Il gioco perverso della distruzione

Tommaso Campanella, nei suoi Aforismi politici, scriveva : «Il dominio d'un buono si dice regno e monarchia. D'un malo si dice tirannia. Di più buoni si dice aristocrazia. Di più mali si dice oligarchia. Di tutti buoni si dice politia. Di tutti i mali si dice democrazia».

Ordunque quale rapporto intercorre, se intercorre, tra Arte e Politica?

Il secolo passato, il XX, ci ha regalato spesso un pessimo esempio dell’interazione tra la Politica e l’Arte, facendo della seconda troppe volte una serva della prima e non già, come dovrebbe essere, una sua estensione e una sua base. Non faccio riferimento all’espressione estetica voluta dai regimi, siano quelli comunisti siano quelli fascisti, perché è ovvio che così avvenga ma piuttosto al suo successivo utilizzo in ambito reputato – a torto - “democratico”.

L’Arte, in qualsiasi società “tradizionale”, dalla Grecia classica sino all’Ottocento, è sempre una manifestazione della politica nella polis, in quanto l’Estetica contiene l’Etica. L’una senza l’altra è vacuo moralismo; priva della seconda, la prima è soltanto mero formalismo, apparenza e nulla più e dunque ci appare sconfortante, per esempio, osservare come nei programmi elettorali – anche in quelli recentissimi - la Cultura, e dunque l’Arte che di essa partecipa, quasi non abbia riconoscimento ad esistere tranne poi rivederla recuparata per riempire i vuoti.

Anzi, nelle ultime elezioni va detto che, tranne rarissimi casi, è stato un florilegio di “copiaincolla” nei programmi elettorali, dove addirittura sin troppo spesso si è assistitito attoniti a una improvvisa riscoperta della parola “Rinascimento” se non quando addirittura alla francese: “Rinascenza” proprio da aprte degli stessi che per decenni mai si sono occupati di tale aspetto culturale ed artistico. Ovviamente a elezioni compiute… consummatum est.

Il declino del nostro paese riguarda non soltanto l’economia o il costume, ma innanzitutto il livello culturale della popolazione e, di conseguenza,  il baratro nel quale è stata lasciata sprofondare l’Arte. Tutto ciò è intollerabile e inaccettabile così come lo sono l’analfabetismo di ritorno, la scarsità di lettori, la disinformazione, mentre il disinteresse la fa da padrone nei settori artistici di questo paese che ha prodotto l’avvampante bagliore della Bellezza. “Bellezza”, altra parola prima ignorata dai politici nostrani, oggi improvvisamente ricomparsa sulle loro labbra comiziali.

In Italia una politica culturale che rivaluti l’Arte dovrebbe essere una necessità primaria, un dovere non soltanto intellettuale, praticamente uno stato dell’essere, invece essa viene da lungo tempo ignorata e disattesa.

È ben vero che le urgenze dell’italiano medio – ammesso che esista ancora - sono la salute, l’aumento dei salari, la riduzione delle tasse e la sicurezza, ma va ricordato che un popolo di benestanti ignoranti avrà sempre un basso tenore di civiltà. Un paese di buoni borghesi, privi di una qualsiasi forma artistica e dunque di consapevolezza estetica, non è degno di essere considerato una società civile in quanto l’Arte è e deve essere parte integrante e fondamentale di qualunque popolo.

Perché una nazione senza Cultura né Arte non sarà nemmeno in grado di utilizzare nel modo migliore tutti i vantaggi che gli deriveranno dal presunto benessere materiale. Senza spirito la materia è morta e come un golem si anima soltanto quando gli viene insufflato il nome divino che, in questo caso, è appunto la Bellezza.

La Politica quindi dovrebbe avere il coraggio di essere impopolare nel precedere i cittadini per renderli migliori, avendo la forza di sostenere e privilegiare la priorità dell’emergenza culturale su ogni altra. Non basta costruire case, bisogna costruire case belle.

L’ignoranza, l’assenza di buon gusto, di educazione al Bello, alla lettura e all’Arte ha prodotto, tra gli altri scempi, troppo spesso una classe dirigente e politica sempre più squalificata e desolante, intellettualmente parlando. Sono gli stessi personaggi adesso assisi in Parlamento che ignorano quest’emergenza culturale, e che neppure sanno chi ha dipinto gli affreschi intorno a loro, e non capendoli, di conseguenza se ne disinteressano, dell’Arte come del Buon Governo.

Del resto come potrebbero dunque codesti “onorevoli” cresciuti nelle batterie di partito, interessarsi ad una rivalutazione in primis della Cultura nel nostro paese? Ecco che fra Cultura e Politica si è creata una tale separazione che chi si occupa dell’Arte – e non mi riferisco soltanto alle arti visive, ma anche alla musica o al teatro – è relegato ai margini della società. Perché la Cultura è divenuta uno spazio ristretto, estraneo anche alle Istituzioni che ad essa dovrebbero essere dedicate.

