“Ecate” di Carla Amirante
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- Category: Arte e spettacolo
- Creato: 12 Ottobre 2020
- Scritto da Redazione Culturelite
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E’ molto difficile parlare di Ecate, perché il suo universo è vastissimo e altrettanto la sua storia; a lei lo stesso Zeus aveva concesso gloria e potere supremo sulla terra, sugli inferi e in cielo e, come discendente delle divinità primordiali, conservava il diritto originario di accordare o negare ai mortali i loro desideri. Si cercherà di dare un quadro generale, anche se incompleto, di questa antichissima e misteriosa divinità dagli innumerevoli poteri.
Ecate, come divinità multiforme, era potente, saggia, poteva mostrarsi come una donna giovane o un’anziana, e ancora era levatrice, accompagnatrice dei morti, esploratrice della psiche, ma era soprattutto la dea trivia dei crocicchi. Suoi appellativi sono stati: Chtonia, dea del mondo sotterraneo – Antaia, colei che incontra – Apotropaia, la protettrice – Enodia, la dea che appare sulla via – Kourotrophos, nutrice di fanciulli - Propylaia, colei che sta davanti alla porta – Propolos, colei che serve – Phosphoros, la portatrice di luce – Soteira, la sapiente - Triodia/Trioditis che frequenta i crocicchi – Klêidouchos che porta le chiavi, Trimorphe – la Triplice.
Ecate, citata raramente nei testi antichi, poco attiva nelle vicende del pantheon divino greco-romano, tuttavia in antico ha goduto d’un culto ben radicato, che, venuto da Oriente, assorbito in seguito dalla cultura indo-europea e da quella greco-romana, è arrivata infine all’epoca moderna con qualche variante. Per molti studiosi le sue antichissime origini vanno cercate nella Caria, una regione dell’Asia Minore occidentale, dove la dea proteggeva il passaggio nelle zone di confine, da cui forse ha avuto origine la sua immagine di signora di quel limite che separa la sfera terrestre da quella celeste. Lo studioso Thomas Kraus ritiene che l'etimologia del suo nome derivi da Hekatos, epiteto di Apollo, detto pure Agyieus “il guardiano delle porte e delle strade”, con il quale la dea spesso veniva associata nei luoghi oracolari. Altri studiosi invece assimilano Ecate alla Grande Madre da cui poi sono derivate tutte le divinità femminili e in particolare quelle orientali.
Dagli studi fatti fino ad ora, risulta chiaro che ella era un’antica dea legata alla fertilità e al ciclo della vita, la cui origine va cercata in un periodo antecedente al pantheon olimpico, e quindi prima delle tre ondate migratorie di Ioni, Achei e Dori verso la Grecia. Infatti la tradizione più antica riconosce Ecate come una divinità pre-olimpica, inserita poi dalla mitologia greca nella grande famiglia dei Titani e tra le megas, le “grandi”divinità, pre-elleniche di Artemis, Aphrodite, Demeter-Kore/Persefone, Era, Rea, e altre ancora. Dimenticato in seguito il suo legame con la fecondità, la dea divenne la madre di Circe o delle Tre Grazie.
L’assonanza del nome Ecate ricorda quello di Heqit, Heket o Hekat, la dea rana tribale, la saggia e anziana matriarca dell’Egitto pre-dinastico, conosciuta anche come la levatrice legata agli elementi primordiali della vita umana, quale creatrice partogenetica preposta ai misteri e ai riti di nascita, morte e vita; infatti Heket si presenta come una dea dalla natura anfibia, umida, vulnerabile. Spesso suoi amuleti a forma di rana venivano posti sui cadaveri perché questi potessero tornare in vita e tale usanza fu poi ripresa dai cristiani copti che posero nelle loro tombe, accanto al segno della croce anche quello della rana. Inoltre l’antica parola egiziana Heka, dalla desinenza ka, veniva riferita alla magia con i significati di energia vitale, anima o spirito, questo aspetto magico, già presente in Ecate, fece sì che la dea, nel tempo, prendesse le caratteristiche stregonesche di signora delle ombre e degli spettri.
