“Elogio dell’imperfezione sulla pittura di Nuccio Squillaci” di Piero Montana

Non si sa bene quel che oggi si intende con il termine postmoderno. La sua etimologia ci indurrebbe a pensare che esso possa riferirsi a un dopo un’età, che sciaguratamente è stata contrassegnata dalla modernità e dai valori in essa imperanti.

Abbiamo dunque ben sperato, che nel nostro tempo attuale, da inquadrare in questo dopo, ci si fosse finalmente sbarazzati dei dogmi e dei pregiudizi che sono stati la caratteristica propria di un’epoca che è durata fin troppo a lungo, un’epoca che ha avuto il suo malaugurato inizio con il Secolo dei Lumi ed il suo continuum nel pensiero positivista, scientista e materialista

Avevamo dunque sperato che in campo culturale i due veri ed importanti libri di Umberto Eco, Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault avessero un loro seguito che tuttavia non è avvenuto, così come avevamo sperato che in campo filosofico il bel libro  di Raymond Ruyer La gnosi di Princeton, manifesto della scienza contemporanea tuttavia in rotta con le anguste tradizioni del positivismo, del materialismo e di ogni tipo di scientismo, al di là degli entusiasmi suscitati e delle importanti adesioni ad esso da parte di Mircea Eliade ed Henry Corbin, poteva davvero determinare una svolta nell’ambito del nostro pensiero.

Per quanto riguarda l’arte e soprattutto la sua critica la nostra attenzione non poteva che concentrarsi negli scritti di Jean Clair e soprattutto di Maurizio Calvesi, che con il suo interesse per l’alchimia, veniva a calamitare la nostra attenzione.

Certamente sul postmoderno non potevamo non avere delle diffidenze. Infatti che una nuova stagione culturale preannunciasse la fine della modernità senza prendere nella dovuta considerazione opere quali quelle di Guénon e Evola, ed in particolar modo, senza prendere in considerazione o per lo meno citare Crisi del mondo moderno e Rivolta contro il tempo moderno non poteva di certo ben disporci al suo riguardo.

In effetti con il postmoderno non c’è stata una vera e propria svolta nel modo di pensare e di conseguenza di operare culturalmente.

Cosicché oggi noi ci troviamo a parlare di singoli autori ed artisti che nelle loro opere hanno sentito l’esigenza di una ricerca oltre i dogmi e i valori della modernità.

In campo artistico, dal nostro punto di vista, orientato già da molto tempo verso uno Spiritualismo in conflitto con il materialismo del nostro tempo, riteniamo che un pittore davvero interessante sia Nuccio Squillaci.

L’artista catanese di certo ha subito l’influenza dell’informale. La sua attrazione per la materia infatti è stata fatale.

Ora non deve sembrare in contraddizione con i nostri interessi per lo spirituale, che veniamo ad interessarci di un artista la cui opera si è focalizzata quasi esclusivamente sulla materia pittorica, giacché la concezione della materia, che l’artista esprime nelle sue opere non comporta una negazione di una realtà trascendente, di cui anzi è il presupposto, la base, l’asse portante.

Se si presterà attenzione a quanto noi veniamo ad asserire sulla materia pittorica del nostro artista, si potrà constatare che essa costituisce da sostrato indispensabile per l’epifania del Trascendente.

La materia dunque ha fagocitato il nostro pittore e per troppo, lungo tempo essa ha costituito la sua prigione, il suo vicolo cieco.

Squillaci è un artista che alla pittura ha consacrato la sua vita. In questa vita egli non ha avuto altre passioni esclusive come l’arte del dipingere.

Ma c’è da chiedersi che cosa ha mai veramente dipinto nella sua vita. La materia pittorica di cui si è occupato fino al punto di esaurirsi tutto in essa in che senso ha contribuito ad una svolta decisiva, a quella svolta che l’ha condotto a fuori uscire da essa, a liberarsi di essa, pur restandone fatalmente invischiato?

Innanzitutto diciamo che Squillaci prima ancora di essere un pittore è stato ed é un poeta.

La poesia infatti l’ha sempre amata in quanto eredità di famiglia. Un suo fratello è un valente poeta, e da questi certo egli ha imparato a guardare al mondo con gli occhi di un poeta, con gli occhi di chi si è sempre disinteressato degli affari esclusivamente mondani. E’ però da chiarire subito che la sua poesia non ha comportato per lui una sorta di evasione dal mondo, dal momento che egli lo ha sempre amato in maniera del tutto incondizionata, considerando, alla maniera di Nietzsche, ogni sua metafisica una sorta di patologia.

Ma il suo amore totale per la materia del mondo, come ogni grande e vero amore l’ha indotto tuttavia a trasfigurarla.

La materia per Squillaci non va trascesa, essa è la nostra necessità, che come gli stoici pertanto viene ad accettare totalmente, esprimendo per essa il suo personale amor fati.

