L’ICONA secondo P.A. Florenskij. Florilegio e note su: “Le porte regali” - di Vincenzo Guzzo

Straordinario ermeneuta di icone, mistico e scienziato geniale, di sapere enciclopedico,  Pavel  A. Florenskij  nacque il 9 gennaio del 1882 ad Evlach, in Azerbaigian da famiglia russo – armena e morì in una località imprecisata della Russia durante il 1943.
  Matematico, fisico, teologo, poeta, filosofo, membro autorevole della chiesa Ortodossa russa, Florenskij insegnò matematica e fisica all'università di Mosca, anche durante il potere dei soviet, sino a quando non venne deportato dal regime stalinista e fucilato nel corso del 1943.
  Fu autore di molte opere di carattere teologico, scientifico e artistico.
  Per quanto riguarda la sua lettura dell'icona, occorre tenere presente che il punto di vista del teologo è quello che si impone, in piena coerenza con  la tradizione ortodossa ed egli riesce ad assicurarci comunque chiavi di lettura di altissima spiritualità e di grande suggestione.
  Nel suo libro: "Le porte regali" (un saggio sull'icona), esordisce studiando il rapporto tra la veglia, il sonno ed il sogno. Così ha inizio il suo percorso ermeneutico, la sua lettura potentissima eppur delicatissima di quel meraviglioso frutto della religiosità e dell’arte sacra cristiana e, in particolare, dell’Ortodossia, che è l’icona. Ed ecco l’avvio:   
 
  " ...il sogno è del tutto teleologico ovvero simbolico. Esso ridonda del significato dell'altro mondo (...) che è invisibile, immateriale, non transeunte, benché sia manifestabile visibilmente come se fosse materiale...
  Il sogno è il limite comune alla serie delle situazioni terrene e alla serie delle esperienze celesti...
  Il sogno è un segno del trapasso dall'una all'altra sfera è un simbolo."
 
  Dopo aver assunto il sogno come unione,  simbolo di passaggio tra le esperienze terrene e quelle celesti, Florenskij introduce il tema dell’arte:
 
  " ...nella creazione artistica l'anima è sollevata dal mondo terreno ed entra nel mondo celeste"
 
  Platone sosteneva che ciò che chiamiamo arte procede dagli Dei (Ione).
Ed ecco come Florenskij riconduce il simbolismo nell'arte al misticismo:
 
  " ...l'anima si inebria del visibile e, perdendolo di vista, si estasia sul piano dell'invisibile: questa è l'abolizione dionisiaca dei ceppi del visibile. Sollevata che si sia in alto, nell'invisibile, essa cala di nuovo nel visibile e a questo punto le vengono incontro ancora le immagini simboliche del mondo invisibile, i volti delle cose, le idee : questa è la visione apollinea del mondo spirituale. "
 
  I riferimenti sia alla tradizione classica che alle suggestioni culturali del suo tempo appaiono evidenti. Continua sostenendo che bisogna fare attenzione alle seduzioni, perchè...:
 
  "...il destino delle nostre infermità e della nostra superiorità, dono della divina creatività è il tempo - spazio. Esso non inganna. Altresì non inganna la spiritualità, il mondo angelico, allorché l'anima venga faccia a faccia con esso. Ma a metà tra il tempo - spazio e il mondo angelico, alla soglia di questo mondo, risiede il massimo dell'inganno e della seduzione: qui stanno gli spettri che il Tasso raffigura nella descrizione della foresta incantata. Chi possiede la fermezza spirituale passerà in mezzo a loro senza impaurirsi e senza cedere alle loro tentazioni..."
  La "superbia" (allude alla ybris degli antichi greci) è la più pericolosa delle passioni per chi si inoltra nel cammino spirituale. Un abbaglio dell'anima che non consente più di vedere il cammino che conduce a Dio.
Ed ecco affiorare più nettamente il sentiero che va verso l’icona. Questo ulteriore anello del suo percorso è dato da un affascinante discorso sul "volto" sia nella dimensione terrena che in quella spirituale, soprattutto in relazione allo "sguardo":
 
  "... il volto è diventato sguardo. Lo sguardo è la somiglianza a Dio resa presente sul volto. Allorché vicino a noi c'è una somiglianza a Dio, ci è dato di dire: ecco l'immagine di Dio, ma l'immagine di Dio significa che c'è il Raffigurato da quella immagine, il suo Archetipo. Lo sguardo di per sé, in quanto contemplato, essendo testimonianza di questo Archetipo e trasfigurando il suo volto in sguardo, annuncia i misteri del mondo invisibile senza parole, con il suo stesso aspetto."
 
