Profili da Medaglia/3 - "Gianni Allegra" di Tommaso Romano

Nato a Palermo nel 1935, morì a Casteldaccia nel 1989.

Laureatosi all’Università di Napoli, fu docente di Letteratura Spagnola all’Università di Perugia. Collaborò ai “Vespri d’Italia” di Alfredo Cucco, alla “Fiera letteraria”, all’“Estafeta literaria” di Madrid, a “Sacro e Profano”, a “Intervento”, “La Torre”, “La Destra”. Fu critico di letteratura ispanica e ispano-americana del quotidiano “Il Tempo” di Roma. Autore di uno studio su de Maeztu, nonché di un’edizione annotata con testo catalano dell’Ordine della Cavalleria di Raimondo Lullo, scrisse pure i saggi Note sul romanzo picaresco e La vigna e i solchi, la sua opera più matura.

Gianni Allegra fu un punto di riferimento nella mia crescita culturale e politica, Amico leale, di forte tempra umana e spirituale, di grande cultura, un faro capace di vasti orizzonti.

Da Perugia e poi da Macerata tornava sovente a Palermo a trovare vecchi e nuovi amici, tra cui Alfredo Montini e Pier Luigi Aurea, risiedendo nella sua bella villa di Casteldaccia, dove fui ospite e dalla quale ripartiva per improbabili serate al “Mirage” per incontrare gli Amici di gioventù, in particolare Guido Lo Porto, Pippo Tricoli, Gianfranco Latino, Mimmo Campisi, Narciso Lo Cascio. Troppo presto, attraverso un doloroso calvario, si compì il suo luminoso tragitto terreno, aperto certamente all’Eterno, lui che si considerava cattolico ghibellino, evoliano e “figlio del sole” in gioventù, in una «brigata pensosa, beffarda e provocatoria», come la definiva Tricoli.

Alla ricerca storica, metastorica e letteraria dava la più grande importanza per far emergere, scriveva, l’«essenza immutabile dell’uomo, quel nucleo di conoscenza che conduce alla contemplazione».

la sua hispanidad si coniugava ai motivi forti e pregnanti del tradizionalismo spagnolo, improntata a una visione “nobilmente tragica della storia”, intesa come “confutazione della concezione materialistica”, che aveva segnato in positivo la Spagna rispetto all’attuale triste epilogo, come nel resto dell’Europa intera.

Allegra non era soltanto un filologo erudito, ma molto di più.

Come scrisse di lui il suo fraterno Amico Tricoli, «mirava a ricostruire, sia pure con le differenzazioni derivanti dalla diversità delle esperienze storiche e delle tradizioni culturali nazionali, ma anche con le reciproche influenze, con gl’intrecci che scaturivano dalle comuni matrici ideali, la dimensione europea del pensiero, della letteratura, della poesia del tradizionalismo».

Per queste ragioni ideali e culturali, Allegra ebbe chiaro l’obiettivo, come dichiarò, di «affrancare la storia dall’impeto passionale e fatale che guida la pura materia di chi saprà adoperarsi affinché l’ordine dell’universo sia ristabilito», intanto restando fedele, come fu per tutta la sua vita, ad affermare la continuità nella Tradizione.

In un bellissimo articolo in memoria, pubblicato in quella terza pagina di “Idee” del “Secolo d’Italia” (quotidiano che pure vide la mia firma acerba e di cui si comincia appena ad apprezzare il nodale contributo culturale), Giuseppe Tricoli così liricamente e mirabilmente ricordò, l’8 Agosto 1989, a pochi giorni dal terreno trapasso, l’antico e venerato Amico: «Ha dettato le sue ultime volontà testamentarie alla moglie, ai figli, alla sorella, alla vecchia madre, ha loro testimoniato ancora l’amore con i ricordi dell’esistenza, poi è andato incontro alla morte recitando in castigliano alcuni versi del mistico spagnolo San Juan de la Cruz, che esprimono l’unione dell’anima con Dio, e replicando al sacerdote, con voce limpida e ferma: “Sempre, con il Signore”. Un leggero reclinare sull’omero del volto sereno e quasi trasfigurato da nuova luce ha segnato l’incontro di Giovanni Allegra con Dio, ha confermato, nel momento più solenne del nostro destino di uomini, la sua attitudine spirituale, la sostanza dell’impegno nella cultura tradizionalista». Una visione del mondo e della vita che Allegra sostanziava con fede e che però «supponeva un mutamento di mentalità, un impiego degli strumenti speculativi rivolti presocraticamente non alla costruzione di teorie conoscitive, ma alla conoscenza medesima quale stato implicante una liberazione», come Gianni stesso lucidamente scrisse, sulle orme di un pensiero che si era sempre fatto azione coerente e coraggiosa, a partire dalla militanza nelle organizzazioni giovanili missine e poi nel FUAN del Liceo e dell’Università, insieme ai martiri colpiti da vile mano mafiosa, Paolo Borsellino ed Enzo Fragalà. A quest’ultimo è stato giustamente e recentemente restituito onore di avvocato e di servitore dello Stato, ma chi scrive chiede ora, per lui, al Capo dello Stato la Medaglia d’Oro al valor civile.

Allegra fu esponente della rinascita negli anni Sessanta del Tradizionalismo italiano. Amico del napoletano “borbonico” Silvio Vitale e pure di Piero Vassallo, Gabriele Fergola e Mordini, fu ispanista non soltanto accademico, autentico Hidalgo della Hispanidad, e tenne vivi e fruttuosi contatti con la cultura e il mondo tradizionalista e carlista, principalmente con gli studiosi di Donoso Cortes e con Francisco Elias de Tejada e la sua scuola (tuttora fiorente), proprio nella Spagna ancora falangista e franchista, dove sovente, per studi, specie a barcellona si recava.

Con Paolo Caucci, Giorgio Cucentrentoli di Monteloro, Orazio Sbacchi, Renato del Ponte, Maurizio Di Giovine, Umberto Balistreri e Salvatore Tringali partecipò da protagonista al I Congresso dei Tradizionalisti Italiani di Firenze nel 1972, da me ideato e voluto.

Alla “riva destra”, soprattutto con la fervida attività della Fondazione Gioacchino Volpe, non mancò mai di dare un intelligente e qualificato apporto, con testi esemplari e prese di posizione, rappresentando il suo pensiero e la sua azione, in alcuni casi, davvero una sorta di segnavia, come direbbe Heidegger.

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