Esiodo, nella Teogonia, (vv. 411-452), è il primo autore che descrive Ecate dedicandole un inno in cui Ia dea è posta al di sopra di ogni altra divinità, compreso Zeus, il quale la favorì più di tutti gli altri dei. Nell’opera Ecate è detta figlia dei titani Perse e Asteria la stellata, entrambi simboli della luce splendente, e perciò la dea, come Regina delle Stelle, eredita il trono del Cielo. Una tradizione più tarda sostiene che ella è figlia di Zeus e di Era e la relega nel mondo ctonio.
La dea viena in seguito citata nell’Inno omerico a Demetra, in cui si racconta che ella, insieme al dio Helios, fu la prima testimone del ratto di Persefone compiuto da Hades, divenendo la messaggera di Demetra e apparendo di nuovo dopo il ritorno di Persefone sulla terra. Da quel momento, come recita l’Inno, si descrive “la regina Ecate come colei che precedeva e seguiva Persefone”. Il testo lascia pure sottintendere che Ecate accompagni fisicamente Persefone nel suo itinerario di discesa agli inferi e poi di ascesa sulla terra; d’allora il viaggio si ripeterà ogni anno, con Ecate che farà da scorta a Proserpina. Così nel testo viene attribuita alla dea una caratterizzazione nuova più ampia e generalizzata di traghettatrice delle anime dei defunti; in seguito Virgilio, nell’Eneide, narra che la Sibilla cumana, per avere accesso alle terre dell’Ade, deve offrire un sacrificio a Ecate, che è “potente in Terra e in Cielo”, prima che a Persefone.
Della dea parleranno pure lo storico Pausania, altri letterati antichi come Sofocle, Seneca, Lucano, Ovidio, Orazio, Virgilio, Apollonio Rodio, Licofrone, Apuleio, Luciano e ognuno di loro, ne scrive in modo diverso ma sempre dandone un’immagine terrificante con i capelli a forma di orribili serpenti, il seguito di cani infernali, neri e ululanti, e spesso in compagnia di streghe.
Nella Pharsalia, nota pure come Bellum Civile, Lucano racconta della maga Ericto che, in una grotta, un luogo a metà tra il mondo supero e quello infero, per rianimare il cadavere di un morto invoca Ecate, con il suo seguito di “cani” oracolari, simili ad entità demoniache. Le bestie sono spesso nominate e associate al lato più oscuro di Ecate e sono viste come esseri menzogneri, malvagi, come creature divoratrici di anime, che si approfittano della debolezza umana, ingannando, terrorizzando i mortali e allontanandoli dal cammino verso la purificazione. Nelle cerimonie negromantiche i cani ululanti servivano a esaudire le invocazioni e le maledizioni mentre il mago officiante invocava sempre il nome di Ecate, la quale, in virtù della sua natura intermediaria, dominava le essenze intermedie, positive e negative, buone e cattive.
Invece i filosofi come Senocrate, Plutarco, Porfirio, Eusebio, gli Stoici e gli Oracoli Caldaici hanno evidenziato gli aspetti mistici, escatologici, triformi e lunari di Ecate; pure la dottrina neoplatonica si è interressata alla dea identificandola con l’Anima Cosmica/Physis, e vedendola come un’entità tentatrice in grado di elevare o trascinare in basso le anime individuali con la complicità dei demoni al suo seguito.
A causa di questa immagine corrente, la figura della dea è stata falsamente relegata al solo mondo infernale e quasi sempre rappresentata in forma triplice, tanto che l’appellativo che la caratterizza di più è quello di Triformis, come divinità tutelare dei crocevia, luoghi d’incrocio fra tre strade che si dipartono in direzioni opposte. La formazione triadica, tipica del mondo ideale antico, spesso attribuiva tale proprietà alle divinità femminili più importanti ed influenti dell’epoca ed associava a loro il concetto di ciclo e di evoluzione del tempo, che viene diviso in passato-presente-futuro. Il numero tre ritorna nelle Grazie, dee della bellezza al seguito di Venere/Afrodite; nelle Ore, personificazioni delle stagioni secondo un’originaria tripartizione calendariale dell’anno; nelle Parche (o Moire, o Fate), figlie della notte; nelle Eumenidi, protettrici dell’ordine morale, e nelle Muse, in origine solo tre, in seguito divenute nove.