  E’ necessario mettere in luce la finezza intellettuale e spirituale con cui Florenskij intende spostare l’attenzione dalla forma definita del volto, che evoca comunque anche un riferimento concreto, verso lo sguardo che, oltre la condizione dello stato d’animo, rappresenta il non rappresentabile e cioè la compiutezza ineffabile della divina epifania.
  Poi ci ricorda che in greco sguardo si dice Eidos cioè appunto Idea, quindi nota che la maschera o larva, si spaccia per volto avendone una qualche somiglianza ma:
 
  " Il volto è la manifestazione di una certa realtà e si apprezza appunto come mediatore tra conoscitore e conosciuto, come l'aprirsi alla nostra vista e alla nostra intelligenza della realtà conosciuta. "
  "...la sublime ascesa spirituale accende nel volto uno sguardo luminoso...allora il volto diviene il proprio ritratto ideale...un volto luminoso, bello, d'una bellezza per cui si spande all'esterno < l'interna luce >". (…)  " A ciascuno Dio ha concesso una certa misura di fede, cioè < una convinzione di cose invisibili >.
 
e aggiunge che la Chiesa (ortodossa, ovviamente) è la via di ascesa al cielo e la liturgia, un interiore movimento, nel tempo, un’interiore articolazione della Chiesa. Riesce a mostrare il cielo nella quarta dimensione cioè quella della profondità spirituale.
 
  "La Chiesa ...è la scala di Giacobbe e dal visibile essa eleva all'invisibile" mentre: " ...tutto il santuario, nel complesso, è il luogo dell'invisibile, il terreno separato dal mondo, lo spazio non di questo mondo. Tutto il santuario è cielo.."
 
  Secondo Simeone di Tessalonica la chiesa è la parte visibile della Divinità  (Cristo, Dio, Uomo) mentre il santuario ha il significato della Divinità invisibile. Secondo la pietà popolare: la chiesa è il corpo, il santuario è l'anima.
  Pian piano arriviamo prima all'iconostasi, quindi all'Icona:
 
