XXXVI Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Ormai uniti in matrimonio, Stefania ed io, tornammo a Roma. Insegnavo, scrivevo, Stefania dormiva, riposava, si dedicava al gatto, gatta, piuttosto, di razza persiana, occhi micidiali, panterosa, pelo corto marrone-giallo, quando in calore si sfregava la cosa strisciando , sguardo vitreo, al piano superiore un persiano, gatto, con miagolio baritonale laddove la nostra ululava, e per giornate ne udivamo questo disperato non compiuto richiamo . Dopo un viaggio in India e Nepal denominammo la gatta Yogananda Pisellanda, davvero oscena,  strisciava voluttuosamente tutta mosse. Era anche una assassina. Uccise una gatta malaticcia che era venuta da noi ,  la fulminava, ed un giorno trovammo la gatta stecchita. Credo uccisa. Yogananda Pisellanda  di gelosia scimmiesca,  quando viaggiavamo tornando non ci  salutava, coda in alto e sguardo neutralizzato, ma  poi diventava una sciarpa, mi restava addosso ore, e con Stefania conviveva, dove c’era lei  c’era la gatta. Io avevo avuto una scimmia, Pepè, capace di una dedizione che, si incarnasse negli  umani darebbe felicità universale, l’amore fatto scimmia, soffriva soltanto se non amava, se le impedivo di amare, mi stava tra collo e testa giornate, ed al segno di liberarmene scatenava strepiti, infuocava il visetto striminzito, affliggeva lo sguardo, difficilissimo  staccarla. E del resto, perché? Era la devozione fedele. La sua morte è tra le morti dei miei parenti.
Stefania cercò al principio di rendersi moglie all’antica. Se io uscivo per andare a insegnare, si alzava e mi preparava la colazione, non sempre i domestici dormivano da noi. Credo che mi apprestò la colazione qualche settimana. Dopo si snervò, e restò a dormire. Bene così, non vi era necessità che si destasse. Ma la faccenda non era dovuta al sonno. Stefania si stancava con eccessiva  immediatezza, troppo, troppo a letto,  ombrosa nelle percezioni, come in sospetto di inganni, soprattutto incredibilmente avara ed  avvintissima al suo. Prima che ci coniugassimo, scorgendo mobili buttati nel suo garage le avevo domandato se poteva prestarmeli,  rispose che lo avrebbe fatto ma assolutamente dovevo restituirli se finiva il nostro rapporto. In altra occasione , avendomi accompagnato per ricevere un assegno da un editore, mi chiese quanto avevo  ottenuto, le  numerai una cifra alquanto minore della realtà, non so perché, volle conoscere l’assegno, e avvedendosi della cifra diversa mi continuò ad esigere ragioni di quella alterazione, con toni diffidentissimi e sguardo dubitante. Ma era nei ristoranti che esibiva il più convinto rifiuto a spendere, andiamo al ristorante, decideva, ti offro una cena  (nei costosissimi locali dei Parioli), andiamo, e dimenticava di avermi invitato. Ma queste sono peripezie di scarso rilievo. Era il possesso su di me il segno dell’avarizia. Ogni istante che non stavo con lei lo sentiva come perdita, sottrazione. “Che fai scrivi?”. Mi veniva a trovare, mi guardava battere a macchina, restava in silenzio  qualche minuto, poi mi chiedeva:”Perché non mi fai compagnia?”. Eccola, alta, dal piccolo volto ben curvato, signorile, i capelli nerissimi sciolti, gli occhi marroni con qualche mostra di incupimento,  il corpo ampiamente femminile, le mani leggere, strette , lunghe, morbide. Mi alzavo, le prendevo la fragilissima mano , il corridoio, la camera da letto dagli schienali azzurri, dalla finestra vedevo Roma, Stefania si poneva nel letto, io in una poltroncina accanto sempre a stringerle la mano, così, pomeriggi e pomeriggi. Avremmo potuto  avvincerci, ma purtroppo, purtroppo  Stefania aveva qualche complicazione  che lo impediva. E fu l’inizio delle montagne e dell’abisso.