La materia di questo nostro mondo, secondo una concezione di origine gnostica, trattiene in essa prigioniera l’anima,

ma per Squillaci, a differenza degli gnostici, non si tratta più di liberarla da quella che è stata considerata la sua tomba o la sua prigione. Per il nostro artista è materialmente impossibile estrarre l’anima dalla materia come hanno tentato di fare gnostici ed alchimisti, avendo per altro essi intuito che tale anima fosse l’unica quintessenza capace di operare ogni miracolo.

L’anima prigioniera della materia, per il nostro artista, possiamo soltanto sollevarla dal fondo oscuro dove viene trattenuta e dove pertanto permane senza l’intervento dell’Arte o della Grazia.

La vera arte non ha nulla a che fare con la mistica, essa non prospetta una via di fuga dal mondo, in quanto ad essa non sono dati gli strumenti tecnici per operare una tale evasione.

Pertanto la concezione che Squillaci ha dell’arte è prettamente assai realistica.

Se i mistici, come ritiene Elémire Zolla possono attuare delle “uscite fuori dal mondo”, anche al più mistico degli artisti una tale operazione per il nostro non è consentita.

Il potere dell’arte è al quanto limitato. Un tale potere può certo, come per gli alchimisti, trasmutare la materia da una sua realtà pesante e opaca (il piombo) in un’entità di pura luce (simboleggiata dall’oro), ma il prodotto di una tale trasmutazione rimane sempre lo stesso ossia sempre di natura materiale, anche se il risultato di una tale alchemica operazione giunge al conseguimento della Pietra filosofale, ossia al conseguimento di una materia, di un corpo spirituale miracoloso, che tuttavia in esso ha tutto lo spessore di una pietra.

Il pittore opera con dei materiali, i colori, che vengono ricavati dalle terre e la sua è un’arte tra le più eccelse, perché essa consiste nell’estrarre dalle terre la loro quinta essena: la luce dei colori.

E’ in questa epifania che fondamentalmente consiste l’arte maieutica del pittore, il portare alla luce dal grembo della terra la sua “anima mundi”, lo spirito in essa contenuto, celato, lo spirito illuminante che la rischiara, che la porta fuori dalla sua opacità.

Un’opacità dovuta alla sua condensazione derivante dalle forze centripete della legge di gravità.

Il pittore che grazie alla sua arte dalle terre estrae la luce, l’anima o il suo spirito illuminante vince una tale la forza, vince la forza della materia, restando tuttavia ad essa vincolato.

La magia dell’arte è una magia del vincolo, la sua seduzione, tutto il suo fascino ci vincola alla terra, che è l’unica sorgente della malia. I maghi rinascimentali lo hanno ben compreso perché è a partire da immagini materiali che essi hanno incominciato ad operare. Per esercitare la fascinazione essi hanno avuto bisogno di una base da cui procedere e dunque di una materia prima ossia di una sostanza in cui imbrigliare, “legare” l’anima dell’oggetto della loro stregoneria.

In che senso tutto questo può essere d’aiuto per comprendere l’arte di Nuccio Squillaci?

Diciamo subito che il nostro pittore è stato da sempre attratto dalla forza della materia, una forza talmente inesplicabile, che secondo certi racconti eterodossi, ha sedotto, più che convinto, persino gli angeli ad abbandonare la corte celeste, per incarnarsi in essa, decadendo dal loro stato originario di assoluta perfezione.

E’ a questa imperfezione della natura angelica decaduta, che si riferisce il nostro artista?  E ancora il suo elogio dell’imperfezione è un plaudire alla magia, alla fascinazione di cui tali nature angeliche sono state vittime?

O dobbiamo cercare la ragione, sempre che ci sia una ragione, di un tale elogio in un altro motivo?

Abbiamo già detto che Squillaci ama la materia, ma che il suo amore per essa come ogni vero e grande amore porta chi in seno lo nutre in maniera più o meno appassionata a trasfigurare l’oggetto di un tale amore.

Ora in quest’opera di trasfigurazione la materia viene illuminata da una pseudo luce, se la si intende solo nel suo fenomeno fisico, giacché veramente una tale luce è di natura trascendentale. Questa luce trascendentale è quella dello Spirito. Tutto il miracolo dell’arte non consiste in altro che nell’illuminare di questa luce la sua materia.

E questa luce dello Spirito non è altro che quella della Grazia.

E’ in stati di grazia che l’artista realizza le sue opere migliori.

Ma la Grazia per Squillaci non è quella di uno Spirito che scende dall’alto e rapisce in estasi il mistico.

E’ la Grazia dell’angelo caduto che si vincola alla materia, dotandola di un’essenza sovrasensibile, in quanto di natura soprannaturale.