  "Lo schermo del santuario che distingue i due mondi (quello di quaggiù e quello di lassù ) è l'iconostasi...
L'iconostasi è il confine tra il mondo visibile e il mondo invisibile... rende accessibile alla coscienza la schiera dei santi, la nuvola della testimonianza, coloro che circondano il Trono di Dio, la sfera della gloria celeste e annunciano il mistero...” ma è anche “…un’angelofanìa, una manifestazione di celesti testimoni e soprattutto della Madre di Dio e del Cristo..."
   L'iconostasi, nelle chiese ortodosse greco - bizantine non è identica a quella delle chiese russe. Nelle prime resta una (sia pur minima a volte) apertura architettonica, in quelle russe diviene un fronte, una parete intera satura di icone e/o di affreschi, uno schermo generalmente ligneo, ampio anche quanto l'intera parete di fondo del santuario (quella principale), su cui sono disposte le icone, appese o incastonate a far corpo unico con  la struttura di sostegno.
  Al centro, di questo schermo si apre una porta ( la porta bella: orìa pili o porta reale: vasiliki pili, ma è detta anche porta santa o del Paradiso) e alla destra di questa porta (rispetto a chi guarda), viene posta una icona grande che rappresenta il Cristo o la Trinità e a sinistra un’altra icona che rappresenta la Madre di Dio. In alto rispetto alla porta, viene collocata una rappresentazione dell’Ultima Cena.
 Tutto il resto della parete/schermo viene saturato da varie icone (sino a sei ordini) e da rappresentazioni sacre secondo un ordine prestabilito.  
  Salendo verso l’alto, infatti, si succedono: le feste della tradizione ortodossa, Cristo in trono tra la Madre di Dio e S. Giovanni Battista detto il  Precursore, Arcangeli, Apostoli e Padri della Chiesa.  Segue la Vergine del Segno al centro tra i Profeti e poi una immagine della Trinità in mezzo ai Patriarchi. La cuspide rappresenta il Golgota con la Crocifissione.
L'iconostasi è una fonte straordinaria di suggestioni e di ispirazioni ma    Florenskij giunge ad una conclusione a dir poco sorprendente per un esponente dell’ordine sacerdotale e tuttavia assolutamente vera e profonda dal punto di vista mistico:
  " ... se tutti gli oranti nella chiesa fossero abbastanza ispirati, se gli oranti fossero tutti veggenti, non ci sarebbe altra iconostasi all'infuori degli astanti testimoni di Dio a Dio, mercè i loro sguardi e le loro parola annuncianti la sua terribile e gloriosa presenza; neanche la Chiesa ci sarebbe."
 E' la diffusissima impotenza o, comunque, la debolezza spirituale che rende necessaria la funzione della Chiesa.
  L'iconostasi materiale viene definita " gruccia della spiritualità " che addita il mistero del santuario e schiude ai deboli di spirito l'ingresso nell'altro mondo. Le icone sono le sacre scritture spiegate al popolo, rese accessibili a tutti coloro che intendono fruirne e tuttavia il loro impianto è profondo, e il messaggio rigorosamente espresso in immagini teologicamente concepite e realizzate. Un linguaggio non sempre essoterico e non sempre fruibile senza una sapiente mediazione da parte degli ecclesiastici. L'iconostasi, comunque, orienta l'attenzione e favorisce l’uscita dal mondo sensibile da parte degli oranti.
  La chiesa cristiana orientale ha elaborato una teologia più legata al misticismo che al logos filosofico e dal punto di vista psicologico ha mutuato molto anche da esperienze meditative e spirituali di un Oriente più lontano. Si noti, a tal proposito, cosa afferma Florenskij sull’orientamento dell’attenzione:
  "L'orientamento dell'attenzione è indispensabile condizione dello sviluppo della vita spirituale (...).
Ma quando l'attenzione è diventata elastica e non ha bisogno di impressioni esterne per concentrarsi su un oggetto noto e in se stessa trova la forza di estrarre dalla congerie delle impressioni sensibili l'oggetto o il segno, (...) allora il bisogno di appoggi sensibili scompare.
  Così nel campo della contemplazione sovrasensibile: il mondo spirituale, invisibile non è in qualche luogo lontano, ma ci circonda e noi siamo come sul fondo dell'oceano (...) di luce eppure (...) per l'immaturità dell'occhio spirituale non notiamo questo regno di luce, nemmeno ne sospettiamo la presenza (...) .
  Quando il Cristo sanò il cieco dalla nascita, questi dapprima vide la gente intorno come alberi: tale è il primo delinearsi della visione delle cose celesti. Anzi noi non vediamo gli angeli trascorrenti come alberi (...).   L'icona è identica alla visione celeste e non lo è, è la linea che contorna la visione.  La visione non è l'icona: essa è reale in se stessa (...). Una finestra è una finestra in quanto attraverso di essa si diffonde il dominio della luce (...) fuori dal rapporto con la luce (...) la finestra è come non esistente (...).  Se il simbolo, in quanto conforme allo scopo, raggiunge lo scopo, esso è realmente indivisibile dallo scopo, dalla realtà superiore che esso rivela (...).
  Non c'è finestra in sé e per sé perché nell'idea di finestra, come in ogni strumento di cultura, è compresa strutturalmente la sua conformità allo scopo: ciò che non è conforme allo scopo non è neanche un fenomeno della cultura.
  Perciò o la finestra è luce oppure è legno e vetro ma non sarà mai semplicemente una finestra. Così anche le icone, <visibili rappresentazioni di spettacoli misteriosi e soprannaturali> (Dionigi l'Areopagita). E l'icona è sempre o più grande di se stessa, quando è una visione celeste, o è meno di se stessa (...) e non si può chiamare altro che una tavola dipinta ”.
  In questa visione rigorosa, mistica e tradizionale insieme, non esistono pittori di icone che possano essere considerati artisti e che operino su temi sacri in piena libertà espressiva.
  I veri pittori delle sacre icone sarebbero, in esclusiva, i teologi, per il tramite di semplici iconografi, pittori materiali, meri artigiani del disegno e del colore. A meno che non ricorra l’ipotesi, per altro piuttosto frequente in tutta la tradizione ortodossa e in quella monastica in particolare, secondo cui la figura dell’iconografo e quella del sacerdote coincidano nella stessa persona. Si pensi, ad esempio, al sommo Andreij Rublèv.
  Nel 1839 è stato rinvenuto in un monastero di Monte Athos un manoscritto bizantino del XV secolo, dal titolo “Guida della pittura”, di straordinaria importanza sia per l’impostazione che per la completezza degli argomenti in ordine alla pittura sacra.
 In esso sono riportati tutti i metodi materiali di realizzazione delle pitture sacre e delle icone (dai calchi di gesso, alle colle, alla formazione dei singoli colori e alle loro combinazioni, ecc.) nonché tutti i contenuti di carattere esclusivamente sacro, minuziosamente descritti, per la corretta esposizione teologica di immagini e di eventi sacri.
  I pittori materiali, se non sono sacerdoti ortodossi essi stessi, devono ancor oggi riferirsi esclusivamente alle inviolabili leggi espressive così codificate e alle verità teologiche della tradizione ortodossa secondo le indicazioni e sotto la sapiente supervisione di un sacerdote - teologo. Detto manoscritto è preceduto da altri scritti simili e già l’impianto di fondo era stato delineato sin dal Concilio “Quinisesto” del 692, in cui vennero definiti i canoni dell’arte sacra. 
  Ma qual è la ragione profonda per cui  dal punto di vista ortodosso, i veri pittori sarebbero soltanto i teologi e i Santi Padri? La risposta che viene data è questa: solo loro hanno potuto vedere l'Archetipo e soltanto loro sono i grandi mediatori tra il mondo e le Verità archetipiche del Cristianesimo. E' chiaro che la riduzione delle capacità espressive dell’inconscio collettivo, a una qualunque dottrina teologica potrebbe far sorridere chi, da un punto di vista laico, non riesce a concepire l’arte come subordinata a dettami di alcun tipo ma, tuttavia, non è difficile comprendere perché, all’interno di una qualunque ma rigorosa visione teologica, l’arte sia priva di quelle caratteristiche di libera espressività che, soprattutto col Romanticismo, abbiamo imparato a conferirle. Non si dimentichi inoltre che le moderne ideologie hanno infierito sulla libera espressione artistica e non solo su quella ( si pensi alla tragica sorte di Florenskij) non meno delle varie teologie e dei vari fondamentalismi antichi e moderni.
  Ma torniamo al Nostro per sottolinearne un’affermazione che per noi italiani, in particolare, risulta inconcepibile: la pittura rinascimentale, secondo la rigida visione ortodossa, sarebbe degenerativa perché, a causa dell’introduzione della prospettiva e della rinunzia, nella pittura, all’uso dell’oro e, comunque, all’uso simbolico dei singoli colori, avrebbe chiuso le porte alla spiritualità medievale delle icone intese e definite da Florenskij come: "la rocca delle figure celesti".
 
