Tommaso Romano, "La Casa dell'Ammiraglio" (CulturelitEdizioni) - di Marcella Laudicina

“Tutto sembrava per sempre, statico, in qualche caso immobile da secoli, fra i mille abitanti inanimati della casanima dell’Ammiraglio. Sculture in marmo, terrecotte centenarie, la più fine porcellana, antichi gessi, calchi e legni scolpiti, facevano corona a quadri, stampe, arazzi e disegni, parte questi di un paesaggio che pullulava di mobili e oggetti concepiti, fatti e posizionati per essere guardati, scrutati, ammirati insieme ai tappeti che avevano vissuto, come i merletti, la loro lontana tessitura.”
Così inizia il nuovo romanzo di Tommaso Romano che ha come protagonista un personaggio abbastanza singolare, conosciuto da tutti come l’Ammiraglio e   che può considerarsi per vari aspetti l’alter ego dell’Autore.
L'Ammiraglio, era nato ad Amalfi. “Ancora giovanissimo la sua famiglia - economicamente e socialmente agiata - decise di trasferirsi nella capitale siciliana, dove, peraltro, stanziava da secoli una piccola colonia di amalfitani, fra cui alcuni lontani parenti.”
L' Ammiraglio aveva solcato tutti i mari del mondo ed era ormai giunto alla non agognata messa in riposo dalla Marina Militare dello Stato. Maestoso, sempre impeccabile ed elegante, come un dandy d’altri tempi, era ritenuto da qualcuno un anaffettivo per il suo apparente disinteresse per la persone, fatta eccezione per alcuni   eletti sodali amici. Era ritenuto un amante del parlare in pubblico per le sue numerose  conferenze che veniva invitato a tenere per le sue specifiche competenze, In realtà lui amava la solitudine e la meditazione, ma non lo dava a vedere. Evidente  era la sua grande passione  per gli oggetti, quella. che gli aveva fatto “studiare la psicometria, disciplina che indaga la capacità di captare vibrazioni inconsuete attraverso il contatto con gli enti materiali”. Passione che si era concretizzata  nella sua amatissima collezione che aveva la sua sede principale in una decina di stanze della sua,  da lui stesso denominata,  “casanima”,  un palazzetto liberty in centro, ereditato da un caro zio.
Dall’età  di tredici anni in poi “la ricerca dell’oggetto raro, insolito ed elegante divenne la sua lieta occupazione, paragonabile  alla ricerca di un laico graal.” Ciò avvenne dopo avere visitato, con i suoi genitori  il Vittoriale, ultima  dimora del vate D’Annunzio.
Il collezionare oggetti fu per l’Ammiraglio una vera e propria “ricerca della bellezza quale sostanza dell’infinito, della grazia e dell’armonia”. Per lui il bello, come per Platone, coincideva con il buono, il giusto, il vero. e, come per  Dostoevskij, anche per lui, l’uomo non avrebbe potuto mai fare a meno della bellezza.
Il suo piacere più grande, come lo era stato per il vate, consisteva nella  scelta di un oggetto al fine di dare luogo, mescolandolo con gli altri, con stile personale, ad una vera e propria “creazione” nella quale armonicamente convivevano, come nella sacra dimora dannunziana, "passato e presente, tradizione e innovazione, finzione e realtà.” Lo stile dei vari oggetti era in prevalenza Liberty, ma erano presenti anche oggetti di altri stili ed epoche. La sua predilezione per il liberty da lui ritenuto “la cristallina fonte della bellezza”, nasceva dal suo sentirsi irresistibilmente attratto dall’armonica sinuosità delle sue linee e delle sue forme  che gli evocavano atmosfere di rara sensibilità, dolcezza e sensualità.
Anche la casa che condivideva con la consorte e la ex cantina della sua Colonia agricola, accoglievano oggetti di pregio ed ereditati, e anche oggetti legati alla tradizione e ai suoi cari.  Niente però poteva paragonarsi per l’Ammiraglio alla sua “casanima”, che rimase, nel tempo, “il luogo in cui l’esistenza” prendeva “un vero senso”, per lui che l’ha nel tempo costruita liberamente a immagine di un suo ideale superiore di armonia e perfezione. 
Gli oggetti, scelti con  estrema perizia, lo avevano aiutato nella costruzione di sé, della sua autocoscienza, insieme ai tanti libri letti, di filosofia e letteratura che comprendevano  Nietzsche, Heidegger, i classici latini,  Leopardi,  Pascoli, Lucini, Ardengo Soffici, Byron, Flaubert, Huysmans,  Xavier de Maistre e tanti altri.