Lo stesso è avvenuto in altre tradizioni e culture; citiamo: la dottrina alchemica e la tradizione caldea che tripartivano il mondo in corpo, anima e spirito; le tre Norne di area germanica: la Trimurti della tradizione induista (Brama, Shiva e Vishnu); la Trinità cristiana, la cui unità divina è rappresentata dalle tre persone di Padre, Figlio e Spirito Santo. Ricordiamo pure la struttura delle mense formate da tre parti unite tra di esse.
Tale concetto trinitario fu riproposto per la luna nelle sue tre fasi mensili con Ecate che ne divenne la divinità tutelare posta alla guida della coscienza umana in un percorso evolutivo che dallo stadio caotico-uroborico procede verso quello celeste. Infatti la dea è una figura triadica per eccellenza nel suo dominio sui crocevia e sulla luna e inoltre, come nume tutelare delle porte e dei crocevia, divenne pure mediatrice e guida dei passaggi; inotre come divinità lunare ella assunse pure i tre aspetti antropomorfi di fanciulla, donna e vecchia. Con queste sembianze umane Ecate si riallacciava ai concetti di metamorfosi e di trasformazione che avvengono nel passare del tempo e ancora più si manifestava in quel percorso circolare, che dalla nascita porta alla morte e viceversa, attraverso la rigenerazione e la resurrezione. In ogni caso il ruolo della dea è sempre stato quello di favorire un cammino che procede a tappe intermedie e di aiuto col mostrarsi o in forma antropomorfa o simbolica animalesca-ferina, come cane, serpente, cavallo, leone, secondo le tradizioni locali.
Nella sua iconografia la dea, come divinità celeste e lunare, indossava la tunica bianca e calzava sandali dorati, invece, come nume infernale, vestiva di nero portando ai piedi sandali bronzei mentre era seguita da uno o più cani neri ululanti, simili a demoni e ai fantasmi notturni che portano l’uomo alla pazzia. Il cane, simile al Cerbero infernale guardiano dei cancelli dell’oltretomba, è stato spesso un animale associato al mondo ctonio e, considerato una guida fedele, veniva sacrificato ai defunti per accompagnarli nel viaggio ultraterreno.
La dea poteva portare nella mano delle torce accese, un ramoscello d’ulivo, una chiave oppure la cosiddetta “trottola magica”. Michele Costantino Psello (Costantinopoli, 1018 –1096) descrive la trottola magica come una sfera dorata costruita attorno a uno zaffiro e fatta girare tramite una cinghia di cuoio, con sopra dei caratteri incisi, che girando produceva dei suoni particolari come il verso di una bestia o il pianto dell’aria. Questo strumento, altrimenti detto “cerchio magico” dava visioni profetiche rimandando all’aspetto lunare di Ecate, chiamata anche Antea, “colei che invia le visioni” e favoriva l’ispirazione di tipo irrazionale, più vicina alla intuizione artistica del sognatore o del veggente. La trottola nelle cerimonie magiche era usata nei rituali di sortilegio per favorire l’amore, mentre nelle cerimonie tempestarie serviva ad attirare i temporali, a fare apparire la divinità. La potenza dello strumento quindi stava nel produrre dei suoni incantatori, ritenuti propedeutici a creare empatia e armonia tra gli elementi del cosmo; con il movimento armonico delle sfere rotanti della trottola, mimeticamente e per analogia, si otteneva quello delle sfere celesti e degli esseri cosmici ad esse preposti.
Insieme ai cani neri erano sacri ad Ecate il cavallo di colore nero, dalle facoltà divinatorie, profetiche e in relazione con il regno dei defunti; il leone, posto a tutela delle aree templari: il serpente uso a nascondersi in luoghi sotterranei e con la capacità di rigenerarsi dopo la muta.