 
  Una visione a trecentosessanta gradi rileva con facilità i limiti di tutte quelle concezioni, d’ogni contesto e latitudine, che hanno timore a “relativizzare”, che si fondano su una sorta di assolutismo mentale e sulla rigidità teologica (se non integralista) e che, per loro natura e cultura, pur potendo rappresentare anche momenti elevatissimi dello spirito, alla fine però ritengono di dover condurre sempre (e spesso pesantemente), sotto la propria visione del mondo, tutte le altre.
  Le varie “chiese”, allo scopo di custodire assolutamente integro pure l’aspetto formale della propria elaborazione teologica e del proprio potere, non solo spirituale, si scagliano spesso anche contro i loro stessi mistici e sempre contro ogni forma di suprema apertura spirituale o di sincretismo maturo come quello vissuto e agito in buona coscienza da molti mistici, anche (ma forse soprattutto) laici, capaci, tra l’altro, di leggere come normale diastole e sistole delle povere umane vicende anche certe concezioni e prerogative assolute e inconciliabili delle varie chiese che confliggono o dialogano tra loro come qualunque altra istituzione di potere.                                                                                   
  Qualcuno ancora vive ed opera nella profondità del proprio spirito, in dimensioni non meno sacre e certamente esoteriche, come mistico residuale alla ricerca di un sentiero spirituale autentico. Qualcuno ancora si manifesta come cultore di una visione d'insieme capace di custodire, di elaborare e di tramandare la luce del sacro con la stessa lungimiranza del mistico e pur teologo Pavel Florenskij quando, andando aldilà di se stesso, afferma la possibilità del superamento non solo dell’icona ma persino della stessa Chiesa, allorché si riesca ad accedere direttamente all’ineffabile visione degli Archetipi. Noi parleremmo di piena integrazione degli stessi.
  Solo una matura visione d’insieme, attraverso la valorizzazione degli aspetti più elevati e più profondi delle varie tradizioni spirituali e culturali (non solo quelle cristiane) d’Oriente e d’Occidente, potrebbe osare, una proiezione credibile verso un futuro di recupero e di crescita spirituale complessiva dell'umanità.
  Un modo, questo, certamente molto diverso e, quanto meno, eterodosso di “attraversare” l’icona ma identico, comunque, nella gioia di “farsi attraversare” dalla luce ineffabile e irresistibile che ancora, attraverso la forza del simbolo assieme ad una esoterica concezione della bellezza, da quella finestra ci giunge.       
 
