“Francesco Fratantonio, alla Galleria Massimo La Piana Arte Contemporanea, dicembre 2019” di Anna Maria Esposito

 
 
Veramente coinvolgente , satura di bellezza ed abilità, la mostra di Francesco Fratantonio.
Un discorso sofisticato, che soltanto apparentemente si conclude nella  raffigurazione della Realtà; un’osservazione più attenta, e l'artista ci dichiara intenti profondi. Il suo è, ovviamente, un discorso sulla natura, amata, rispettata, riconosciuta nella sua  quiete mite e potente.
La natura ci avvolge e ci circonda e noi abbiamo una doppia opzione: abbandonarci ad essa o osservarla dall’esterno. Francesco Fratantonio ha scelto questa seconda possibilità: si è abbandonato al suo abbraccio fino a diventare il suo cantore.
Ad un primo sguardo lo spettatore superficiale vorrebbe collocarlo nell’ambito dei paesaggisti figurativi: ed infatti egli proviene dalla zona di origine della “Scuola di Scicli”; e non darebbe lui.  Occorre  lasciarsi trasportare dall’incanto del suo colore per ritrovarsi nel mondo da lui ri-creato, ovvero immersi nella grandezza della Creazione vista come immenso simbolo di Altro.
I paesaggi naturali, ammirevoli, sono muti canti al Creatore. L’uomo non può che goderne e, per fare ciò, deve farli penetrare dentro di sé.
Questa è l’indagine compiuta dal nostro autore.  Nel Cosmo, vuole disciogliersi. Realizza dei fotogrammi (foto in successione) che hanno lo scopo di fornirgli uno sguardo neutrale e un ricordo più vivo di ciò che vuole riproporci. Poi, nel momento della decodifica riflessiva, compiendo una meta-lettura della realtà, cerca di cogliere il punto focale di quella porzione di paesaggio, la sua peculiarità, il grumo che condensa in sé, in quel momento, lo spirito di quel luogo.
Ho visto molti artisti compiere questo tipo di ricerca: la volontà di impossessarsi del segreto divino di alcune porzioni di realtà. Come può, un artista, realizzare lo scipo di riproporci la Bellezza che lo ha colpito? Per realizzare quest'obiettivo ha vissuto anni ed anni di fatica, di ricerca tecnica, di studio sui materiali cromatici  e sulle possibilità espressive di essi.
Uno studio costante, serissimo. Del grande pubblico il pregiudizio che il pittore sia una creatura libera, che vive di istinti non governati, anzi che proprio in questo consista l’essere “artisti”. Soltanto in pochi comprendono l’impegno costante, lo sforzo doloroso per raggiungere un obiettivo che preesiste e che vuole trasformarsi in vita.
Anche Fratantonio, come tanti artisti celebri, ha studiato all’accademia di Brera, dove ha imparato la tecnica prodigiosa e si è nutrito dei grandi. Una profonda cultura storico-artistica gli ha fatto incontrare e conoscere quelli che considera i suoi maestri. Nel suo discorso spesso, molto spesso, cita Giotto e la sua genialità inventiva:  spazi turchesi,  la linea definita degli orizzonti, il cielo cobalto intarsiato di rocce dorate; la ieraticità dei personaggi appena svincolati dalle regole bizantine e le espressioni solenni e focalizzate. Fratantonio passa poi attraverso la sintesi del Rinascimento per approdare alla Metafisica e apprendere la lezione dei grandi maestri del Novecento. L’esito finale è la sua particolare arte.
Facile la tentazione di avvicinarlo a Guccione;  in realtà la sua ricerca è perfino cronologicamente precedente rispetto a quella dell’altro fortunato autore.
Usa il pastello grasso per realizzare la “base” materica del paesaggio, mentre, per riprodurre la luminosità di albe o tramonti, o l’incanto dell’”ora blu”, usa il pastello secco;  non adopera il fissativo per non spegnere la schiettezza del colore, colore che è la “vita” del nostro autore. Per cui è obbligato a proteggere le scene con vetri, e pazienza se il riflesso potrebbe impedire di coglierle in modo diretto. Così diventa un impegno, per lo spettatore,  osservare la sua pittura per entrare nelle atmosfere che ricrea.
In queste utili frazioni di tempo l’osservatore  le legge, diventando parte di esse; almeno per i brevi attimi dell’osservazione consapevole.
Abbiamo avuto una lunga conversazione, io e lui, grazie  alla disponibilità gentile e calorosa dell’artista esperto, consapevole ed umile, l’umiltà della saggezza.
Nel proficuo scambio di idee la conferma di posizioni comuni, la medesima lettura dei fenomeni artistici e delle vicende della realtà.
La sua produzione, elaborazione faticosa nell’apparente semplicità, ripropone   intuizioni, le quali, confermate dalla realizzazione artistica, possono arditamente ma tranquillamente  rientrare nell’ambito del “Concettuale”. Mi descrive il doppio infinito che vive in esse: uno sguardo si volge a ciò che è in alto, molto in alto, verso l'infinito. Ed un altri sguardo si volge all’orizzonte, perseguendo un altro infinito. Questa Croce, non a caso,  racchiude nelle sue due dimensioni tutto il visibile.          
Come altri artisti, prammatici ma legati ad una realtà oltre la materia, ritiene che un uomo, ed a maggior ragione un artista, sia tale quando si sforza di realizzare il suo compito,  consistente nella personale lettura della realtà.
Una personalità vivace, ma posata e capace di riflessione matura e scambio, uno sguardo innamorato del Mondo, una tecnica certa dagli esiti incantevoli, questo è Francesco, a questo punto del suo viaggio; il suo obiettivo è emozionarci attraverso la luce ed il colore, che egli concepisce nella circolarità di un dono che si riceve, si rielabora e si torna a donare, arricchito della  cosciente originalità dell'artista.
 
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