Se non dormicchiava, o dormiva diceva  quel che desiderava. La campagna, voleva stare tra alberi e ruscelli, caprette e gatti, ma certo, avrebbe acquistato una villa, gliene offrivano , settecento milioni,  nel 1981,terreno, tante stanze, aria respirabile, cieli purificati, per la sua salute, ne aveva bisogno, natura, natura, ed io sarei stato con lei, una stanza tutta per me, passeggiavamo nei boschetti, e forse avrebbe avuto un figlio, o lo avremmo adottato, vero che l’avremmo adottato(le stringevo la fragilissima mano)? La vedevo sorridere, appena, mi guardava, sempre dubitante, come se per lei niente di sperato si sarebbe adempiuto, no, no, stavolta era possibile che i desideri si affermassero, mi guardava, io dovevo essere l’artefice delle sue speranze, mi stringeva la mano e spesso si addormentava, confortata nella fiducia. Io ero in regola,  il coniuge,  sano, alto, ben fatto, tutti le dicevano che stava infine nel giusto, non con uomini inopportuni, poteva dormire, io sarei stato accanto a guardarla, amarla, proteggerla. Avevamo tutto. Ricchezza, cultura, prestigio, viaggiavamo nel mondo… Cerco di svincolare la mia mano e recarmi a scrivere. Stefania si desta, un’occhiata incerta, comprende che vorrei andarmene, mi chiude la mano. E’sera, tempo, il mio tempo, la mia ricchezza, niente, perduta, Stefania mi prendeva la vita nel mentre sognava la sua possibile vita felice. Divenni un uomo sequestrato, per amore, per quella specie d’amore che stringe tanto da soffocare.
Eppure lavoravo strenuamente, ogni grammo di tempo lo utilizzavo. E l’incubo di non poter scrivere accresceva la volontà e l’uso del tempo. In quel periodo scrivevo su Il Tempo, La Gazzetta del Sud, Pagine Libere, Prospettive nel Mondo, pubblicai addirittura le biografie di Marx(1983), di Nietzsche(1985), di Freud nelle magnifiche edizioni di Salvatore Dino, non so quanti libri pubblicai con Spirali, di Armando Verdiglione, scrivevo sulla Revue Internationalq de Sociologie, della Facoltà di Statistica, sulla rivista Lo Spettacolo della SIAE, il tutto come un ladro, furtivamente, giacchè la maggior parte dei giorni ero in quella camera, a tenere la mano di Stefania, che si svegliava se  tentavo di sciogliermi. Ed io rimanevo, mentre il pomeriggio diventava sera.
Non saprei dire quando cominciai a rendermi un marito infedele. Avevamo avuto una domestica bruttissima, stecchita, ma qualcuno era stato capace di intimizzarla, addirittura la ingravidò, un fenomeno. Stefania  l’accompagnò per  la eliminazione del malfatto. E  la domestica credo addirittura si matrimoniò con il fecondatore. Sostituita da una carnosissima ragazza, promessa di un poliziotto. In quel frangente Stefania ebbe traversie,  e qualche giorno, alcuni giorni si stabilì nella famosa clinica Mater Dei, ai Parioli. Io restai con la rigogliosissima domestica, la quale riceveva il promesso sposo, che poi usciva. La domestica si vestiva appena, si coglieva che oltre l’abito c’era il corpo, ne scorgevo le polpose gambe, la prorompenza dei seni, il colorito rosato della pelle che doveva essere gradevolissimo lisciare , insomma…La fanciullina con aria ingenua chiedeva il mio aiuto nel salire la scaletta, e salendo io guardavo dal basso in alto, e non ero cieco,lei sventagliava le gambe come a prendere aria intima, io tanto per dire , le dissi di stare avveduta nei rapporti con il suo ragazzo, non le accadesse quel che era accaduto alla domestica anteriore, la ragazzona imporporava  non cessando quella apertura  carnea sulla scala mentre io la fermavo, la scala, e guardavo in alto. Nella discesa