Tra le piante sacre alla dea c’erano: il ramoscello d’ulivo simbolo di vittoria, trionfo, pace, utilizzato nei riti di purificazione e consacrazione: il papavero e il cesto di frumento, che richiamavano le figure di Demetra e della figlia Kore/Persefone rapita da Ade. Il papavero in particolare, un fiore legato al concetto di fecondità e alla magia per le proprietà ipnotiche, che ben si associa alla sfera semantica del sogno e del sonno, quindi alla notte, a sua volta collegata ad Ecate, tanto che Sheakespeare nel suo King Lear (Atto I, Scena I), offre simbolicamente i sogni ai “misteri di Ecate”. Altri vegetali cari alla dea furono a livello popolare la mandragola, “pianta di Ecate” detta anche “pianta del diavolo”, che aveva un immenso potere simbolico per la sua radice ramificata che ricordava la figura umana, che veniva consacrata alle forze infernali e utilizzata nelle pozioni magiche nel sabba stregonesco. Infine citiamo la verbena, detta popolarmente “erba de la crucivia” che si appendeva in forma di croce, sulle porte e nei crocicchi a scopo difensivo-apotropaico.
In particolare la luna, ricchissima di implicazioni simboliche, nelle sue fasi lunari rendeva manifesto quel concetto di trasformazione ciclica di cui Ecate era titolare. L’astro lunare, infatti, cresce fino al plenilunio, poi declina verso la fase di “Luna nera” (novilunio), e di nuovo risorge dopo tre giorni di eclissi. Nella fine del ciclo lunare l’oscurazione della luna è stata spesso intesa come un ratto o un’uccisione ma anche come il momento delle “nozze celesti” tra il sole (elemento maschile) e la luna (elemento femminile), ma questa unione è stata ritenuta incestuosa, perché i due astri, secondo le diverse tradizioni mitiche, sono stati creduti come padre e figlia o fratello e sorella. Le fasi lunari invece, simbolicamente, erano paragonate ai periodi di nascita, crescita, morte e resurrezione con un loro chiaro influsso sul mondo fisico e vegetale e un coinvolgimento sulla sfera spirituale e metaforica dell’uomo riguardo al divenire e all’aldilà. Inoltre l’alternarsi delle fasi lunari faceva nascere, sempre nell’uomo, molte idee simboliche come: ciclo, dualismo, polarità, opposizione e complexio oppositorum. La luna ha anche due facce opposte, speculari e complementari, che rappresentano la conciliazione nel momento della congiunzione e pure il sacrificio e la morte simbolica, necessari per il rinnovamento dell’universo. Così pure Ecate aveva due aspetti: quello di luna nera, come divinità ctonia, mortale; quello di “luna bianca” come divinità celeste immortale e liberatoria dai vincoli di sofferenza, di paura, propri della dimensione terrena destinata a morire.
La notte, anch’essa collegata ad Ecate, con la sua oscurità rimanda al caos primordiale, al grembo della madre protettrice e generatrice e si associa pure a Thanatos, la morte, e al regno degli spiriti e dei fantasmi, connotando anch’essa il simbolismo del ciclo vita-morte. La notte è inoltre il dominio di Eros e della dea greca primordiale Nyx, madre dei sogni e dei piaceri amorosi, e allora Ecate viene descritta in modo diverso, ora bellissima, splendente, conturbante, ora invece orrida, terrificante, ma sempre misteriosa, come la notte che avvolge tutto nell’oscurità.
Infine altro elemento riferito alla dea era il colore nero della veste trapunta di stelle nella sua impersonificazione della grande dea Nyx del mito greco. Sotto queste sembianze ella, di giorno, giaceva in una caverna e, al tramonto, usciva guidando un carro trainato da cavalli neri oppure volando in cielo con grandi ali nere. Altre divinità femminili caratterizzate da questo colore sono le “Madonne Nere” il cui culto sembra risalire alla cultura orientale precristiana, che venerava la Luna Nera, identificata appunto con Ecate. Il colore nero, nella sua connotazione negativa, sta ad indicare il lutto e il buio, in senso metaforico l’assenza di coscienza la sfera diabolica e demoniaca; Satana spesso è raffigurato come uomo o bestia nera. Il nero però, in senso positivo, anche se collegato all’idea di morte, esprime la purificazione, la resurrezione e l’assoluto. Infatti, nella filosofia alchemica, la pietra filosofale, che è di colore nero (nigredo), agisce sulla materia trasformandola in senso spirituale. Pure la veste bianca indossata da Ecate può assumere significati opposti così il bianco, se considerato colore positivo, come è stato per il filosofo Porfirio, diviene simbolo di purificaziome e, in alcune culture, di verità; se negativo indica invece la morte, gli spettri e le anime dei trapassati. Come si è detto inizialmente Ecate è una divinità multiforme.