Sembra quasi che i giovani vengano mandati a scuola di bruttezza, con testi mediocri e troppo cari per il loro vero valore, in una contemporaneità che non ha fatto altro che produrre cose orribili. Con questo incubo ci si ritrova a convivere per la maggior parte delle nostre giornate, mentre il bello, anche nel gusto dei pochi colti che ancora ne riconoscono l’esistenza, resiste strenuamente grazie alla sopravvivenza della memoria.

Tutto questo avviene perché gli amministratori della cosa pubblica sono troppo spesso profondamente ignoranti più che corrotti. Abbiamo una classe dirigente incapace di spendere correttamente il denaro messo a loro disposizione. Basti porre mente a come invece sono state pensate le città del Cinquecento. Guardate Pienza o il sogno che fu Sforzinda, luoghi meravigliosi creati per l’uomo in ogni sua declinazione, affinchè tutto concorresse al bene ed al benessere comune. Strutture, quelle sì, veramente “eco compatibili” e “bio dinamiche”, pensate per durare nei secoli e non per favorire gli intrallazzi economici di pochi.

Il committente allora era il potere  dei Papi e dei Signori, ma in quei tempi il dialogo tra la Cultura e il Potere era quello che avveniva tra un Michelangelo e un Giulio II, ed il risultato era una creazione artistica e architettonica e dunque urbanistica, di altissimo livello.

Questo perché un tempo, la centralità della Cultura rendeva grandi i pontefici e gli imperatori, in quanto altrettanto grandi erano gli artisti da essi sostenuti. Lorenzo de Medici, il Magnifico, è sommo perché sommo è Sandro Botticelli al suo servizio, l’uno senza l’altro non esisterebbe.

Oggi invece, fra chi esegue e chi commissiona l’opera, non esiste più rapporto né intesa, perciò non sapendo e non potendo più distinguere il bello dal brutto viene chiamato il primo “creativo”, il primo architetto, pittore, scultore, spinto mediante le correnti politiche o le lobby consentendogli di devastare in modo permanente una città con l’operato della propria ignoranza. Il rapporto tra l’artista e la Politica è regolato oggidì o da “interessi di partito”, dunque di “tessera”, oppure di mera conoscenza e, nella migliore delle ipotesi amicizia, per sfociare necessariamente nel più vieto clientelismo. Il simbolo di questa civiltà orribilmente degradata viene direttamente dall’America con la Pop Art che avendo rinnegato ogni rapporto con il nobile passato dell’Europa ha rifiutato anche le avanguardie del primo Novecento, sostituendo così a Raffaello e a De Chirico le insegne al neon, le lattine di zuppa di fagioli e le icone politiche o cinematografiche.

Che Guevara al posto del Cristo del Mantegna, il volto ripetuto ad libitum di Marilyn Monroe sostituisce quello della Vergine Maria divenendo un’icona non più sacra che imita, scimmiottandole, le più sacre immagini dell’Oriente cristiano mediante una semplice fotocopiatrice.

Nessuno reagisce più a questo stupro continuo, tanto ci siamo talmente assuefatti ad essere conquistati e dominati dalla sottocultura del brutto, che si è consentito di’inscatolare l’Ara Pacis, di creare “nuvole” ed erigere grattacieli falloidi laddove non hanno senso, in un insensato genocidio dove il “nuovo che avanza”, il moderno, vuole esclusivamente distruggere tutto ciò che odia di più: la nostra Cultura e la nostra Tradizione. Invece di recuperare antichi spazi, anche con un minor costo per lo Stato, si preferisce farne costruire di nuovi, decisamente più sgradevoli, con la scusante dell’economia o dell’accentramento, creando in tal maniera ulteriori esborsi e nuove mostruosità destinate a decadere in breve tempo. Gli esempi sono sotto gli occhi di noi tutti, dal ponte di Calatrava a Venezia alla chiesa cubica di Foligno opera di Fuksas.

Le differenze, le differenti “identità” culturali, e dunque dei popoli non soltanto europei, devono essere annichilite seguendo le direttive di un progetto occulto che va svelandosi ai nostri occhi ogni giorno di più e che prevede, in primis, l’annullamento di ogni estetica che si rifaccia al nostro passato. Nessuna multinazionale, né Corporation, né Stato asservito al sistema capitalista, permetterà mai più un ritorno dell’Arte così come essa deve essere intesa. Questa è la civiltà occidentale, la democrazia esportabile in un regime tirannico che fa erigere la prigione invisibile ai suoi stessi carcerati, ben felici di mettersi le catene ai polsi. 

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