la veste si impigliava e la scopriva. Il corpo, che vale quanto l’anima, tatto, colore, odore, consistenza, e tutte le trovate del corpo femminile attrattive per il corpo maschile, la dualità così ben riuscita della Natura, fatti l’uno per l’altro! Arriva al piano, accanto a me, arrossata, qualche centimetro, meno di qualche centimetro, mi sfiora. Chissà come fui capace di staccarmi, salutare, e dormire, solo. Cercare di dormire. Il giorno successivo Stefania tornò, inquietissima. La domestica rivelò che io avevo tentato di… Stefania mi costrinse a scolparmi. La domestica non riuscì a mentire, e Stefania capì che sceneggiava. Però…
Quando si presentò la domestica che alterò la mente di Stefania, sciupata, vita di affaticati stenti, ma vogliosissima di godere il corpo, l’unico possesso che teneva, e lo capivo, e me lo dava a capire, ed io che ricevevo quotidianità annientata tra risse di denaro, malesseri di Stefania, suo predominio desertifero nel mio bisogno di scrivere, leggere, che a Stefania appariva trascuratezza, insomma uno spiffero di soddisfazione mi occorreva, sicchè con veemenza ignobile cacciai la domestica con il figlio testagrossa, che aveva sostituito la ragazzona carnosissima. Me ne giudico indegno  senza perdono, quella disgraziata che raccoglieva le  robette, il bambino piangente, io gridante, e venne quest’altra domestica, subitanea, prontissima, appena in casa, ed io entrai nell’inferno credendolo il paradiso.
Viaggiammo, con Stefania, del resto avevo girato pure con Elsa. Anche in Cina, 1983, tornai da solo nel 2000, non ricordo l’anno , ai primi del secondo millennio. Viaggiare fa comprendere al di sopra delle immani verbosità. Conobbi la Russia al tempo comunista, al tempo del crollo, al tempo successivo. Conobbi la Cina al tempo del collettivismo, al tempo del “capitalismo di Stato”. Un mutamento stravolgente. Quando con Stefania ed un gruppetto di miliardari  conobbi la Cina,  la verità, mi schifai, al grado che non toccai alimento per giorni, e all’offerta di un biscotto italiano da un compagno di avventura barcollai  come incredulo. Strade sozze  e puzzanti, serpenti scorticati, gente miserrima, mezzocoperta,ossiforme,  su di un battello notai che i piatti venivano lavati con acqua di piatti lavati mi si contorse lo stomaco che  divietò di toccare roba. Le signore acquistavano chili di seta, noi restavamo fuori in attesa, anche se qualcuno , ma questo ad Hong Kong, credeva di acquisire antico artigianato. Non so quanto accertabile. Il sommo, allibitivo cambiamento della Cina si deve  all’Occidente, comprammo e favorimmo la loro produzione avendo costi minimi e reimportando nei nostri paesi, per consumo o rivendita. Il “mostro” cinese è dovuto all’Occidente che credeva i cinesi incapaci di rendersi, loro, produttori ed esportatori dopo aver ben favorito i nostri acquisti ed i nostri investimenti! Infatti ,tornato in Cina, ai primi anni del nostro secolo strabilia è dir mellifluo. Un nuovo universo.
Similmente in Russia, con meno fulgore. Durante il comunismo e nel disfacimento comunista sembrava popolata da  gente rattristata, stordita, vagolante, ai primi del nostro secolo Mosca non scemava rispetto a Londra, Parigi, Roma, New York. E la gente riaveva fierezza. IL MONDO E’ CAMBIATO!
Stefania peggiorava i suoi malesseri e  alterazioni di comportamento improvvisi. Di colpo da affettuosa, ostile. Inspiegabilmente. Lo sguardo si infoscava, io sentivo che c’era da aspettarsi qualcosa di temibile. Ma quel che avvenne oltrepassa ogni immaginazione.
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