Ecco allora che nelle opere migliori, più riuscite di Squillaci è questo sovrasensibile, che esercita su di noi il potere di fascinazione. Non è dunque la materia in se stessa ma questo qualcosa di natura ad essa diversa e che tuttavia rimane in essa “vincolato”, vincolato nel senso proprio in cui Giordano Bruno impiega il termine vincolo nelle sue opere magiche.

E’ allora a partire da quanto qui veniamo ad asserire sull’opera pittorica del nostro artista che possiamo farci un’idea del suo Elogio dell’imperfezione.

La materia di per sé imperfetta è trasmutata dall’artista-mago-alchimista non in qualcosa di diverso da essa ma in qualcosa che ne rivela tutta la potenza. La potenza che, secondo scritture eterodosse, ha persino attratto, vincolato nature angeliche e/o divine.

Solo l’amore per la materia pittorica può trasfigurare la sua intima sostanza. E questa trasfigurazione è rivelazione della sua quinta essenza.

Gli antichi ritenevano che la quinta essenza non fosse altro che un quinto elemento di certo il più perfetto ma non diverso dai quatto (terra, acqua, aria, fuoco), che costituiscono la materia del mondo.

Un quinto elemento, considerato incorruttibile, che tuttavia Aristotile cercò fuori dal nostro mondo. Ma questa non fu mai la convinzione dei veri e grandi artisti e dei filosofi alchimisti.

Quest’ultimi la cercarono nella loro materia prima da dove poterla estrarre. Dunque da una materia idonea alle loro operazioni di trasmutazione. Gli artisti la cercarono nell’armonia, nell’accordo perfetto tra le varie parti di un corpo che per quanto bello non sedusse mai Platone che in questo bello, realizzato nelle loro opere d’arte, vide solo l’imitazione di una imitazione. Per un tale filosofo idealista la natura anche nelle sue forme più riuscite restava un’imitazione di qualcosa di superiore e di certo divina nella sua perfezione assoluta

Platone pertanto non poteva non condannare l’arte, giacché essa suscitava ai suoi occhi una fascinazione, una malia per una natura, una materia corruttibile è in quanto tale sommamente imperfetta.

E dunque nell’amore di Platone per la perfezione che va cercata l’eziologia della sua concezione del tutto negativa della materia.

 Contrariamente a Platone Squillaci riconosce nella materia una potente forza di attrazione, quella forza che persino ha spinto nature divine a scendere ed incarnarsi in essa. Per questo l’arte del nostro pittore non è solo magica ma anche e soprattutto teurgia.

Ma alla base dell’operazione teurgica di Squillaci nella sua arte sta la sua valutazione positiva dell’imperfezione della materia.

Il nostro artista è infatti convinto che solo l’imperfetto aspirando a superare le sue carenze miri al perfetto per inglobarlo in sé in un’opera che ha per fine il raggiungimento della totalità e, nella completezza di essa, della sua assoluta perfezione.

Da qui il suo pathos per la materia, sviluppato dalla considerazione che solo l’invincibile, potente malia della terra poteva sedurre gli angeli e determinare la causa della loro caduta in essa.

Questo mito, questa leggenda degli angeli caduti sono quelli che più si prestano a farci meglio comprendere l’elogio dell’imperfezione, che Squillaci ha voluto rappresentare in una delle sue opere senz’altro più convincenti.

 A conclusione di questo nostro scritto  su tale elogio, vogliamo rivelare il vero segreto di ogni arte autenticamente magica, in grado cioé di esercitare il suo potere di malia e di fascinazione.

L’artista che ama la materia e non la ripudia è da essa che estrae la quinta essenza ossia tutta la sua poesia.

La trasfigurazione della materia è epifania, manifestazione di luce fisica e spirituale.   E’ una tale luce che come uno specchio attrae una sostanza uguale, simile ad essa.

L’artista è un conoscitore profondo della gnosi, egli sa che la sostanza più intima della materia è costituita dall’anima mundi, e che quest’anima è fatta della stessa sostanza divina.

Gli angeli nel cadere nella materia del mondo non hanno tradito o abbandonato il loro Dio, essi soltanto si sono invaghiti di una sostanza che non avevano a portata di mano come il loro Signore costantemente presente alla loro vista, ma che hanno scorto in lontananza nella regione della materia sublunare, corruttibile ed imperfetta.

Questa vista è stata per loro fatale, giacché una tale materia imperfetta contribuì con tutta la sua potenza attrattiva, di cui sopra abbiamo parlato, ad irretirli nella sua stessa sostanza.

Se l’arte di Squillaci esercita un potere di fascinazione è perché il pittore in virtù del suo amore per la materia la trasfigura in luce dello Spirito, vero ed autentico magnete in grado di attrarre persino delle nature divine, che non sono altro che metafore delle nature di esseri pneumatici. Ma questa attrazione-non dimentichiamolo- ha origine da quella imperfezione della nostra stessa vita contingente e di certo materiale, di cui tuttavia il nostro artista nelle sue opere ha voluto tessere l’elogio.

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