Egli sentiva la necessità, secondo le parole di Hegel, di “abbandonarsi alla vita dell’oggetto” e per tale motivo ne ricercava le origini e l’autore che l’aveva realizzato e “amava ricapitolare - soggiornando di volta in volta in una delle stanze che sceglieva secondo gli umori e gli interessi - la storia di ogni oggetto.”, ivi compresi il suo ingresso e l’accoglienza amorevole.
L’Ammiraglio era convinto che il dialogo segreto con gli abitanti della sua casanima, che intratteneva spesso per ore, fosse nient’altro che un solitario” monologo” e  mai avrebbe pensato alla possibilità  che essi gli rivolgessero la parola.
Ciò accadde per la prima volta con Cometa, il busto di una bambina che studia con libro,  quaderno e matita, scolpito qualche secolo fa   e regalatogli da una cara amica.
Cometa, con voce decisa e cristallina gli rivela che lei e tutti gli abitanti della casanima si sentono da lui amati e lo amano per quello che è e non per quello che potrebbe essere. Con il suo amore egli è riuscito a trasfondere l'anima alle cose e per suo merito tutti loro sono ora “sostanza viva della bellezza”. Sollecitati da Cometa,  gli altri abitanti esprimono le loro opinioni, che tendono a ritenere la società attuale  fortemente dispersiva dei più alti  valori
Dopo questa e altre esperienze straordinarie, che ritiene frutto di allucinazioni, in quanto in lui la voce della ragione era stata sempre presente, l’Ammiraglio decide di   rivolgersi a un vecchio prete, teologo nella locale Facoltà, che lo tranquillizza riguardo alla veridicità di queste sue esperienze. Trasferitosi   per qualche giorno in campagna, nella  Colonia agricola, ode, nella Cappella  la voce proveniente dalla statua della Madonna che lo rassicura del fatto che la sua esperienza è reale. Comprende, dalle parole della Vergine, di “essere stato investito da una speciale grazia, da un dono divino, da un talento singolare, grazia, dono e talento, per salvare dal naufragio definitivo quella minuscola memoria del mondo che aveva pazientemente e con amore, raccolto” e che, anche se in piccola parte, rappresentava un emblema della bellezza e dei valori ormai in via di estinzione .
Tuttavia,   l’Ammiraglio è alla ricerca di ulteriori risposte ai suoi dubbi e in ciò lo soccorrono  il professore Bellanti, un vecchio professare cultore di esoterismo, e il domenicano, padre Nuaranti, anche lui esperto di pratiche esoteriche. Entrambi lo rassicurano del fatto che le sue esperienze non sono da ritenersi impossibili.
Decisiva per la sua finale presa di coscienza è la visione trasfigurata dell’Angelo di porcellana, regalo di battesimo, allontanatosi momentaneamente dal bimbo inginocchiato ai suoi piedi che proteggeva. Ora quell’Angelo stava dinanzi a lui sempre con in mano la sua lanterna, che però non emanava più una tenue luce notturna, ma una luce vivida, quasi accecante.
L’Ammiraglio, improvvisamente consapevole, dice: “Ho compreso che lo Spirito soffia dove vuole, ho visto lo straordinario, ho sentito le voci dell’anima che in voi hanno avuto l’Eco della comprensione e della compassione anche per me, in queste stanze che tanto ho amato e amo.”
Si è ormai convinto che le cose della casanima  sono costituite da materia e anima. Da loro  si sente amato  e protetto ed è sicuro che saranno  sempre con lui, insieme agli Angeli, anche dopo la sua morte, in quanto la sua anima è iscritta nel Cosmo.
Scritto magistralmente, con ben calibrate notazioni psicologiche, letterarie e filosofiche, il romanzo “La Casa dell’Ammiraglio” completa la trilogia iniziata da Tommaso Romano con “L’età dorata” e “Oltre il sopravvivere”
La trilogia può essere interpretata come la storia di chi, all’inizio della sua esistenza, ha una vita beata e ricca di sogni da realizzare, Nella maturità  rischia di incagliare nella trappola della vita non autentica, fatta di mera sopravvivenza. La sua “casanima”, gli impedisce però di farsi sopraffare “dalla noia, dal  consueto e dalla prudenza, propria dei pavidi.” . Si sente “fra i pochi superstiti partigiani della bellezza e dell’aristocrazia dell’anima, anzitutto”.  Approda così ad alte mete,   divenendo  messaggero e tramite del Bello, del Buono e del Giusto, cercando in tal modo di ricucire, lo strappo tra ideale e reale.
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