poeti in e di Sicilia" (Ed. Prova D'Autore)" di Mario Grasso
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- Category: Scritture
- Creato: 18 Agosto 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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a cura di Mario Grasso
Cominciamo dando la parola allo stesso Poeta: “La solitudine mi è compagna, così come la Poesia e in lei mi rifugio e mi indago interrogando la mia anima (...). L’arte, l’editoria, gli studi di estetica, ogni strada ho percorso cercando di superare il mio tempo, rompendo gli schemi. Hilman e Marinetti, Zoja e Vico, San Tommaso e Guénon, Evola e Nietzsche, Seneca e Platone, tutto in me si mischia e lavora edificando nuove strade di conoscenza. Mi nutro di libri, del loro odore; compagni di viaggio, amanti da accarezzare amorevolmente in un incessante andare. E su pagine sapienti di storia, ascolto le note di Mahler, Haydn, Brahms, Dvorak nel lento procedere della mia esistenza...”. Quindi riportiamo dallo stesso volume (AB INITIO a cura di Francesco M. Scorsone) una fulminante scheda d’identità dello stesso Romano, scritta da Giusy Lombardo: “In Tommaso Romano il rapporto con l’arte in tutte le sue espressioni - dalla pittura alla scultura, dall’achitettura alla musica - è destato da una compresenza costante e sorprendente con la sua stessa esistenza. Infatti, accanto alla pratica della poesia intesa come universo veritativo, alla ricerca storica e letteraria, alla saggistica, alla cura delle biografie e alla narrazione, l’arte pittorica è sempre stata centro di riferimento per l’intellettuale palermitano (...)”: “l’anima veglia / e senza alcuna fretta / scruta e rimanda / ancora la consuetudine / all’aurora / sempre colma di speranza (...)”. Ed ecco l’ouverture del canto lirico di un poeta che colma di significati i segnali del proprio pellegrinare umano. Lo citiamo ma potevamo rinviare ai versi senza ripetere l’incipit di questa scuotente occasione che ci ha elargito Tommaso Romano, inedita e coeva rispetto, alla nostra richiesta. Ma volevamo dare ulteriori evidenza al momento conclusivo di questa stessa silloge, intanto esclusivamente destinata a “Poeti in e di Sicilia”, quando la Veglia dell’Anima, ritorna per un suo composto svolazzo di saluto conclusivo: “(...) Il solitario che veglia / alla pena / senza apparente speranza.” E allora avremo inteso bene quanta realtà preme in consapevolezze nel poeta che con questa sua ennesima prova, porge un saluto dal treno in corsa della Letteratura come vita, e quindi della poesia come diagramma dell’Anima. Tommaso Romano scrive da sempre per gli scaffali alti, ma la sua formazione cristiana di straordinaria solidità, rimane costantemente protetta dalla altrettanto prudente scelta dell’Autore, il quale non alza mai la voce, non formula locuzioni parenetiche, ma ricorre allo sgomitare delle proprie umane ansie esistenziali per raccontarsi, ed esorcizzarle, per dire a ciglio asciutto, anche quando il vibrare subliminale è pianto.
È l’algebra della scrittura creativa di un grande poeta, quella di trasformare un grido dettato da sconforto in carezza lirica di speranza, che la poesia trasforma in teorema di vita. Orbene, si terrà presente che Tommaso Romano è uomo di scienze e di scienza e si terrà presente la sua militanza nella realtà sociale del proprio tempo con alte cariche di responsabilità, gestite con specchiata trasparenza, dedizione umana e competenza. Ma si terrà presente per potere aggiungere ai valori del docente, del letterato, del pensatore, come del politico pronto al servizio sociale come missione, una nota che torna a esclusivo vantaggio della ricchezza della sua poesia. E si tornerà a quella “consapevolezza” che è il sostrato del tutto, di cui il poeta scopre i chiodi insanguinati, con metodo spontaneo e maieutico a favore della speranza, contro ogni schiamazzare di paure, vanità, tragedie e turbolenze: “I sepolcri, poi, / hanno destino certo: / disinumati dopo un soffio / per civica ordinanza; / neppure la livella / - mio caro De Curtis - / regge l’equilibrio della morte / a chi i monumenti / a chi, forse, / gli ossari sbriciolati”.