 
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Indicazioni bibliografiche  
 
 
  Le seguenti indicazioni bibliografiche vengono allegate a un brevissimo florilegio relativo al testo: “Le porte regali” di Florenskij, distribuito a supporto dei contenuti della mia conferenza sul “Simbolismo delle icone” .
  Un soddisfacente sviluppo del tema implicherebbe, oltre che una ben più vasta trattazione, anche una vastissima bibliografia ma vengono riportati qui soltanto quei testi ritenuti essenziali ai fini della conferenza o di cui consiglio comunque la lettura e altri testi utili anche per una soddisfacente consultazione iconografica.  
  Non viene seguito l’ordine alfabetico ma quello relativo alla rilevanza degli argomenti in ordine al tema.
 
Pavel A. Florenskij :  “ LE PORTE REGALI “    Adelphi
 
Pavel A. Florenskij:   “ LO SPAZIO E IL TEMPO NELL’ARTE ”   Adelphi
 
Pavel A. Florenskij :  “ LA COLONNA E IL FONDAMENTO DELLA VERITA’ “  Rusconi
 
Pavel A. Florenskij:   “ LA MISTICA E L’ANIMA RUSSA”   San Paolo 
 
Leonid Uspenshij :    “ LA TEOLOGIA DELL’ICONA”  Ed. La casa di Matriona
 
John Meyendorff :     “LA TEOLOGIA BIZANTINA”    Marietti
 
A cura di P.L. Zoccatelli :   “I SEGRETI DELL’ICONOGRAFIA BIZANTINA”   Arkeios
 
Gaetano Passatelli :   “ICONOSTASI”   Mondatori
 
Gaetano Passatelli:  “ LE ICONE DELLE 12 GRANDI FESTE BIZANTINE ”  Jaca Book
 
AA.VV.:   “I VANGELI APOCRIFI”  Einaudi
 
E. Zolla :  “ ARCHETIPI”  Marsilio
 
Graziano Lingua: “L’ICONA, L’IDOLO E LA GUERRA DELLE IMMAGINI “  Medusa
 
John Julius Norwich:  “ BISANZIO “  Mondatori
 
Alexander P. Kazhdan:  “ LA CIVILTA’ BIZANTINA “   Laterza
 
Mahamoud Zibawi:  “ ICONE, SENSO E STORIA “   Jaca Book
 
John Binns :   “LE CHIESE ORTODOSSE”   Famiglia Cristiana
 
Tania Velmans e altri: “ LE ICONE il viaggio da Bisanzio al ‘900 ”    Jaca Book
 
A cura di Sania Gukova:  “ MESSAGGERI DI LUCE “,   Collezione Orler,    C&M Arte
 
AA.VV.: “L’ARTE BIZANTINA E RUSSA” vol. VIII della Storia dell’Arte -  La Biblioteca di Repubblica
 
AA.VV.:  “ICONE E SANTI D’ORIENTE”  (2 volumi)  Electa/L’Espresso .
       
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